L'analisi

Salvataggio Credit Suisse, le cose non dette

Nella vicenda del salvataggio di Credit Suisse, e in particolare della decisione della Finma di azzerare il valore (circa 16 miliardi di franchi) delle ormai famigerate obbligazioni AT1, emergono alcuni curiosi e per certi versi inquietanti elementi risalenti a quei concitati giorni di marzo.
La conferenza stampa di domenica 19 marzo 2023. © Keystone/Peter Klaunzer
Dimitri Loringett
Dimitri LoringetteRed. Economia
05.10.2023 10:45

Nella vicenda del salvataggio di Credit Suisse, e in particolare della decisione della Finma di azzerare il valore (circa 16 miliardi di franchi) delle ormai famigerate obbligazioni AT1, emergono alcuni curiosi e per certi versi inquietanti elementi risalenti a quei concitati giorni di marzo.

Riavvolgendo brevemente il nastro, ricordiamo che all’inizio di quella ormai famosa settimana di metà di marzo i mercati erano molto nervosi riguardo Credit Suisse. Il titolo in Borsa era in caduta libera (lunedì 13 chiuse in calo di oltre il 15% a 2,12 franchi) e i deflussi di fondi dei clienti erano in accelerazione, alimentati in particolare dalle sfortunate esternazioni di mercoledì 15 della Saudi National Bank (il maggiore azionista della banca, con una quota del 9,9% del capitale), che aveva detto di non essere in grado di fornire altro capitale a causa di restrizioni normative (non poteva infatti superare la quota del 10%). La dichiarazione è stata interpretata male dai mercati che hanno continuato a «scaricare» il titolo in Borsa, mentre sul fronte dei depositi si è scatenato il fuggi-fuggi, tale da far intervenire la BNS, giovedì 16, con una linea di credito d’emergenza di 50 miliardi di franchi per garantire la liquidità della banca.

Gli sviluppi successivi sono ormai noti, ma in quei giorni da più parti si è tentato di gettare acqua sul fuoco. E lo ha fatto non solo la Finma e la BNS (mercoledì 15 marzo hanno dichiarato che Credit Suisse adempiva le esigenze regolamentari in materia di capitale e di liquidità), ma anche la banca stessa, con il CEO Ulrich Körner che ha dichiarato, martedì 14 in un’intervista a Bloomberg, che la banca da lui diretta stava registrando importanti afflussi di fondi, migliorando oltretutto la situazione della liquidità e del relativo indice di copertura.

Ma c’è un elemento finora poco conosciuto nella vicenda degli AT1: lo stesso giorno dell’intervista del CEO Körner su Bloomberg, Credit Suisse pubblica sul suo sito web una «Fixed Income Investor Presentation» in cui era contenuta una scheda dal titolo «Swiss bail-in regime: build-up of HoldCo debt layer reduces loss given default and supports credit rating», nella quale veniva descritta la «Bail-in hierarchy in Switzerland». Nella gerarchia evidenziata da CS, viene indicato che in caso di «point of non-viability», la «Loss absorption waterfall» (piano d’assorbimento ‘a cascata’ delle perdite) prevede che il capitale azionario risponda in prima istanza e che solo in seconda battuta si possa fare ricorso alle obbligazioni AT1 (e AT2). Questa è almeno la prima impressione che ne avrebbe un investitore. Nello stesso documento, però, c'è il classico «fine print» (clausola scritta in caratteri piccoli, che nessuno mai legge), con un significato molto ambiguo: «nella misura in cui (le obbligazioni AT1 e AT2) non siano state convertite/svalutate, prima della ristrutturazione in base alle condizioni (contrattuali, ndr)». Aggiungiamo che la stessa presentazione fu fatta qualche anno prima, nel 2016, senza la clausola…

Come abbiamo riferito lo scorso 7 agosto, due giorni prima dell’acquisizione-salvataggio da parte di UBS, CS avrebbe annunciato l'intenzione di utilizzare parte della linea di credito della BNS per rimborsare alcune obbligazioni AT1 e pubblicato un elenco delle obbligazioni oggetto di tale rimborso, ma la Finma si sarebbe opposta. A giungere all’ultimo per salvare una situazione di fatto già disperata ci sarebbe stata anche la Saudi National Bank: secondo quanto riferito dal «Wall Street Journal» lo scorso 19 marzo, la banca, in netta antitesi con la sua stessa dichiarazione del 15 marzo, avrebbe offerto 5 miliardi di dollari per salvare il Credit Suisse e proteggere così i detentori di bond AT1, offerta che però è stata rifiutata dal Consiglio federale (che ha però accettato l’offerta inferiore di UBS di 3 miliardi).

