Quel «dialogo costruttivo» che rende ricca la Svizzera

«In un periodo storico dove i conflitti, le tensioni fra le parti sono crescenti, parlare di partenariato sociale non è semplice. Però è una via maestra che ha consentito, tramite il “dialogo costruttivo” fra imprenditori e rappresentanti dei lavoratori e la ricerca di soluzioni concordate, di mantenere la pace sociale nel nostro Paese e di creare quelle condizioni quadro necessarie la per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro».
Così ha esordito il consigliere di Stato ticinese Christian Vitta in apertura dell’incontro intitolato «Il partenariato sociale, pilastro della cultura svizzera», svoltosi al Palazzo dei Congressi di Lugano. Si è trattato del secondo appuntamento di una serie inaugurata giusto un anno fa e promossa dalla Divisione economia del DFE e dalla Divisione socialità della Città di Lugano.
Al cuore del partenariato sociale c’è, appunto, il dialogo fra padronato e lavoratori. Un dialogo che coinvolge, sempre più spesso, anche l’ente pubblico, sul cui ruolo si è soffermato Lorenzo Quadri, municipale luganese a capo della citata Divisione socialità. Quadri ha sottolineato il coinvolgimento dell’autorità cittadina nel meccanismo del partenariato sociale che è «fondamentale per mantenere la stabilità sociale e promuovere il progresso economico».
Il municipale leghista ha illustrato, tra le altre cose, le misure anticrisi che la Città ha attuato a partire dal 2009 per affrontare, per esempio, il problema dell’occupazione, così come le misure per favorire lo sviluppo sostenibile della città, ponendo l’accento sulla messa «in rete» tra attori privati, mondo accademico e quello variegato delle associazioni.
Svizzera pioniera dei CCL
Una delle più importanti conquiste dei movimenti sindacali dell’Ottocento e del partneriato sociale sviluppatosi successivamente nel Novecento è indubbiamente l’istituzione dei contratti collettivi di lavoro (CCL), la cui evoluzione nel tempo è stata descritta da Renzo Ambrosetti, già presidente nazionale del sindacato Unia.
Ambrosetti ha illustrato come a favorire la diffusione dei CCL sono stati due momenti storici caratterizzati da forte tensioni fra padronato e lavoratori, sfociate nello sciopero generale del 1918 e nell’ondata di agitazioni fra gli anni 1944-47. Ed è proprio nel periodo fra le due Guerre mondiali che videro la luce i primi CCL, nei settori metallurgico, edile e orologiero. Da allora l’ascesa di questi accordi è stata costante fino ad arrivare a coprire circa la metà dei settori d’attività presenti nella Confederazione.
Un terzo momento di crescita per i CCL (e di consolidamento generale del meccanismo del partneriato sociale) è stato negli anni Ottanta, quando vennero inserite in alcuni CCL conquiste come il congedo maternità e la settimana lavorativa di 40 ore.
«Pressioni» post-neoliberiste
Ambrosetti ha poi offerto alcune riflessioni sul futuro dei CCL, parlando in particolare di crescenti «pericoli». Il sindacalista ha sottolineato come le politiche neoliberiste degli anni Novanta abbiano messo sotto pressione, se non addirittura in discussione, questi strumenti ed eroso la solidarietà associativa, portando poi certi ambienti padronali a propendere per partenariati «aziendali» dove i lavoratori non sono rappresentati dai sindacati ma da, per esempio, associazioni interne del personale. Alla lunga, sostiene infine Ambrosetti, si rischia di provocare l’aumento dell’intervento statale (per esempio con i non auspicati contratti normali di lavoro, noti in Ticino per contrastare i casi acuti di «dumping» salariale praticati in alcune aziende).
Industria MEM precursore
A rappresentare il lato padronale è intervenuto in seguito Marcel Marioni di Swissmem, la principale associazione dell’industria tecnologica, fra le prime in Svizzera a firmare un CCL, nel lontano 1936. Marioni non ha esitato a difendere i CCL, pur sottolineando l’attuale contesto delicato in cui si muove il settore, che dà lavoro a oltre 300 mila persone e contribuisce al 7% del PIL della Svizzera. Le industrie MEM sono infatti ritenute «a rischio» per via della loro natura «capital intensive» e le sfide sono molte, ha rimarcato Marioni, tra cui l’accesso ai mercati (esteri) e alla manodopera qualificata. Sebbene le aziende tecnologiche siano sempre state capaci di trovare soluzioni, per Swissmem il rischio è che in mancanza di condizioni quadro soddisfacenti (il riferimento era rivolto anche alle negoziazioni in corso con Bruxelles sui Bilaterali III) queste non sempre vengano trovate in Svizzera.
Contratti «difficili» ma riusciti
Alla tavola rotonda conclusiva hanno partecipato attori coinvolti in due CCL ticinesi «difficili» - quello degli impiegati di commercio e quello degli ingegneri e architetti - condividendo la loro esperienza nel portare le negoziazioni a proficua conclusione.
In seguito, si è parlato della questione dell’obbligatorietà generale dei CCL, auspicata dai sindacati ma invisa da Swissmem, che ritiene che l’adesione debba essere «una scelta» e non un obbligo.
Si è parlato inoltre delle difficoltà nel spiegare il valore e i vantaggi del CCL, per esempio nel settore degli impiegati di commercio, dove i datori di lavoro «stranieri» ne potrebbero beneficiare anche per conoscere meglio il tessuto socio-economico del Ticino.