Il ricordo

Quando il Credito Svizzero fece scandalo in Ticino

Nel 1977 la filiale di Chiasso finì al centro della cronaca nazionale e internazionale: il direttore fu arrestato con l'accusa di amministrazione infedele
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Red. Online
20.03.2023 12:15

Non è la prima volta che Credit Suisse fa parlare di sé. In Ticino, quando l’istituto si chiamava Schweizerische Kreditanstalt o semplicemente Credito Svizzero, nel 1977 esplose il cosiddetto scandalo Texon. Un colpo duro, e gravissimo, alla credibilità del sistema bancario. Riguardante la filiale di Chiasso. Certo, qualche anno prima era fallita la banca Vallugano. Ma la fiducia, globalmente, non era stata intaccata.

Nell’aprile del 1977, invece, saltò fuori che il Credito Svizzero aveva accusato una perdita di 250 milioni di franchi. Il motivo? Operazioni non autorizzate all’interno della citata filiale di Chiasso. Il 24 aprile, riportano le cronache dell’epoca, il direttore di quella filiale, Ernst Kuhrmaier, e due vicedirettori finirono in manette con l’accusa di amministrazione infedele. I giornalisti riferirono addirittura che, a causa di una serie di transazioni illecite e di cattiva gestione, il buco in realtà superava il miliardo di franchi.

Gli inquirenti, in seguito, scoprirono che Kuhrmeier e uno dei suoi vice avevano riciclato per anni, all’insaputa della banca, capitali italiani in fuga. Una questione legale, certo, ma anche etica. Si parlò di evasione fiscale, traffici illeciti, perfino legami fra il denaro che confluiva a Chiasso e le organizzazioni criminali. I capitali e i clienti venivano attirati grazie a promesse di guadagni favolosi e, sullo sfondo, con la garanzia di una delle banche elvetiche più rinomate. In seguito, i soldi venivano smistati da alcuni dirigenti della filiale con la complicità di alcuni avvocati d’affari ticinesi.

All’epoca, per riciclare quelle somme gli accusati fecero capo a una finanziaria di Vaduz, la Texon, che reinvestì i fondi in partecipazioni in società italiane. La Texon, non a caso, fu definita una banca nella banca.

Il Ticino reagì con forza allo scandalo, che di per sé fece molto rumore. Alla politica fu chiesto un maggior controllo sulle banche, quantomeno in termini di correttezza e trasparenza delle pratiche. Ci furono, proprio a causa di questa vicenda, anche forti sconvolgimenti a livello di Consiglio di Stato culminati con l’ingresso di Fulvio Caccia in governo. Una persona ritenuta estranea al mondo dell’economia e della finanza: era direttore del Liceo di Lugano.

Il processo per il caso Texon ebbe un’eco nazionale e internazionale. I due principali imputati, nel 1979, furono condannati a 4 anni e mezzo, altri si beccarono 16 mesi con la condizionale.

Il procuratore pubblico Paolo Bernasconi non rilevò responsabilità da parte dei vertici del Credito Svizzero. Ma criticò aspramente la negligenza, a livello di controlli, degli stessi alti dirigenti.

Lo scandalo, fra l’altro, segnò pure la trasformazione strategica del Credito Svizzero in un gruppo finanziario a vocazione internazionale. Nel 1989, alla fine di un lungo iter, il Credito Svizzero divenne una filiale di CS Holding, cui appartenevano anche CS First Boston, Fides, Elektrowatt, CS Life e la Banca Leu, rilevata nel 1990. Nel 1993 entrò nella holding anche la Banca popolare svizzera. Nel corso di un’ulteriore riorganizzazione, nel 1997 il Credito Svizzero confluì nel Credit Suisse Group (CSG). Dello stesso anno, concludendo, la fusione con Winterthur Assicurazioni.

Un giovane Paolo Bernasconi. © KEYSTONE
Un giovane Paolo Bernasconi. © KEYSTONE
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