Vicenda Credit Suisse, gli AT1 «non danno diritto a ricorrere»

È per certi versi sorprendente quanto comunicato alcune settimane fa dall’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) in merito alla sua - ormai famigerata - decisione di azzerare gli strumenti di capitale AT1 di Credit Suisse (CS). Ricordiamo che quei titoli avevano un valore nominale di 16,5 miliardi di franchi. In una lettera dello scorso 11 marzo all’indirizzo del Tribunale amministrativo federale (TAF) in cui chiede una proroga del termine per una presa di posizione riguardo uno dei (tanti) ricorsi inoltrati da investitori che si sentono «gabbati», la Finma sostiene che la sua decisione presa il 19 marzo di un anno fa sia «una misura di protezione secondo l’art. 26 della Legge sulle banche». Citando gli articoli seguenti, in particolare l’art. 37g ter cpv. 1 della stessa (Ricorsi di creditori e proprietari), «i creditori e i proprietari di una banca non possono interporre ricorso contro tali misure. Tale esclusione del diritto di ricorrere si applica ai detentori di strumenti AT1, come il ricorrente».
In pratica, il ricorso in questione, così come gli oltre tremila in mano ai giudici di San Gallo, non avrebbe ragion d’essere. «Come è già stato eccepito da molti ricorrenti nei loro rispettivi gravami, l’argomentazione della Finma è semplice fumo negli occhi», afferma l’avvocato luganese esperto di diritto finanziario Dario Item, da noi contattato. «Le misure di protezione ai sensi dell’art. 26 della Legge sulle banche – continua – non hanno nulla a che vedere con una svalutazione di bond AT1. Nessuna delle misure elencate dall’art. 26 comporta infatti una perdita di crediti degli investitori ordinata dallo Stato. È evidente che nel momento in cui gli investitori subiscono una perdita da una misura adottata da un’autorità, deve essere riconosciuto loro un diritto di ricorso».
La Finma smentisce se stessa?
Con la sua richiesta di proroga la Finma coglie l’occasione per presentare al TAF le sue «raccomandazioni» al riguardo di un’eventuale trasmissione dell’incarto completo al ricorrente. Ma nelle sue argomentazioni la Finma pare smentire se stessa: «La perdita fatta valere dal ricorrente non risulta direttamente dalla decisione AT1, bensì dall’ammortamento effettuato da Credit Suisse in virtù delle basi contrattuali applicabili. Il danno che il ricorrente pretende di aver subito è dunque solo indirettamente legato alla decisione AT1». Detto altrimenti, sarebbe stato CS a decidere di svalutare i bond AT1 in base alle clausole del prospetto d’emissione mentre, come ci ricorda l’avvocato Item, «la decisione della Finma del 19 marzo 2023 conteneva un ordine assolutamente perentorio nei confronti di CS, ovverosia quello di eseguire l’ammortamento degli AT1. In altre parole, CS non aveva alcun margine di manovra e ha semplicemente eseguito l’ordine impartitogli dalla Finma. Con tali affermazioni la Finma tenta, a mio avviso, di sottrarsi alle proprie responsabilità accollandole ad altri nel tentativo anche di sfuggire al controllo giudiziario».
Paura degli arbitrati…
Nella sua comunicazione al TAF (redatta, tra l’altro, in italiano) la Finma ribadisce e motiva inoltre la sua strenua opposizione all’accesso agli atti richiesto dai ricorrenti con l’affermazione secondo cui numerosi detentori degli AT1 hanno interposto ricorso contro la decisione della Finma «al solo scopo di ottenere l’accesso a informazioni che potrebbero essere utilizzate in procedure civili e arbitrali in Svizzera o all’estero nei confronti della Confederazione svizzera o della banca (CS, ndr). In questo contesto occorre rilevare il rischio che vengano intentate azioni legali in Paesi in cui il rispetto dei principi di uno Stato di diritto sono discutibili. È inoltre possibile che vengano emanati dei cosiddetti «giudizi secondo equità» nelle procedure arbitrali».