La conferenza stampa e le incertezze comunicative

Dopo una settimana particolarmente turbolenta e durante la quale iniziavano anche a trapelare indiscrezioni su una possibile fusione con UBS, domenica 19 marzo 2023, alle ore 19.30, si è tenuta una conferenza stampa a Berna con la partecipazione del presidente della Confederazione Alain Berset, della consigliera federale (e capo del Dipartimento federale delle finanze, DFF) Karin Keller-Sutter, della presidente della Finma Marlene Amstad, del presidente della Banca nazionale svizzera (BNS) Thomas Jordan, del presidente di UBS Colm Kelleher e del presidente di Credit Suisse Axel Lehmann. Ripercorriamo in sintesi alcuni momenti di quel momento storico.

Il presidente della Confederazione esordiva raccontando gli eventi dell’ultima settimana che avevano colpito Credit Suisse per poi affermare che, a seguito dei continui e massicci deflussi di liquidità «non era più possibile ripristinare la fiducia necessaria (nella banca e nei mercati, ndr) e che una soluzione rapida e stabilizzante era assolutamente necessaria». Questa soluzione, ha aggiunto Berset, «è l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS».

A quasi mezz’ora dall’inizio della conferenza stampa, si è fatto accenno alla spinosa questione delle obbligazioni AT1 – uno strumento finanziario che fino ad allora praticamente nessuno, al di fuori degli specialisti, aveva sentito nominare. La numero uno della Finma Marlene Amstad ha affermato, in modo anche un po’ ambiguo, che «la soluzione presentata oggi, l'acquisizione di CS da parte di UBS, le misure di stabilizzazione della Confederazione e della BNS in termini di liquidità e la conversione dei corrispondenti strumenti di capitale AT1 in capitale proprio ordinati dalla Finma, portano stabilità per i clienti della banca per la piazza finanziaria e per i mercati finanziari in generale». In altre parole, Amstad ha detto che la Finma ha ordinato la trasformazione («Wandlung») degli AT1 in capitale proprio («Eigenkapital»), ciò che però non è avvenuto in quanto, anziché convertire queste obbligazioni in azioni (ricordiamo che le obbligazioni «Additional Tier 1» sono strumenti di capitale aggiuntivo creati a seguito della crisi finanziaria globale del 2008 per consentire alle banche di rafforzare il loro capitale per far fronte alle crisi), la Finma ha deciso per il loro azzeramento e cancellazione completa. Va comunque precisato che il prospetto di emissione di queste obbligazioni non prevedeva una conversione in azioni, cosa singolare dato che il concetto originale di questi strumenti prevedeva proprio quello (si chiamano, infatti, «Contingent Convertible Bonds», ovvero obbligazioni convertibili in base a una determinata contingenza).  

