L'analisi

Svizzera, un PIL che dice molto e parla pure di futuro possibile

L’economia elvetica ha mostrato nel tempo un’ampia capacità di espansione nelle fasi positive e di tenuta in quelle difficili – I risultati ottenuti sin qui non riguardano solo gli archivi, sono anche un fattore da considerare quando si cerca di capire la prospettiva
© Shutterstock
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
04.12.2022 21:00

I dati sulla crescita realizzata da un Paese non servono solo per il pur importante versante della sua storia economica. Servono anche per la valutazione, come ogni operatore serio dell’informazione economica sa o dovrebbe sapere, del suo presente e del suo futuro. Sono uno degli elementi da prendere in considerazione, rilevante anche se non l’unico, per cercare di capire situazione e prospettive. Così, parlando della Svizzera, è utile sapere che nei dieci anni 2004-2013 (dati FMI) il suo Prodotto interno lordo annuale è cresciuto in media del 2,2%, contro l’1,6% dell’insieme delle economie avanzate; nel periodo 2014-2021, inoltre, il PIL elvetico è andato meglio della media delle economie avanzate in quattro anni su otto.

La solidità

Non si tratta qui di dare medaglie, bensì di utilizzare dati e fatti per capire le capacità di espansione o di tenuta, a seconda delle varie fasi economiche, del Paese. Per misurare la solidità della sua economia. Certo, la Svizzera è un Paese già molto sviluppato, dunque le sue percentuali di crescita, dovrebbe essere chiaro ma occorre ricordarlo a chi maneggiando temi economici magari perde il filo, non possono essere alte come quelle di un Paese emergente, partito da altri livelli. Ma la sua robustezza è mostrata appunto anche dal raffronto con molti Paesi avanzati. Se restringiamo lo sguardo al biennio pandemico, vediamo che la Svizzera nel 2020 ha contenuto la discesa del PIL a -2,5%, per poi rimbalzare del 4,2% nel 2021; nello stesso biennio, la media delle economie avanzate è stata rispettivamente -4,4% e 5,2%. Il saldo positivo elvetico è stato più consistente e abbiamo visto i riflessi di questo anche nel marcato calo della disoccupazione svizzera.

La conferma

Secondo i dati della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), in questo complicato 2022 il PIL svizzero ha avuto questo andamento su base annua: primo trimestre 4,4%, secondo trimestre 2,2%, terzo trimestre 0,5%. Nel complesso, una buona tenuta. Il dato del terzo trimestre è cosa infima? Non scherziamo. I catastrofisti che sbeffeggiano questo dato sono i primi a scordarsi di ciò che essi stessi ci ricordano ossessivamente: ci sono tensioni geopolitiche mondiali, guerra in Ucraina, turbolenze nel settore energia, inflazione più alta che erode il potere d’acquisto (una parte di loro peraltro si era lamentata a suo tempo dell’inflazione troppo bassa!). È evidente che c’è un rallentamento internazionale, ma se la Svizzera in un quadro come questo riesce a fare tre trimestri così e a chiudere il terzo (a fine settembre, poco più di due mesi fa) senza registrare una contrazione economica, ebbene ciò conferma la capacità di tenuta.

I pessimisti ad oltranza ci ricordano anche che ci saranno aumenti delle bollette, dei premi di cassa malattia e che ci sono aumenti dei tassi sui mutui (dopo anni e anni di tassi minimi, bisognerebbe però aggiungere). Occorrerà vedere poi quali e quanti aumenti ci saranno nel concreto. Comunque si sa che problemi esistono anche qui, nessuno descrive la Svizzera come un paradiso in terra, si tratta semplicemente di voler vedere non solo gli esistenti lati negativi, ma anche quelli positivi, che pure ci sono. Tutto questo lo sanno anche i ricercatori delle maggiori organizzazioni economiche internazionali e nazionali, la stragrande parte dei quali prevede un rallentamento anche per la Svizzera ma – sulla base evidentemente anche dei dati sull’andamento del PIL acquisiti sin qui – non prevede recessioni elvetiche annue né per quest’anno né per il prossimo.

Le stime

Vedremo cosa dirà la SECO, che sinora per la Svizzera non ha parlato di recessioni (né tecniche, cioè di due trimestri consecutivi, né annue) e che presto pubblicherà le sue nuove previsioni congiunturali. Nel frattempo registriamo, tra le molte, quelle dei giorni scorsi di UBS (crescita del 2% nel 2022 e dello 0,4% nel 2023) e di Credit Suisse (2,2% e 1% rispettivamente). Per le organizzazioni internazionali andrebbero ricordate almeno le previsioni di ottobre del Fondo monetario internazionale (2,2% quest’anno e 0,8% il prossimo) e quelle di fine novembre dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (2,1% quest’anno e 0,6% il prossimo). Queste previsioni vengono tutte da incapaci? O è un gigantesco complotto per dare contentini? Di nuovo, siamo seri. Sono ricercatori con posizioni diverse tra loro, che cercano di fare al meglio il mestiere. Pessimisti e catastrofisti potranno dire che queste previsioni erano troppo ottimistiche se e quando avranno dati concreti a conferma delle loro visioni negative. Prima di allora, le loro previsioni funeree non valgono più di altre, anche perché in passato si sono spesso rivelate sbagliate.