In effetti, oltre ai ricorsi contro la Finma inoltrati al TAF, ci sono almeno due iniziative legali volte a citare in giudizio – tramite arbitrato internazionale – addirittura il Governo svizzero, ritenuto responsabile di aver violato i suoi accordi internazionali in materia di investimenti. Ancora Item: «La Svizzera ha aderito alla Convenzione di Washington del 1965, il cui art. 42 prevede che, salvo diversa pattuizione delle parti, sia applicato il diritto dello Stato contraente (in casu il diritto svizzero). Il capoverso 3 dell’art. 42 permette invece di decidere ex aequo et bono solo se le parti sono concordi. I rischi paventati dalla Finma su tale punto appaiono pertanto del tutto inconsistenti».
… e anche dei media?
Ma non è finita: la Finma è anche piccata per il fatto che nel maggio scorso alcuni media – tra cui anche il CdT – fossero venuti in possesso della sua ormai famosa «Verfügung» (Ordinanza) del 19 marzo tramite gli avvocati di un ricorrente che l’aveva ottenuta dal TAF per aiutarli «a far valere la loro posizione». La Finma teme che altri atti potrebbero giungere ai media se fossero resi accessibili al ricorrente e «ciò aumenterebbe notevolmente il rischio di una diffusione incontrollata degli atti procedurali e che tali atti vengano utilizzati nei confronti della Confederazione svizzera o della banca in procedure arbitrali e civili, aggirando le norme procedurali applicabili alle procedure civili», si legge.
Con queste affermazioni l’Autorità di vigilanza sembra voler mettere il bavaglio ai media e al loro essenziale ruolo di watchdog affinché non interferiscano con le procedure giudiziarie in corso. «Su questo punto – commenta infine l’avv. Dario Item – la Finma sembra voler ignorare che sul tavolo vi è la credibilità non solo della stessa autorità di vigilanza elvetica che ha consentito l’azzeramento di oltre 16 miliardi di franchi di obbligazioni AT1, ma soprattutto della piazza finanziaria svizzera quale partner internazionale affidabile e governata da uno stato di diritto. A fronte dell’enorme perdita subita (la più alta mai registrata in materia di AT1) appare evidente che sussiste un interesse preponderante degli investitori a che venga operato un controllo giudiziario completo e finalmente trasparente su tutte le azioni commesse dalla Finma».
Ricorsi in italiano non pervenuti?
« A oggi, la Finma ha inoltrato un centinaio di memoriali di risposta, tutti in lingua tedesca, mentre i ricorsi nelle procedure in lingua italiana e in lingua francese non le erano ancora stati trasmessi per presa di posizione. L'inoltro di memoriali di risposta in lingua italiana richiede ora un significativo lavoro supplementare di traduzione e di coordinazione nonché il coinvolgimento di personale italofono finora poco implicato nelle procedure di ricorso relative all'azzeramento degli strumenti AT1 di Credit Suisse». Così scrive l'Autorità di vigilanza nella lettera inviata al TAF per giustificare la richiesta di proroga fino al 30 aprile per presentare una risposta più dettagliata.
I ricorsi contro la decisione della Finma del 19 marzo 2023 di azzerare gli AT1 sono stati presentati quasi un anno fa entro il termine di 30 giorni fissato dall'Autorità di vigilanza. I ricorsi sono stati inoltrati da investitori da tutto il mondo e, in Svizzera, da tutte le regioni linguistiche. Stando alle nostre informazioni, dalla sola piazza ticinese sono scaturiti oltre un centinaio di ricorsi – quasi un anno fa e rigorosamente redatte in italiano. Insomma, la richiesta di proroga basata su questioni linguistiche appare come l’ennesimo tentativo della Finma di prendere tempo, in particolare nei confronti dei ricorrenti italofoni e francofoni.
«Si deve purtroppo notare - commenta l'avv. Item - che fino a oggi il TAF non ha ancora notificato ai primi ricorrenti né la risposta integrale della Finma, né quella di CS (ora UBS), il che appare piuttosto sorprendente considerando che è già trascorso quasi un anno e che gli investitori attendono di conoscere le ragioni per le quali sono stati privati dei loro risparmi. Sulle argomentazioni difensive (integrali) delle controparti regna dunque un mistero da ormai troppo tempo».