L’affermazione ha colto di sorpresa i giornalisti presenti in sala. Fra questi, Dominik Feusi del portale Nebelspalter ha chiesto: «Ho capito bene che gli azionisti, i detentori di obbligazioni convertibili, gli obbligazionisti, i creditori ecc., non subiranno alcun danno e che, quindi, stiamo salvando i sauditi (Saudi National Bank, il maggior azionista di CS, ndr) che alla fine hanno messo il coltello in gola a CS venerdì sera?» La domanda faceva capire come i giornalisti non avessero colto per nulla il fatto che gli obbligazionisti AT1 erano appena stati «depredati» di oltre 16 miliardi di franchi. Pervenuta la perniciosa domanda, i conferenzieri si guardano l’un l’altro fino a quando la consigliera federale Keller-Sutter ha detto: «È la Finma che deve rispondere…». A questo punto Marlen Amstad, che è anche professoressa titolare all’Università di Berna e senior fellow presso Harvard, ha risposto, tentennando: «Quindi devo dire che… gli AT1 fanno parte del regolamento "too big to fail" ... che è inteso in modo tale che le obbligazioni corrispondenti – che sono detenute da investitori, non da piccoli investitori, ma da […] e grandi investitori –siano poi convertite in azioni e nel quadro della "regolamentazione too big to fail", che è stata ora attivata anche in questo caso; questo è il motivo per il quale sono coinvolti anche gli investitori che lei (giornalista di Nebelspalter, ndr) ha menzionato».

Il punto sui «grandi investitori» menzionato dalla presidente della Finma è – in parte – inconsistente con quanto indicato nel prospetto di emissione dei bond AT1, che prevede anche dei tagli minimi da 5 mila franchi – una caratteristica tipica degli strumenti di debito adatti anche ai piccoli investitori retail (da nostre informazioni risulta che ci sono clienti retail anche in Ticino che hanno comperato questi titoli). Inoltre, come detto, queste obbligazioni non sono state convertite in azioni (perché non era previsto dal prospetto di emissione) bensì azzerate tout court. A correre in aiuto della numero uno di Finma è poi giunta la direttrice del DFF, Karin Keller-Sutter: «Posso aggiungere brevemente… questa è certamente una soluzione dolorosa per coloro che detengono tali partecipazioni in Credit Suisse, ma è una soluzione corretta dal punto di vista normativo». In effetti, dal profilo della regolamentazione la Finma poteva procedere con l’azzeramento degli AT1, ma solo a determinate condizioni, notoriamente nel caso di un cosiddetto «viability event» che, come abbiamo riferito lo scorso 19 maggio, è oggetto di controversia.

Nel frattempo, iniziava a circolare in Rete il comunicato stampa della Finma contenente il seguente passaggio che diceva ciò che fino ad allora non era stato detto e che ha fatto scoppiare il caso degli AT1: «Il sostegno straordinario dello Stato determina un ammortamento totale del valore nominale di tutte le obbligazioni AT1 di Credit Suisse, pari a circa sedici miliardi di franchi, con conseguente aumento del capitale di base». Verso la fine della conferenza stampa, cogliendo la serietà della situazione, una giornalista dell’agenzia Reuters ha formulato una domanda precisa e inequivocabile: «Come mai gli azionisti di CS ottengono qualcosa ma gli obbligazionisti AT1 no?». Alla domanda ha risposto di nuovo Marlene Amstad, tentennando ancora più di prima (trascriviamo letteralmente, con traduzione in italiano dall’inglese, per altro poco efficace): «Avevamo bisogno… ehm… quindi gli AT1… ehm… l'intero pacchetto… ehm… ha l'intenzione di stabilizzare il sistema finanziario e di assicurare la stabilità del sistema finanziario e per questa fase di transizione avevamo bisogno dell'ingresso di capitale… ehm… lo strumento previsto in una situazione come lo strumento “too big to fail” è l'AT1 e quindi abbiamo scelto di… in un certo senso di… ancora… attenerci a questo…. “too big to fail” e attivare solo il… gli AT1…». In altre parole, sul piano comunicativo la Finma non ha saputo argomentare e difendere la sua decisione.

Come noto, da lì a poco il Tribunale amministrativo federale (TAF) sarebbe stato invaso da una moltitudine di ricorsi contro la decisione della Finma, come abbiamo riferito a più riprese. Resta ora attendere che i giudici di San Gallo si esprimano sul caso dei bond AT1, ma stando a informazioni raccolte dal CdT, è molto probabile che questa avvenga non prima di inizio anno prossimo.

Questo articolo è stato tratto dal contributo originale in inglese CS AT1 Case: The Unspoken Things curato dall'esperto di diritto bancario e finanziario Avv. Dario Item e pubblicato sul portale antigua.news.

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