«Un programma pesante per l'economia americana»
«Una nuova età dell’oro». L’ha definita così il presidente Trump l’era che si apre negli Stati Uniti con il suo ritorno alla Casa Bianca. Ma per raggiungere i suoi obiettivi, le difficoltà non mancano. Ne abbiamo parlato con Maurizio Novelli, Vice President di Lemanik Invest a Lugano.
Ormai l’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti è avvenuto. Da più parti si solleva il dubbio che i suoi programmi in campo economico saranno insostenibili dal punto di vista del budget e che faranno salire di molto l’inflazione. Qual è la sua opinione in proposito?
«Occorre innanzitutto chiedersi se i programmi potranno essere completamente attuati, dato che la maggioranza Repubblicana, non è completamente allineata ai desideri di Trump. E’ altamente probabile che i tagli fiscali promessi verranno mantenuti e il deficit pubblico non verrà messo sotto controllo come vorrebbe il nuovo ministro del tesoro Bessent. La spesa pubblica americana è oggi strutturata in modo che oltre il 70% della spesa è spesa corrente (mandatory spending) e la parte più importante della componente discrezionale è quella della difesa. Non credo che Trump possa tagliare la spesa per la difesa ma non credo neppure che abbia ampio margine per tagliare la spesa corrente, che attualmente costituisce il principale motore della crescita dell’economia. Infatti l’economia USA continua a beneficiare di un colossale stimolo fiscale che si trascina da ormai quattro anni e la crescita è strettamente correlata alla politica fiscale espansiva. Se fermi lo stimolo fiscale in corso rischi una recessione. Per stabilizzare la dinamica del debito pubblico l’America dovrebbe implementare un avanzo primario di almeno 3/4 punti di PIL all’anno. Allo stato attuale vorrebbe dire una correzione fiscale di oltre 5 punti di PIL, non credo che l’economia reggerebbe questo aggiustamento, quindi il debito salirà ancora in modo significativo».
Il deficit commerciale degli Stati Uniti è vicino ai massimi storici, e le politiche di Trump porteranno, se applicate, ad un balzo del deficit pubblico. Quindi i deficit gemelli (deficit commerciale e deficit pubblico), che ora sommati sono già a livelli dell’Argentina, arriveranno a livelli mai visti. Questo vuol dire che gli americani vivono di molto al di sopra dei propri mezzi, e che la situazione peggiorerà ulteriormente. A suo avviso dove è prevedibile che arrivino i deficit gemelli? Questo peggioramento sarà sostenibile?
«Il deficit estero è sostenibile fino a quando i capitali internazionali continueranno a fluire nel sistema finanziario americano, acquistando azioni, bonds governativi, corporate e high yields. È però necessario che, per garantire questo flusso dall’estero, i rendimenti degli asset americani rimangano nettamente superiori a quelli dei paesi che finanziano questo deficit. Debito in crescita e tassi alti di solito non sono un mix sostenibile per molto tempo, cosi’ come è difficilmente sostenibile nel tempo il trend in corso sulla borsa USA, che deve sempre nettamente superare il rendimento di altri mercati per mantenere l’attuale esposizione di investitori esteri (16 trilioni di USD, pari al 65% del PIL). Questo tipo di flusso record di capitali dall’estero su asset americani è avvenuto solo altre due volte nella storia: nel 1922-1928 e nel 1995-2000. In tutti e due i precedenti casi pero’, i fondamentali dell’economia USA erano nettamente migliori e non presentavano squilibri cosi’ significativi. Nel 1928 gli Stati Uniti avevano un netto surplus commerciale, un avanzo di bilancia dei pagamenti e un debito pubblico al 20% del PIL, con una economia sostenuta dalla crescita del sistema privato e non dal debito pubblico (come ora). Nonostante questo, l’inversione del flusso di capitali generato dalla perdita di fiducia nel mercato azionario, ha generato il 1929 e la crisi degli anni trenta».
