Segnali di recessione dai mercati del greggio

Il mercato del greggio vive una fase convulsa: i dazi di Donald Trump, le mosse dell’Opec+ e i timori di recessione accentuano l’incertezza. Già prima del «Liberation Day» il presidente USA ha dichiarato di voler ridurre drasticamente l’export di greggio iraniano, di più del 90%, portandolo a soli 100 mila barili al giorno, esercitando la «massima pressione» su Teheran. Oggi l’Iran esporta ufficialmente 1,5-1,6 milioni di barili giornalieri, in gran parte verso Cina e India, rispetto a una produzione di 3,28 milioni di barili giornalieri. Washington ha poi allargato, insieme a Regno Unito, UE e Svizzera, il programma di sanzioni nei confronti di petroliere appartenenti alla cosiddetta «flotta fantasma» che trasporta il petrolio russo (anche verso l’Europa). Fra alcuni mesi una pesante tassa colpirà le navi di fabbricazione cinese, di operatori cinesi e di armatori con naviglio del Celeste Impero che toccheranno porti USA. Probabilmente ciò porterà a evitare rotte dirette e a favorire trasbordi, triangolazioni e altre soluzioni, come è stato nel caso delle sanzioni all’Iran e alla Russia.
Non stupisce che i Paesi produttori siano preoccupati. Gli analisti annunciano crolli del prezzo che, con l’annuncio di Trump delle tariffe «reciproche» e la retorica anti-cinese, aveva toccato il 2 aprile scorso il minimo degli ultimi quattro anni. Goldman Sachs prevede il Brent a 40 dollari nel 2026 ma per ora si colloca al di sopra dei 66 dollari al barile, sostenuto dalle ricoperture e dall’indebolimento del dollaro.
Un altro shock riguarda l’intenzione dei dodici membri Opec+ e di dieci non-Opec di alzare a maggio i loro livelli di produzione, dopo un decennio di limitazioni volute soprattutto dall’Arabia Saudita. Le interpretazioni della nuova strategia sono diverse: volontà di privilegiare il mantenimento e l’espansione della quota di mercato, esclusione di concorrenti con costi elevati (come nel caso dello shale oil americano), oppure anticipazione di possibili cali di produzione da parte di Paesi quali Iran, Venezuela o Russia a causa di evoluzioni geopolitiche, sanzioni od operazioni militari.
La discesa del prezzo ha implicazioni economiche e politiche per la Russia, che ha superato le conseguenze delle sanzioni anche grazie all’elevato prezzo del greggio, che oggi rappresenta però solo il 30% delle entrate di Mosca rispetto al 50% di 10 anni fa. Dall’inizio delle operazioni in Ucraina il petrolio degli Urali è stato negoziato con uno sconto del 10% rispetto al Brent e le ultime consegne avvengono intorno ai 53 dollari al barile. Ma la caduta del prezzo non è una buona notizia neppure per Washington, soprattutto dopo che il Paese da importatore netto di greggio ne è diventato esportatore. Minori entrate significano minori investimenti in un settore trainante per l’economia USA, perdita di posti di lavoro e di entrate fiscali, ampliando così il deficit commerciale.
Le incertezze degli operatori vengono anche da altre fonti. Molte big, a iniziare da BP, continuano a investire pesantemente nel settore, così come istituzioni finanziarie e fondi di investimento. Lo scenario di transizione energetica è, per la prestigiosa pubblicazione Foreign Affairs, «difficile». A partire dal 1990, la quota di energia da idrocarburi è rimasta sostanzialmente immutata intorno all’80-85% e oggi registra anzi una crescita. Il 2024 ha visto il record storico per petrolio e carbone quali fonte energetiche. Costi e aspetti tecnici, unitamente a fattori culturali, sono all’origine del trend. Va considerato che il 54% della produzione petrolifera, secondo un’inchiesta di Huffington Post, non diventa combustibile: la lista dei prodotti di origine petrolifera è infinita e abbraccia il settore medicale e cosmetico, le materie plastiche e la gomma sintetica, i prodotti di pulizia, l’asfalto e altro ancora. Come è stato ricordato recentemente dall’Opec, anche le energie alternative hanno bisogno del petrolio, dalle centraline eoliche a quelle di trasmissione della corrente (e dei dati), i cui milioni di chilometri di cavi sono rivestiti di materiale plastico.
Nel suo ultimo rapporto, la Energy International Agency (EIA) prevede una domanda di petrolio in crescita: +1,4 milioni di barili giornalieri, con aumenti significativi per India e Cina.