Piazza finanziaria

Prove di intesa per agire sul mercato italiano

Le autorità di vigilanza svizzera e italiana (Finma da una parte, Consob e Banca d’Italia dall’altra) hanno chiarito le norme da rispettare nelle attività bancarie transfrontaliere
L’Italia rappresenta un importante mercato di riferimento per numerose banche svizzere, specie quelle attive nel «wealth management». © Keystone/Martin Ruetschi
Dimitri Loringett
30.08.2023 21:14

È passata un po’ sottotraccia, ma l’annuncio dell’accordo in pieno agosto o meglio il «Memorandum of Understanding» (MoU), come tecnicamente è chiamato, tra le autorità di vigilanza sui mercati finanziari di Svizzera (Finma) e Italia (Consob e Banca d’Italia) è un indizio che qualcosa sul fronte dell’accesso al mercato italiano da parte degli operatori finanziari svizzeri forse si sta muovendo. Almeno, l’Associazione svizzera dei banchieri (ASB) l’ha accolta «con favore», in quanto è «indice di una buona e mirata collaborazione tra le autorità di vigilanza responsabili dei servizi bancari e d’investimento dei due Paesi». L’auspicio ora dell’ASB è che «tale accordo possa essere un punto di partenza per affrontare la questione relativa a un accesso al mercato italiano agevolato per le banche svizzere, come da tempo opportunamente postulato». Situazione che si protrae almeno dalla firma della «roadmap» tra Svizzera e Italia avvenuta ormai nel febbraio del 2015. Da allora è cambiato il modo: scambio automatico d’informazioni; cancellazione della Svizzera da tutte le blacklist fiscali italiane (l’ultima, quella sull’inversione dell’onere della prova è caduta lo scorso aprile); intesa sulla tassazione dei frontalieri. La possibilità di accedere al mercato italiano senza una stabile organizzazione manca ancora.

Maggiore certezza del diritto

L’agevolazione dell’accesso al mercato figurava già all’epoca tra i vari propositi, ma ad oggi non si è mai proceduto efficacemente alla sua concreta attuazione. «Non conosciamo ancora i contenuti precisi dell’accordo di collaborazione, che è piuttosto un MoU, o una ratifica delle attuali disposizioni in vigore tra le due autorità di vigilanza, perché non è un vero e proprio contratto tra le parti (la Finma, infatti, ha specificato che l’accordo non ha un effetto giuridico)», ci spiega Franco Citterio, direttore dell’Associazione bancaria ticinese (ABT).

Come sappiamo bene, l’Italia rappresenta un importante mercato di riferimento per numerose banche svizzere, soprattutto nel settore della gestione patrimoniale e del «wealth management». Da molto tempo, infatti, l’ABT (e l’ASB) chiedono più facilità di accesso al mercato italiano sui servizi d’investimento dalla Svizzera verso l’Italia. «L’operatività transfrontaliera - continua Citterio - non è vietata in sé, ma è limitata alla cosiddetta “reverse solicitation”, ovvero il contatto con il cliente all’estero può avvenire solo in maniera passiva, una condizione che continua a non soddisfarci. L’interpretazione di questa regola è densa di dubbi, ma devo dire che le banche svizzere l’hanno sempre interpretata in modo molto prudente».

Quindi, che cosa cambia con questo accordo? Ancora il direttore dell’ABT: «Qualche piccolo passo in avanti c’è, sebbene si tratti solo di una serie di precisazioni delle normative per, come citato dalla Finma, “aumentare la certezza del diritto”».

Le tre «precisazioni»

Ci sono tre generi di affari che si possono svolgere dalla Svizzera verso l’Italia. Uno riguarda i clienti professionali, come i fondi d’investimento, i fondi di previdenza e le grosse istituzioni.

«Il Testo unico della finanza (TUF), il complesso legislativo italiano sull’intermediazione finanziaria - spiega Citterio - autorizza le banche svizzere ad avere relazioni e contatti attivi con la clientela professionale nell’ambito degli investimenti, una disposizione già in vigore ma che ora è stato meglio precisato».

Un altro genere di affare che si può svolgere dalla Svizzera è quello legato ai servizi strettamente bancari, come ad esempio la concessione di crediti, l’apertura di relazioni bancarie. Ancora Citterio: «È la famosa “Libera prestazione di servizi” (LPS), prevista dal TUF e che ora è chiarita. Devo dire però che sono pochi i casi, perlomeno a mia conoscenza, di banche svizzere che abbiano sfruttato questa disposizione perché il loro vero interesse è la gestione patrimoniale».

Infine, si precisa la normativa riguardo l’obbligo di succursale. «In sostanza - conclude Franco Citterio- il TUF consente agli operatori svizzeri di agire attivamente in Italia solo a condizione di aprire una succursale nel Paese, altrimenti sono limitati alla citata “reverse solicitation”».