Quali sono le sue previsioni per quanto riguarda il ruolo del dollaro americano come valuta di scambio e di riserva internazionale?
«Il dollaro è attualmente l’indicatore degli attuali flussi finanziari verso gli asset americani e la sua forza rispecchia semplicemente questo fenomeno. Tuttavia, il massiccio acquisto di Oro da parte delle Banche Centrali di tutto il mondo (BCE e BNS comprese), evidenzia dubbi sulla tenuta a termine di tale situazione e sulla tenuta dell’architettura finanziaria del Dollar Standard. È altamente probabile che la prossima crisi porterà ad un nuovo equilibrio valutario mondiale che vedrà un ridimensionamento del Dollaro come divisa di riserva. I detentori delle riserve valutarie mondiali sono in Asia, decideranno quindi loro cosa si dovrà fare, non certo gli Stati Uniti».
Esiste il sospetto che i dati macroeconomici americani non riflettano l’andamento reale dell’economia statunitense. Cosa ne pensa?
«Dopo la crisi economica procurata dal Covid abbiamo assistito a crescenti distorsioni sui dati macro di alcuni paesi. Gli Stati Uniti hanno rivisto il calcolo del PIL due volte in quattro anni, quando di solito tali revisioni si fanno una volta ogni dieci anni. I dati sul mercato del lavoro (posti di lavoro creati) sono sottoposti a revisioni al ribasso medio del 50% dopo la loro pubblicazione. I dati sui beni durevoli sono sistematicamente rivisti al ribasso dopo ogni pubblicazione. I consumi sembrano solidi ma sono decisamente gonfiati dall’inflazione. La fiducia dei consumatori è stranamente su livelli compatibili con una recessione. Biden ha perso le elezioni con l’economia forte, la disoccupazione ai minimi, la borsa ai massimi e i consumi in pieno boom, questo almeno secondo le statistiche ufficiali. Inoltre appare alquanto strano che, nonostante questo boom economico, l’economia abbia sistematicamente bisogno di politiche fiscali espansive. A questo proposito si deve tener conto che alla politica fiscale del governo federale si deve aggiungere anche quella dei singoli stati. Se sommiamo i due interventi lo stimolo fiscale complessivo ha superato il 10% del Pil in ogni anno dopo la pandemia. La forza dell’economia USA dovrebbe essere quindi “pesata” in relazione a tali stimoli fiscali. Gli economisti sono piuttosto critici sulla qualità dei dati macro americani ma tale scetticismo non sembra, per ora, intaccare l’euforia finanziaria in corso».
Elon Musk è una personalità sicuramente particolare, e ora è a capo del Doge, ovvero del Department of Goverment Efficiency, che si prefigge di ridurre i costi dell’apparato statale americano di 2000 miliardi di dollari. Come giudica questo obiettivo? Se raggiunto, che impatto economico avrà?
«Le intenzioni rischiano di infrangersi con la realtà dei fatti. Musk sarà un genio nel suo mestiere ma non è un economista e probabilmente non sa quanto impatta attualmente il moltiplicatore fiscale sulla crescita dell’economia. Se è vero che la crescita dipende prevalentemente dallo stimolo fiscale, non sarà facile tagliare senza fare danni significativi al ciclo economico. Sono molto curioso di vedere cosa si potrà fare realmente».
Molti Stati e molte banche centrali stanno acquistando oro. A suo avviso, come mai? Questo è legato ad una previsione sul dollaro? E quali sono le sue previsioni per il metallo giallo nel 2025?
«A mio parere l’Oro continuerà a salire, non per i motivi legati ai rischi di inflazione, che è attualmente la narrazione del mainstream, ma per i rischi di tenuta dell’assetto monetario internazionale in caso di una futura e probabile crisi in America. I grandi investitori internazionali (Fondi pensione, Fondi Sovrani e Family Office) sanno che certi squilibri non sono sostenibili a lungo».