L'analisi

Quando l’aumento del reddito non è sinonimo di felicità

È definito il «Paradosso di Easterlin» dal nome dell’economista che per primo ha messo in relazione il rallentamento della soddisfazione al crescere dei guadagni - Binomio confermato anche in Svizzera per entrate oltre i 100 mila franchi l’anno
©Pablo Gianinazzi
Costanza Naguib
07.11.2024 06:00

È diffusa l'idea che un aumento del reddito sia sinonimo di maggiore felicità. Tuttavia, un famoso studio dell’economista americano Richard Easterlin, già nel 1995 metteva in discussione questa visione semplicistica del rapporto tra crescita economica e benessere. Il «paradosso di Easterlin» - fenomeno che ha preso il nome dall’autore dello studio - suggerisce che un aumento generalizzato dei redditi non porti necessariamente a un incremento della felicità di tutti. Ma come è possibile?

L’argomentazione di Easterlin si basa su una semplice osservazione: a parità di condizioni, le persone con redditi più elevati tendono a dichiararsi più felici rispetto a quelle con redditi inferiori. Tuttavia, quando il reddito di un’intera società cresce, la felicità dei diversi gruppi sociali non necessariamente aumenta di conseguenza. Questo avviene perché le aspettative materiali delle persone crescono insieme al reddito. In altre parole, mentre i livelli di benessere materiali migliorano, anche le aspettative progrediscono, impedendo alle persone di sentirsi davvero più soddisfatte.

Essere felici è molto soggettivo

Il problema può essere spiegato con l’esperimento mentale seguente: immaginiamo che il nostro reddito personale aumenti significativamente, mentre quello di tutti gli altri rimanga invariato. In questa situazione, è probabile che ci si senta più felici, avendo un vantaggio relativo sugli altri. Al contrario, se il reddito di tutti aumentasse tranne il nostro, ci sentiremmo probabilmente meno benestanti, anche se il nostro livello di vita non è peggiorato. Questo accade perché il benessere soggettivo viene spesso giudicato in rapporto agli altri, e quando la qualità di vita migliora in modo generalizzato, anche le aspettative di cosa rappresenti una vita agiata crescono di pari passo.

Secondo Easterlin, la felicità o il benessere soggettivo variano direttamente con il proprio reddito, ma in modo inversamente proporzionale al reddito medio degli altri. In altre parole, un aumento generalizzato dei redditi non comporta un aumento del benessere, perché l’effetto positivo del maggiore reddito viene annullato dall’effetto negativo dell’aumento delle aspettative. I dati confermano questa teoria. Negli Stati Uniti, studi condotti tra il 1946 e il 1991 mostrano che, nonostante un significativo aumento del reddito pro capite, la felicità media della popolazione è rimasta sostanzialmente invariata. Anche in Giappone, nonostante un notevole aumento del reddito pro capite tra il 1958 e il 1987, il livello medio di benessere soggettivo non ha mostrato miglioramenti significativi.

In Svizzera, stando ai dati del Panel Svizzero delle Famiglie per gli anni 1999-2022, il reddito è sì uno dei fattori determinanti (per circa il 40%) del grado di soddisfazione complessiva dell’individuo riguardo la propria vita. Tuttavia, se consideriamo solo i redditi superiori a 100.000 franchi annui, ecco che il reddito diventa una componente assai meno importante, determina cioè solo circa il 5% della felicità dell’individuo. Questo fatto è coerente con quanto riscontrato nei dati di altre economie avanzate negli ultimi decenni: una volta che il livello di reddito è sufficiente per far fronte alle spese domestiche senza preoccupazioni, ulteriori incrementi di reddito non fanno aumentare la felicità delle persone, o solo in maniera minima. Questo perché il beneficio materiale diventa meno importante, mentre si rafforza l’effetto di competizione o confronto con gli altri (colleghi, vicini di casa, ecc…) che dunque fa diminuire la soddisfazione individuale.

Più si è ricchi e più si desidera

A questo proposito vale la pena di citare lo studio internazionale condotto da Hadley Cantril (1965), secondo il quale le aspirazioni delle persone nei paesi sviluppati sono molto più elevate rispetto a quelle delle persone nei paesi meno sviluppati. Ciò significa che, man mano che una società diventa più ricca, anche le aspettative materiali dei suoi abitanti aumentano, rendendo più difficile raggiungere uno stato di completa soddisfazione. Naturalmente, anche le differenze culturali influenzano profondamente la percezione della felicità. Anche se il reddito pro capite è simile, le risposte alla domanda «Quanto sei felice?» possono variare notevolmente in base al paese di appartenenza, suggerendo che la cultura e le norme sociali abbiano un impatto significativo sulla valutazione soggettiva del proprio benessere.

Fondamentale è inoltre il ruolo dell’abitudine. Le persone tendono ad adattarsi ai loro livelli di reddito e a considerare normale il tenore di vita raggiunto. Questo fenomeno è noto come «teoria dell'adattamento» e suggerisce che il benessere dipenda non solo dal reddito attuale, ma anche da quello passato. Se un individuo si abitua a un certo livello di agiatezza, un aumento di reddito, per esempio in seguito a una promozione, porterà a un incremento della felicità solo temporaneo, dopo di che le aspettative si adatteranno alla nuova condizione. Se in seguito la stessa persona si trovasse per qualunque motivo a guadagnare di nuovo quanto prima della promozione, il suo livello di felicità sarebbe inferiore a quello che aveva prima, a causa dell’avvenuto adattamento al nuovo tenore di vita.

Ciò non significa che la crescita economica non sia importante. Numerosi studi provano che redditi più elevati in termini assoluti sono associati a migliore istruzione, migliori condizioni di salute e maggiore aspettativa di vita. Per la felicità, però, i soldi non sono tutto.