Oltre a quella cinese della Seta, si fa strada la Via del Cotone
In occasione del G20 di New Delhi dello scorso agosto, è nato un nuovo acronimo, IMEC che sta per India-Middle East East-Europe Economic Corridor. Arabia Saudita, Emirati, India, Francia, Germania, Italia, Stati Uniti e Unione Europea hanno sottoscritto un accordo in favore di due canali commerciali preferenziali, quello orientale destinato a collegare l’India con il Golfo Persico e quello settentrionale, quale collegamento fra il Golfo e l’Europa.
L’iniziativa, ribattezzata, al di là della denominazione ufficiale, quale «Via del Cotone», è gradita agli Stati Uniti, che la contrappongono a quella «Via della Seta» cinese, da essi osteggiata tanto da esercitare pressioni sui Paesi europei (vedi Italia) affinché si distanzino dalle strategie di Pechino.
Il nuovo progetto logistico favorisce la regione del Golfo, vista la sua posizione e il ruolo primario quale crocevia commerciale fra Asia, Europa e Africa, e considerata anche la sua leadership in campo energetico. Gli otto Paesi aderenti all’IMEC rappresentano circa il 50% dell’economia mondiale e il 40% della popolazione.
Investimenti infrastrutturali
Le implicazioni geopolitiche non vanno sottovalutate, su diversi fronti: nell’area arabo-asiatica il peso dell’America è in calo, mentre alcuni partner IMEC sono anche importanti membri di un’organizzazione BRICS la cui vocazione anti-occidentale è palese; le tendenze finanziare ed economiche alternative a quelle che in un modo o nell’altro fanno capo a Washington si diffondono, i timori di nuove possibili sanzioni americane dirette e indirette preoccupano e la creazione di cluster politici che attuano il cosiddetto «friendshoring» si diffonde. Molti osservatori si pongono il problema della compatibilità fra l’IMEC e gli omologhi progetti già realizzati o previsti nel quadro dell’iniziativa Belt and Road cinese, e in questa concorrenza i vincitori finali potrebbero risultare proprio Pechino e i Paesi del Golfo.
In termini operativi il corridoio dovrebbe includere un collegamento ferroviario, centri intermodali nave-ferrovia a cavallo delle frontiere, collegati con le attuali linee marittime e terrestri, oltre alla posa di cavi elettrici e di collegamento digitale, e una pipeline per il trasporto dell’idrogeno. La tabella dei lavori dovrebbe essere fissata nel corso dei prossimi mesi. Obiettivo primario è quello di favorire gli scambi, abbassare costi e tempi di trasporto, snellendo anche le operazioni logistiche.
Dal punto di vista puramente geografico, si potrebbero trovare elementi di complementarietà fra la Via del Cotone e la Via della Seta, i cui piani vennero avviati da Pechino nel 2013 per collegare la Cina con il Sud Est Asiatico, l’Asia Centrale, la Russia e l’Europa. La sua variante terrestre si snoda infatti verso il Kazakhstan, l’Uzbekistan, il Kyrgyzstan per poi proseguire, aggirando l’Arabia, verso l’Iran, la Turchia e i terminali portuali in Polonia e nel Mare del Nord. La variante marittima si snoda per tutto il Mare Cinese e l’Oceano Indiano, fino all’Africa Orientale e, attraverso Bab el-Mandeb e Suez, all’Europa Meridionale. Ma questa è una visione riduttiva della rete logistica cinese, che in realtà è ben più vasta e articolata.
Dal Pacifico all’Artico
La rete infrastrutturale di Pechino, al di là della recente espansione in remoti arcipelaghi del Pacifico, finora tradizionale «feudo» americano, si estende alle propaggini dell’India stessa e del Pakistan, collegando il Golfo di Oman con l’Asia Centrale. Importanti infrastrutture cinesi sono presenti nel Corno d’Africa, nel Golfo di Guinea e nell’Africa Meridionale e in molti porti mediterranei. Nell’evoluzione logistica (e geopolitica) globale, vi è poi un terzo attore, oggi dietro alle quinte ma destinato presto a diventare protagonista: l’Artico.
A parte le enormi risorse che la regione detiene, sia energetiche che di metalli tradizionali, preziosi ed innovativi, lo scioglimento dei ghiacci determinerà una rivoluzione dei trasporti. La rotta classica che dall’estremo lembo dell’Asia oggi richiede di costeggiare la Russia siberiana e la Scandinavia per raggiungere i porti del Nord Europa, risulterà, si stima a partire dal 2040-2045, pressoché rettilinea fra lo Stretto di Bering e Rotterdam, con un enorme risparmio di tempo e di costi.
Quanto la rotta artica sottrarrà alle vie meridionali, Cotone e Seta incluse? Saranno le evoluzioni commerciali, e soprattutto geopolitiche, a fornire la risposta.