L'analisi

Perché l'industria europea dell'automobile è a rischio implosione

Il crollo del mercato ad agosto e lo stallo delle vendite di mezzi con motore elettrico confermano la delicatissima situazione del settore – Il direttore di Quattroruote, Gian Luca Pellegrini: «Oggi pesano la mancanza di una vera concorrenza e i pochi investimenti in ricerca e sviluppo»
Il deposito della Volkswagen di Setúbal, in Portogallo: il mercato dell’auto, in Europa, sta conoscendo una forte battuta d’arresto, soprattutto nel comparto dell’elettrico. ©Reuters/Rafael Marchante
Dario Campione
04.10.2024 06:00

Meno 16,5% in tutta Europa, meno 18,3% nella sola Unione. L’estate dell’auto, nel Vecchio continente, si è chiusa con numeri da brivido. Secondo i dati diffusi dall’associazione dei costruttori (ACEA), nel mercato europeo, ad agosto 2024, sono stati immatricolati 755.717 veicoli contro i 904.694 dello stesso mese dell’anno scorso. Un autentico crollo, che per alcuni costruttori è stato ancora maggiore. Proprio ieri, la FIM - il sindacato dei metalmeccanici della CISL - ha diffuso l’ultimo suo rapporto sulla produzione di Stellantis in Italia parlando di «profondo rosso». In nove mesi, negli stabilimenti della Penisola è stato prodotto il 31,7% di veicoli in meno rispetto al 2023, con tutte le catene di montaggio per la prima volta in negativo, incluse Pomigliano d’Arco e Atessa. «Non era mai successo», ha detto il segretario della FIM CISL Ferdinando Uliano. «Se continua così, alla fine del 2024 la produzione sarà inferiore alle 500 mila unità, qualcosa mai visto nell’ex Gruppo Fiat. Lo scorso anno sono stati fabbricati 751 mila veicoli. L’obiettivo di 1 milione di unità nel 2030, a questo punto, diventa impossibile». Anche negli USA, il gruppo ha registrato numeri pessimi: nel terzo trimestre 2024 le vendite sono crollate del 19,8% rispetto al 2023, con appena 305.294 veicoli venduti.

Il tema incentivi

Tra gli esperti del settore, le preoccupazioni si fanno sempre più forti. Sull’ultimo numero di Quattroruote, il direttore Gian Luca Pellegrini ha ventilato addirittura il pericolo di «implosione» dell’automotive europeo. «Sono venuti al pettine tutti i nodi di una transizione mal progettata dalla politica e anche mal declinata da parte dell’industria - dice Pellegrini al Corriere del Ticino - La politica ha imposto un cambiamento che, seppure inevitabile, giustificabile e persino logico, perché dettato dalla necessità di ridurre le emissioni inquinanti della mobilità, era sbagliato nel metodo e nei tempi. Nel metodo, perché non si impone per decreto una tecnologia; nei tempi, perché l’industria dell’automobile si muove su periodi estremamente lunghi. Nessuno, fuori dall’UE, ha imposto lo stop al motore termico al 2035. Nemmeno la Cina, che pure detiene e controlla l’intera filiera dell’elettrico».

Pellegrini parla di «sottovalutazione» del problema e di previsioni totalmente errate. «Probabilmente dice il direttore di Quattroruote - l’industria dell’auto pensava che obbligare tutti quanti a passare a una nuova tecnologia, l’elettrico, avrebbe risolto i problemi per anni. In realtà non è stato così. Esauriti gli incentivi pubblici, il mercato delle auto elettriche è rimasto clamorosamente inchiodato al 12%. Così adesso tutti stanno chiedendo nuovi aiuti. La Germania sta tornando verso gli incentivi, la Francia ci sta pensando, lo stesso fa l’Italia. Ma tutti possono facilmente comprendere come un business che abbia la necessità di avere in regalo soldi pubblici per affermarsi non sia sostenibile».

Le scelte che la politica ha imposto - il cosiddetto green deal o il phase-out, ovvero il ritiro di un prodotto dal mercato a una certa data - hanno «semplicemente amplificato i problemi che già esistevano all’interno dell’industria europea della mobilità - dice ancora Pellegrini - In particolare, la scarsa concorrenza e i pochi investimenti in ricerca e sviluppo. Negli ultimi anni, i produttori europei hanno puntato tutto sull’elettrico dopo avere però delocalizzato per risparmiare sui costi e avere affidato la leadership tecnologica del settore ai cinesi. I quali, adesso, stanno ovviamente portando in banca i dividendi di questo clamoroso autogol. Emergono, poi, anche i limiti della strategia europea di abbandonare le macchine di basso costo, le macchine abbordabili, per andare sulle auto che garantiscono maggiori margini».

E se questo è vero per i veicoli con motore termico, ancora di più pesa nel comparto elettrico, dove si vende meno sia perché i prezzi sono tuttora troppo alti, sia per le incertezze dei consumatori.

«Sicuramente, in alcuni Paesi c’è un problema di infrastruttura. In Italia, ad esempio, anche se le colonnine sono molte, si vendono pochissime automobili elettriche perché la qualità del servizio è bassa, sono erogate potenze inferiori rispetto a quelle indicate - dice ancora Pellegrini - ma, a mio avviso, c’è anche un gigantesco problema culturale: dove l’automobile rappresenta ancora un riferimento forte, l’elettrico è visto male. Il vissuto emotivo porta a un rifiuto. Quindi, non è soltanto un problema di prezzo, di difficoltà di ricarica o di disponibilità di infrastrutture. È anche una questione di scelte».

I rapporti con la Cina

Resta il fatto che l’Europa ha comunque deciso di vendere l’ultima auto termica nel 2035. È ancora un obiettivo raggiungibile? E come? «In questo - risponde Pellegrini - il problema dell’industria europea non è il 2035: è quello che accade domani, cioè nel 2025 con il sistema delle multe per eccesso di CO₂. Ogni casa automobilistica la cui emissione media delle auto della gamma eccederà i 95g/km dovrà pagare una sanzione per ciascuna macchina venduta. I produttori non sono riusciti a raggiungere la quota di elettrico sufficiente per evitare le multe, e quindi il tema dell’implosione dell’automotive europeo non riguarda il 2035 ma il 2025. Se non cambierà qualcosa, i costruttori di auto l’anno prossimo dovranno pagare 15 miliardi di euro di multe per le auto e 3 miliardi di euro di multe per i veicoli commerciali. Una cifra in grado di far saltare tutto per aria».

La previsione del direttore di Quattroruote è che «uno spostamento dal 2025 al 2027 delle sanzioni ci sarà, mentre nulla cambierà per il phase-out del 2035, una data diventata ormai identitaria e su cui Ursula von der Leyen non intende in alcun modo derogare».

Rimane irrisolta anche la questione dei rapporti con la Cina, che oggi domina il mercato dell’elettrico. «I cinesi - sottolinea Pellegrini - fanno ottime auto. D’altronde, glielo abbiamo insegnato noi. Così oggi paghiamo il dazio, per usare una parola che va di moda, della delocalizzazione della tecnologia, scelta fatta in passato per tentare di risparmiare. La Cina ha preso una decisione strategica sull’elettrico 30 anni fa. E ora controlla completamente la filiera del valore dell’elettrico, dall’estrazione delle terre rare fino alla produzione delle batterie. Non solo: i cinesi hanno sviluppato anche tutto il resto, compreso il software di controllo dei mezzi, su cui purtroppo gli europei non hanno mai investito abbastanza».

Correlati