Crescita, quando l’Europa si difende un po’ meglio di quanto previsto

È stata ed è descritta da molti come la grande malata. Parliamo dell’Europa, che viene indicata spesso come l’area con maggiori problemi, sul versante delle economie avanzate, in questa fase. Ma è davvero così? In realtà c’è esagerazione in questa descrizione. Non che manchino i problemi, beninteso. Ed è un fatto oggettivo che la guerra in Ucraina causata dall’invasione russa provochi difficoltà in particolare nell’area europea. Ma i dati e le previsioni più recenti indicano anche che l’Europa non è il fanalino di coda all’interno del quadro economico internazionale.

Sorpresa Eurozona

Prendiamo in considerazione l’Eurozona (19 Paesi) e il Regno Unito, che rappresentano nell’insieme gran parte dell’economia europea. Secondo i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nel terzo trimestre di quest’anno il Prodotto interno lordo dell’Eurozona è salito dello 0,2% sui tre mesi precedenti e del 2,1% su un anno prima. Il Regno Unito dal canto suo ha registrato un calo del PIL dello 0,2% su base trimestrale e una crescita del 2,4% su base annua.

Pur nel rallentamento economico generale, l’Eurozona è andata dunque meglio del Regno Unito nel periodo; entrambi hanno comunque mantenuto il segno positivo rispetto a un anno prima. Interessante è però soprattutto il raffronto con altre aree non europee. Gli Stati Uniti ad esempio sono usciti dalla recessione tecnica dei primi due trimestri e sono cresciuti dello 0,6% su base trimestrale e dell’1,8% su base annua; quindi nel complesso gli USA non hanno fatto meglio dell’Eurozona. Il Giappone ha registrato un -0,3% rispetto ai tre mesi precedenti e un 1,9% in rapporto a un anno prima; l’economia nipponica nel periodo è rimasta dunque dietro Eurozona e Regno Unito.

Vale la pena di vedere anche quali sono a questo punto le previsioni di crescita economica per quest’anno e il prossimo. Cominciamo dal 2022. Il Fondo monetario internazionale (FMI) in ottobre ha indicato per quest’anno una crescita del 3,1% per l’Eurozona e del 3,6% per il Regno Unito; la crescita mondiale per l’FMI dovrebbe essere del 3,2%, quella degli USA dell’1,6%, quella della Cina del 3,2%. E veniamo alle previsioni di novembre dell’OCSE sul 2022: Eurozona 3,3%, Regno Unito 4,4%, mondo 3,1%, USA 1,8%, Cina 3,3%. Come si vede, l’area europea non è in coda, né per l’FMI né per l’OCSE. Secondo quest’ultima, in particolare, Eurozona e Regno Unito quest’anno cresceranno come e più della Cina e comunque più della media mondiale.

Passiamo al 2023. Qui il quadro in parte cambia. Le previsioni di ottobre dell’FMI indicano queste crescite economiche per l’anno prossimo: mondo 2,7%, USA 1%, Eurozona 0,5%, Regno Unito 0,3%, Cina 4,4%. L’FMI prevede recessioni annue solo per due delle economie nazionali principali, Germania (-0,3%) e Italia (-0,2%). L’OCSE dal canto suo fa queste previsioni: mondo 2,2%, USA 0,5%, Eurozona 0,5%, Regno Unito -0,4%, Cina 4,6%. Anche l’OCSE prevede recessioni annue solo per due delle economie principali: Germania (-0,3%) e appunto Regno Unito, non Italia (vista in crescita dello 0,2%). Riassumendo, il rallentamento nel 2023 dovrebbe colpire maggiormente l’area europea, senza però che l’Eurozona nel suo complesso abbia una recessione annua. La stessa Eurozona dovrebbe avere una crescita contenuta, ma non lontana da quella degli USA, a loro volta in rallentamento.

Tra due anni

L’OCSE peraltro allarga le sue previsioni sino al 2024. Tra due anni la crescita economica mondiale dovrebbe risalire al 2,7%, quella degli Stati Uniti all’1%, quella dell’Eurozona all’1,4%, quella del Regno Unito allo 0,2%; quella della Cina dovrebbe invece attestarsi al 4,1%. All’interno dell’Eurozona, per l’OCSE Germania e Italia dovrebbero risalire rispettivamente all’1,5% e all’1%. Una parte consistente dell’Europa secondo queste previsioni dovrebbe registrare quindi tra due anni una risalita contenuta, sì, ma leggermente superiore a quella degli Stati Uniti, motore economico principale a livello mondiale.