Prezzi alimentari record, ma non sullo scontrino
Cereali, oli vegetali, carne, latticini, zucchero: la FAO (l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) lancia l’allarme. Le quotazioni alimentari mondiali in settembre sono aumentate ancora, avvicinandosi ai massimi di dieci anni fa. L’indice dei prezzi FAO, che traccia appunto le materie prime alimentari più scambiate a livello globale, il mese scorso ha registrato una media di 130 punti, il livello più alto dal settembre 2011, con un rincaro del 33% rispetto a dodici mesi fa. Ma cosa significa questo per il carrello della spesa e per l’inflazione, che sta aumentando in diverse zone del mondo? «Il rincaro si inserisce nel quadro più ampio dell’aumento dei prezzi delle commodities, ma va contestualizzato», ci spiega Gian Lugi Mandruzzato, senior economist della EFG Asset Management.
Secondo la FAO, la crescita dei prezzi è stata alimentata da un raccolto meno ricco dovuto all’andamento del clima e dalla maggiore domanda cinese. Il prezzo dell’energia, che negli ultimi mesi ha registrato un’impennata, influenza sia i costi di produzione sia quelli di trasporto. Le interruzioni nelle catene di approvvigionamento rendono la logistica più costosa. Inoltre alcune variazioni della domanda sono legate alle dinamiche di altre industrie. Ad esempio il grano viene utilizzato anche per la produzione di bioetanolo, particolarmente conveniente quando il petrolio sale oltre una certa soglia. I cereali in realtà hanno contribuito meno all’aumento generale dei prezzi. Tuttavia, come sottolinea la FAO, la loro accessibilità a livello mondiale è particolarmente importante, in quanto frumento, orzo, mais, sorgo e riso rappresentano almeno il 50% della nutrizione globale, e fino all’80% nei Paesi più poveri. Dal 2017 le scorte sono in calo, il che ha contribuito a far salire i prezzi bruscamente dal 2019. Per contro gli oli vegetali hanno raggiunto un massimo da vent’anni, trainati in particolare dall’olio di palma, che tra le altre cose è utilizzato nella produzione di biodiesel (più richiesto se il prezzo del petrolio sale). L’altra categoria alimentare che ha contribuito maggiormente all’aumento generale dei prezzi degli alimenti è lo zucchero. Anche in questo caso, i danni climatici comprese le forti gelate in Brasile, hanno ridotto l’offerta e gonfiato i prezzi.
Nel carrello della spesa
«Nel contesto storico i prezzi alimentari non appaiono ancora così elevati», spiega Mandruzzato. «Se si guarda infatti all’indice dei prezzi degli alimentari di Bloomberg, l’indice di riferimento sui mercati finanziari, oggi è a 58 dollari, a inizio 2020 era a 40, ma nel 2010 era a 100. È vero che c’è sempre un certo ritardo di trasmissione dei rincari dai produttori ai consumatori finali, soprattutto quando le fiammate di prezzi sono considerate temporanee. Tuttavia, nel medio termine ci si aspetta una normalizzazione, sia perché la produzione è in continuo aumento per stare al passo con la domanda, sia perché alcune problematiche come quelle legate alle catene di approvvigionamento dovrebbero rientrare». In effetti, come evidenzia uno studio dell’ACSI (l’associazione dei consumatori della Svizzera italiana), i consumatori al momento non hanno troppa ragione di allarmarsi. Da inizio 2008 a inizio 2021 il costo della lista della spesa è rimasto in costante calo, in alcuni casi fino al 30% (complice probabilmente anche il rincaro del franco, passato da 1,60 contro euro a 1,09, che ha fatto abbassare i prezzi dei prodotti importati). Secondo i grandi distributori svizzeri inoltre per ora non si notano rincari particolari nell’alimentare. «In generale - ci spiega Lorenzo Emma, direttore della Cooperativa Migros Ticino - ad oggi non ci sono stati aumenti particolari nel food se non puntuali e dovuti alle questioni meteo, come nel caso di frutta e verdura. Piuttosto abbiamo notato degli aumenti nel settore degli imballaggi, che però dovrebbero essere compensati da una maggiore efficienza tecnologica. In alcuni settori, come la pasta, si parla di possibili aumenti dovuti ai costi logistici o al rincaro energetico. Ma per ora continuiamo con il programma previsto di riduzione dei prezzi».
Gli effetti sull’inflazione
Infine, nota ancora Mandruzzato, anche a livello macroeconomico gli effetti dei rincari sull’inflazione dovrebbero essere contenuti. «Il picco dei prezzi alimentari ci mette circa 10 mesi per essere trasmesso al consumatore e altri 9 mesi per rientrare. In Svizzera i prezzi alimentari rappresentano solo per il 10% del paniere che misura il carovita, mentre nei Paesi emergenti il peso è più alto. Quindi anche se l’inflazione alimentare annua nel 2021 dovesse salire di qualche punto percentuale (in giugno era a -2,8%, in settembre a -1,7%), l’impatto sull’indice dei prezzi complessivo sarebbe contenuto».