Renault se ne va? E noi rispolveriamo l'auto sovietica
Alcune settimane fa, avevamo dedicato un articolo ad AvtoVAZ. E, in generale, alle difficoltà cui era confrontato il settore automobilistico russo complici le sanzioni. Titolo: le Lada non sgommano più.
Negli scorsi giorni, Renault ha ufficializzato il suo addio alla Federazione Russa (pur affermando che, un giorno, potrebbe farvi ritorno). Nello specifico, il colosso francese ha venduto Renault Russia alla città di Mosca mentre la sua partecipazione (68%) in AvtoVAZ, il conglomerato che produce le Lada, è stata ceduta a un centro di ricerca di proprietà statale.
E adesso? Come farà Vladimir Putin a garantire automobili alla popolazione? Bella domanda.
«Una macchina terribile»
Una prima risposta, fra il grottesco e l’inquietante, l’ha data il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin. La fabbrica cittadina, dove un tempo le automobili parlavano francese, verrà adoperata per ravvivare e riavviare un marchio dell’era sovietica: Moskvitch.
Fondata nel 1930, trasferitasi negli Urali durante la Seconda guerra mondiale e costretta a produrre equipaggiamento militare, dopo il conflitto acquistò una linea di produzione della Opel a Brandeburgo e iniziò a sfornare, in serie, delle Kadett ribattezzate Moskvitch-400.
Come molti altri marchi legati al comunismo e all’Unione Sovietica, tuttavia, anche quello che Sobyanin, in un misto di nostalgia e necessità, intende ravvivare aveva una montagna di problemi. Lewis Siegelbaum, autore del volume Cars for Comrades, ha definito il modello 408, che mordeva le strade negli anni Sessanta, «una macchina terribile». Ahia.
Le parole del sindaco
Eppure, anche all’epoca il Paese aveva bisogno di automobili e, non sapendole fare, si affidava al savoir-faire straniero. Se l’Italia, con un esercizio di equilibrismo politico notevole, seppe piazzare la Fiat a Togliatti senza irritare troppo gli americani, la Francia stipulò un accordo proprio con Moskvitch: Renault avrebbe modernizzato l’azienda moscovita e, ancora, aumentato la produzione a 200 mila unità entro il 1975. Una sfida notevole.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica, nel 1991, ha reso ancora più appetitoso il mercato russo per i marchi stranieri. Renault, nel 2005, non a caso riaprì una parte di un’ex fabbrica Moskvitch grazie a uno sforzo congiunto con il comune di Mosca.
Sul suo blog, il sindaco Sobyanin ha motivato la scelta di – per certi versi – tornare al passato per salvaguardare le migliaia di posti di lavoro che garantiva Renault. «Ho preso la decisione di registrare lo stabilimento come risorsa cittadina e riprendere la produzione di autovetture con lo storico marchio Moskvitch».
Funzionerà? Sì, no, forse. L’addio, di sicuro, è una mazzata. E sarà una mazzata. Renault aveva a libro paga 45 mila dipendenti e deteneva il 39% del mercato. Moskvitch, dal canto suo, aveva smesso di produrre automobili ben prima del suo crollo effettivo: la leggenda narra che, negli ultimi anni, la domanda era talmente bassa che nelle fabbriche si misero a produrre tavoli da biliardo.
E i collezionisti?
Sobyanin, nella sua analisi, si è spinto evidentemente oltre. Offrendo soluzioni tutto fuorché facili: le parti, considerando le sanzioni, arriveranno da altre fabbriche russe; la produzione partirà dalle auto convenzionali ma passerà presto all’elettrico.
Il marchio, che ebbe pure un discreto successo all’estero, soprattutto nei Paesi del blocco sovietico ma anche in Finlandia, Francia e Norvegia, non è mai scomparso né nell’immaginario collettivo russo né tantomeno dalle strade: secondo i dati, citati dalla CNN e da Reuters, sarebbero circa 200 mila i veicoli Moskvitch ancora immatricolati nella Federazione.
Vi fu, altresì, un breve, brevissimo periodo di splendore nel Regno Unito. All’inizio degli anni Settanta, infatti, Satra Motors – l’importatore e distributore ufficiale di auto sovietiche in Gran Bretagna – assunse l’incarico di vendere le Moskvitch ai sudditi di Elisabetta. In quattro anni, furono vendute 14.500 unità. La forte domanda, tuttavia, ne segnò anche il declino: le auto venivano consegnate non appena uscivano dalla linea di produzione, senza i necessari controlli di qualità. Nel 1973, poi, una rivista specializzata britannica espresse significativi dubbi sulla sicurezza dei veicoli. L’emergere delle Lada fece il resto.
Di sicuro, però, la notizia ha risvegliato la curiosità degli appassionati. Sebbene la qualità lasciasse spesso a desiderare, infatti, le automobili prodotte nell’Europa dell’Est durante l’epoca comunista, dopo il crollo del Muro di Berlino, hanno raggiunto uno status di culto assoluto. Pensiamo alle Trabant, ma anche alle stesse Lada e, appunto, alle Moskvitch.