Curiosità

Swisscom ma non solo: quando la Svizzera compra in Italia

Gli investimenti di aziende elvetiche nel Belpaese partono da lontano, molto lontano
Stefano Olivari
16.03.2024 09:00

L’acquisto di Vodafone Italia da parte di Swisscom è un’operazione enorme, dal punto di vista finanziario e da quello politico. Perché le telecomunicazioni non sono qualcosa di astratto, di lontano, di difficile da spiegare: fanno parte della vita di tutti noi, in certi casi ne sono anche alla base. Ma il discorso è ancora più ampio e riguarda la vendita, in certi casi la svendita, di tante aziende italiane a stranieri, non soltanto svizzeri, e multinazionali. Cosa sta succedendo? È soltanto questione di percezione nazionalistica?

Vodafone

Swisscom e Vodafone Italia venerdì 15 marzo hanno ufficializzato ciò che era già definito da settimane: l’azienda svizzera compra il 100% di quella italiana (o meglio la filiale italiana di Vodafone, che è inglese ma curiosamente con molti italiani in posizione chiave) per 8 miliardi di euro. L’obiettivo di Swisscom è dichiarato ed è quello di fondere con Fastweb le attività in Italia di Vodafone, per creare un operatore che diventi leader in Italia davanti a TIM e agli altri. Un acquisto, con il closing previsto per inizio 2025 (ma i colpi di scena sono quasi impossibili, viste le penali), a prima vista pagato a caro prezzo, perché 8 miliardi sono un multiplo di 7,6 dell’EBITDA rettificato (traduzione: l’utile prima di interessi, tasse, svalutazioni e ammortamenti) e 26 volte il flusso di cassa operativo: per Vodafone un record, paragonando l’operazione ad altre analoghe. Insomma, sulla carta l’affare l’hanno fatto gli azionisti di Vodafone, ma visto che noi non ne facciamo parte (sono tanti, i principali con il 15% gli Emirati Arabi) la sottolineatura è sull’aspetto politico della questione: un’azienda chiave in Italia, magari non italiana in senso stretto ma come percezione del pubblico sì, diventa svizzera.

Fastweb

Dal punto di vista del consumatore italiano, o svizzero con sim italiana, il marchio Vodafone non sparirà subito, perché potrà essere utilizzato da Swisscom fino al 2030, ma la strada è tracciata. Da notare che gli 8 miliardi di Swisscom saranno versati in contanti e saranno finanziati a debito, senza contare i 350 milioni annui che verranno versati a Vodafone per marchio e servizi, destinati a scendere fino ad azzerarsi ma nell’immediato cifra pesante. La ormai ex Vodafone Italia sommata a Fastweb significa 9.000 dipendenti, 7 miliardi di ricavi e 33 milioni di clienti. Nuovo capitolo, svizzero, di una storia iniziata italiana nel 1994 con il marchio Omnitel, reso poi eterno dalla pubblicità con protagonista Megan Gale, e proseguita come inglese. Italiana peraltro anche la storia di Fastweb, nata nel 1999 da una joint venture tra e.Biscom e AEM (all’epoca l’azienda di elettricità e gas del Comune di Milano) per la costruzione della rete in fibra ottica a Milano e in altre città, e diventata di Swisscom nel 2010.

Sì, ma l'Italia?

Al di là della vicenda Swisscom-Vodafone, la globalizzazione rende queste acquisizioni quasi normali anche se nei Paesi si reagisce diversamente, anche quando non sono in ballo settori strategici come appunto quello delle telecomunicazioni. In Italia l’atteggiamento varia dall’entusiasmo acritico per la globalizzazione, un patrimonio in genere della sinistra, al tifo per presunti campioni nazionali (un esempio la vicenda dalla fu Alitalia), che invece è uno schema di destra, passando per una sostanziale indifferenza. In ogni caso la parte del leone, per non dire del dragone, in Italia la fa la Cina, con quasi mille aziende italiane controllate da gruppi cinesi: non soltanto l’Inter degli Zhang, ma anche tanta industria. Il settore su cui i cinesi hanno investito di più in Italia è per distacco la chimica, anche se ovviamente a fare notizia è qualche brand di moda, come Krizia. Moda che come sempre ha anticipato tendenze, visto che già negli anni Novanta Fiorucci fu comprata dai giapponesi. Il fondo francese Kering ha acquistato Gucci, Bottega Veneta, Richard Ginori, Pomellato e Brioni, mentre sempre in Francia LVMH ha fatto shopping italiano con Bulgari, Loro Piana e Fendi. Ferrè è di un gruppo di Dubai. La Rinascente, uno dei simboli di Milano, è della thailandese Central Group of Companies. Versace è dell’americano Michael Kors. Infiniti i casi nel settore alimentare: la francese Lactalis ha comprato Galbani, Cademartori, Locatelli e Invernizzi, oltre alle attività ‘buone’ della Parmalat. La Unilever ha puntato sull’olio italiano (Bertolli, De Rica, Cirio), prima di cederlo alla spagnola Deoleo. I cioccolatini Pernigotti sono diventati di proprietà turca, e addirittura nemmeno la Birra Peroni, resa immortale (con tanto di rutto libero) da Fantozzi, è più italiana visto che è passata ai giapponesi di Asahi Breweries. Giapponesi attenti anche all’industria, avendo acquisito la Magneti Marelli, la Italcementi e la Ansaldo. Quanto all’auto, l’ex Gruppo FIAT non è di fatto più italiano dopo la fusione con Peugeot che ha dato vita a PSA, e la Lamborghini è ora tedesca, essendo passata alla Volkswagen. Un discorso a parte, per motivi di immagine, merita il calcio, dove tanta Serie A (Inter, Milan, Roma, Fiorentina, Bologna su tutti) è in mano a stranieri.

Quanta Svizzera c'è nel Belpaese?

Gli investimenti svizzeri in Italia partono da lontano, precisamente dal 1961, quando la Nestlé compra la Locatelli (rivenduta a Lactalis), per poi fare il grande colpo nel 1988, comprando la Buitoni che qualche anno prima era stata rilevata da Carlo De Benedetti. Poi la Perugina, la Vismara e tantissimi altri marchi, fino al colpo grosso del 1998 con l’acqua San Pellegrino e marchi collegati (Levissima, Panna e Recoaro su tutti). Per un certo periodo sono stati della Nestlé anche i marchi Motta e Alemagna. Del 1997 è l’acquisto della Caffarel da parte della Lindt & Sprungli, con tanto di polemica recente sul gianduiotto, del 2008 quello dell’Orzo Bimbo di una controllata della Novartis. Per tacere di Dufry entrata in Autogrill. Certo la madre di tutte le acquisizioni svizzere in Italia sarebbe stata quella di Alitalia da parte di Swissair: nel 2000 la firma era a un passo, poi si parlò di fusione e infine la compagnia di bandiera svizzera fallì, per rinascere poi come Swiss sotto il controllo di Lufthansa, cosa che del resto sta accadendo anche con ITA Airways, l’erede di Alitalia. Alla fine se così tante aziende si interessano all'Italia un motivo ci sarà: il Belpaese forse ne ha bisogno.