L'analisi

Sempre più donne occupate, ma lo stipendio è maschile

La quota delle lavoratrici che contribuiscono con oltre il 50% dei loro guadagni alle entrate di una famiglia è ancora piccola - E nei casi in cui ci si avvicina alla soglia paritaria si assiste a una brusca discontinuità nella distribuzione del reddito
© CdT/Chiara Zocchetti
Costanza Naguib
30.08.2024 06:00

Negli ultimi decenni, la partecipazione delle donne alla forza lavoro è aumentata in molti paesi occidentali. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, gli uomini continuano a essere i principali percettori di reddito. Alcuni studi hanno mostrato che, negli Stati Uniti, la percentuale di mogli all’interno delle famiglie che dichiara di guadagnare la metà o più del reddito familiare totale è molto bassa. In particolare, si assiste a una brusca discontinuità nella distribuzione del reddito relativo dei coniugi all’avvicinarsi della soglia del 50%.

Molte donne guadagnano dunque, per esempio, il 48 o il 49% del reddito familiare, ma molte meno il 51 o il 52%. Dal momento che sembra strano che una simile distribuzione possa verificarsi per caso, questo fenomeno è stato attribuito alle norme di genere, in particolare alla norma del breadwinner secondo la quale l’uomo dovrebbe guadagnare più della donna ed essere dunque il principale responsabile del sostentamento della famiglia.

Una teoria che era stata proposta nei decenni passati per spiegare questo fenomeno si rifaceva al concetto di specializzazione: i coniugi deciderebbero di comune accordo che il marito si specializzerà nel lavoro svolto fuori casa, e di conseguenza guadagnerà di più, mentre la moglie si specializzerà nei lavori domestici, guadagnando di conseguenza di meno in un eventuale lavoro a tempo parziale svolto fuori casa. Questa suddivisione dei compiti seguirebbe sia la ripartizione tradizionale dei ruoli all’interno della famiglia e sarebbe coerente con la necessità delle donne di interrompere, almeno temporaneamente, l’attività lavorativa in caso di maternità.

Questa teoria non trova tuttavia riscontro nei dati empirici. Negli USA, infatti, risulta che le donne che guadagnano di più dei loro mariti tendono a dedicare un numero maggiore di ore ai lavori domestici rispetto al coniuge. Sembra dunque che le mogli con alti redditi vogliano in un certo senso compensare questa «infrazione» rispetto ai ruoli tradizionali con un maggiore impegno nei lavori da svolgere in casa. Questo non è tuttavia coerente con l’ipotesi di specializzazione.

Diversi ricercatori hanno replicato lo studio effettuato sui dati americani in vari paesi, ottenendo risultati contrastanti. Per quanto riguarda la Svizzera, l’analisi dei dati mostra una notevole discontinuità nella distribuzione del reddito relativo, simile a quella osservata negli Stati Uniti. Tuttavia, contrariamente ai risultati americani, in Svizzera le donne non aumentano il loro contributo al lavoro domestico quando guadagnano più dei loro mariti. Questo potrebbe essere spiegato dal fatto che le donne svizzere, in molti casi, sono già le principali responsabili del lavoro domestico. La Svizzera, infatti, rappresenta un caso interessante in quanto, nonostante un’alta partecipazione femminile al mercato del lavoro, il paese è solo al ventesimo posto su 146 paesi nel Global Gender Gap Report 2024 in termini di uguaglianza di genere per quanto riguarda il reddito.

La gravidanza fattore decisivo

Per evitare distorsioni dovute a fattori esterni, per l’analisi si sono considerate solo le coppie sposate senza figli e che non hanno figli neanche nei due anni successivi all’analisi. Infatti, una donna potrebbe decidere di ridurre la propria percentuale di lavoro perché pianifica una gravidanza, e non perché vuole guadagnare meno del marito nel rispetto delle norme sociali tradizionali.

Una notevole differenza tra la Svizzera e gli Stati Uniti risiede nell’impatto sull’offerta di lavoro delle donne. Mentre negli USA i dati mostrano che quelle donne che guadagnano di più dei propri mariti hanno una probabilità inferiore di essere attive sul mercato del lavoro l’anno successivo rispetto a quelle che non si trovano in questa situazione, questo fenomeno non si verifica, o almeno, non in misura significativa, nel nostro paese. Questo suggerisce che, sebbene le norme di genere influenzino il comportamento economico, l’effetto potrebbe essere meno pronunciato rispetto agli Stati Uniti​ e rispecchiarsi solo nella decisione, per esempio, di ridurre la percentuale di attività lavorativa, piuttosto che di abbandonare del tutto la forza lavoro.

Nonostante le differenze rispetto ai risultati americani, anche in Svizzera si trova evidenza del fatto che le norme di genere hanno un impatto significativo sul comportamento economico delle coppie. È importante sottolineare che tutti i risultati menzionati fin qui si basano non su dati amministrativi, bensì su salari dichiarati dagli intervistati durante lo svolgimento di questionari. È dunque possibile che la discontinuità riscontrata in Svizzera, come pure negli USA, nella distribuzione del reddito relativo all’interno delle coppie non sia effettiva, ma derivi da errori di registrazione dei salari. Tali errori sarebbero commessi volontariamente dalle mogli nel rispondere all’intervistatore per evitare di riportare uno stipendio superiore a quello del marito, ancora una volta per il desiderio di attenersi ai ruoli di genere tradizionali.

Tuttavia, per quanto riguarda la Svizzera, i dati amministrativi sui salari confermano l’esistenza della discontinuità nella distribuzione del reddito relativo dei coniugi in prossimità del 50%. Dunque, possiamo concludere che anche nel nostro paese i ruoli tradizionali di genere fanno ancora sentire il proprio peso nella determinazione delle decisioni economiche all’interno delle coppie.