Edgardo Franzosini e l'esprit tutto parigino di Sacha Guitry

Memorie di un baro è l’unico romanzo di Alexandre Georges-Pierre Guitry, detto Sacha. Un nome che dice poco ai contemporanei e persino a chi è a proprio agio con gran parte della letteratura d’oltralpe. Questo personaggio esagerato, amato e odiato, che guadagnava somme da favola e vestiva con eleganza vistosa, ha scritto, messo in scena e per lo più interpretato centoventiquattro pièce teatrali oltre a dirigere trentasei film. Sacha Guitry, nato a San Pietroburgo nel 1885 e morto a Parigi nel 1957, è stato autore di libri di vario genere, di più di novecento articoli per giornali e riviste, ma anche pittore, disegnatore, caricaturista e scultore nelle sue giornate interminabili. Il romanzo Memorie di un baro, pubblicato in Francia nel 1935, è uscito per la prima volta nella traduzione italiana da Adelphi. Il protagonista è l’unico sopravvissuto di una famiglia sterminata da un piatto di funghi che lui non aveva mangiato perché fu sorpreso a rubare e mandato a letto senza cena. Dopo la tragedia il ragazzino incomincia a riflettere sul fatto che lui, che era stato disonesto, è vivo, mentre gli altri, che erano stati onesti, sono tutti morti. Da qui a pensare che ad essere degli imbroglioni ci si guadagni il passo è breve. Inizia così la rocambolesca avventura di un baro che dopo essere stato fattorino in un albergo di lusso intraprende un’attività fruttuosa nei casinò di mezza Europa. Dell’esprit, tutto parigino, di Sacha Guitry, di cosa lo separa da Friedrich Dürrenmatt e del tono del suo unico romanzo abbiamo parlato con Edgardo Franzosini che ha firmato la postfazione dal titolo La leggerezza del megalomane. Lo scrittore, che divide la sua vita tra Milano e il buen retiro di Locarno, ci racconta cosa ha scoperto del poliedrico autore e regista francese nelle amate biblioteche del Ticino.
Edgardo
Franzosini, parliamo della figura di Sacha Guitry. Verrebbe da chiedere un po’
come fece don Abbondio per Carneade nei Promessi Sposi: chi era costui?
«In
effetti pochi conoscono Sacha Guitry al di fuori della Francia dove è stato una
specie di idolo di Parigi. Le sue commedie venivano rappresentate in diversi
teatri nella stessa stagione. Era un uomo dalla vita vissuta sempre sotto i
riflettori. Era anche un personaggio importante però un po’ limitato alla
Francia perché al di fuori del suo paese le sue commedie non avevano poi la
stessa risonanza. Mi sono accorto che, parlando anche con gente che mastica
letteratura francese, molti cadevano dalle nuvole pronunciando questo nome».
Che tipo di autore
è stato Sacha Guitry?
«Lui
è stato un autore popolarissimo in Francia. Anche questo libretto può piacere a
tutti perché è molto divertente e persino chi intende andare oltre la
superficie capisce che ci sono cose profonde dette però con una grande
leggerezza. Sacha Guitry con un po’ di civetteria diceva: se facessi fatica a
scrivere tutto quello che ho scritto, farei un altro mestiere. Si vantava di
scrivere le sue commedie in pochi giorni poi a un certo punto aveva un po’
corretto quest’affermazione dicendo che le scriveva in pochi giorni dopo
averci pensato almeno per un anno».
Perché Francois
Truffaut amava tanto Sacha Guitry?
«Intanto
gli piaceva il tono delle sue opere. Il regista della Nouvelle Vague ha detto che
quando uno si sveglia di malumore si dice che si è alzato con il piede sbagliato, mentre Sacha Guitry doveva
essersi alzato per tutta la sua vita con il piede giusto per l’allegrezza e lo
spirito che riusciva a trasmettere. Poi a lui piaceva in quanto autore unico andando
contro tutti i suoi amici e colleghi dei Cahiers
du cinéma, che era questa rivista mitica in cui facevano la guerra al «cinema
di papà», quello francese degli anni ’40 e ’50 ».
Che senso ha tradurre
un romanzo di Sacha Guitry scritto nel 1935?
«L’unica
buona ragione per pubblicarlo è che è un libro di qualità che mancava ai
lettori di lingua italiana. è
leggero e spiritoso anche se ha quasi cento anni. Leggendolo sembra di
ascoltare la musica di Mozart perché è talmente bello, armonioso e senza parole
superflue. Poi c’è un inizio folgorante con questa immagine da humor nero,
macabro, ma risolta con grande eleganza.
è la storia di un ragazzino sopravvissuto a una tragedia che rimane
orfano e inizia a pensare che gli altri, che erano stati onesti, sono tutti
morti, mentre lui, che era stato disonesto, è vivo. Da qui a pensare che ad
essere disonesti ci guadagni il passo poi è breve e comincia l’avventura di un
baro…».
Il protagonista
del romanzo è un Oliver Twist vincente?
«Non
c’è nulla di patetico in tutta la sua storia quindi il protagonista potrebbe
essere un Oliver Twist vincente. Poi alla fine anche lui quando cerca di essere
onesto perde tutto e si limita a diventare un piccolo impiegato».


Che rapporto ha col
gioco il baro di Guitry rispetto al giocatore di Dostoevskij?
«È un rapporto giocoso che poi aveva
anche Guitry e che non è quello tormentoso drammatico e terribile di Dostoevskij.
Il gioco è una voluttà speciale e completa, forse la più grande che l’uomo
possa avere. Un giocatore non perde mai, o vince o non vince, e la somma che
lascia sul tavolo non è venuta meno, ma è come se questo denaro si allontanasse
momentaneamente».
Che legame c’era
tra Sacha Guitry e Montecarlo dove «in ogni culla si nasconde un rastrello nero»?
«Sacha
Guitry è stato un frequentatore di casino e anche di Montecarlo. Era uno che
aveva una vita mondana piuttosto impegnativa infatti molti si meravigliavano
che trovasse l’energia per scrivere le
sue centoventiquattro commedie e per fare tutti quei film».
Guitry amava
soprattutto il teatro, ma si dedicò anche alla regia cinematografica. A un
certo punto viene finanziato dallo stato francese per fare un film su
Versailles… Come reagirono la critica e il pubblico?
«Guitry
aveva quasi sempre avuto un successo popolare soprattutto nelle commedie. Quel
film su Versailles fu un campione di incassi ed è particolare perché in due ore
vengono condensati secoli di storia. Ci sono molti attori famosi che recitano
piccolissime parti. Ad esempio si apre una porta e compare Brigitte Bardot poi uno
si china e si alza e vede Fernadel o Louis de Funes. Sacha Guitry aveva già
fatto un altro film di questo tipo raccontando la storia di Napoleone quindi a
un certo punto lo stato francese, siccome c’era da restaurare la reggia di
Versailles, pensò bene rivolgersi a lui e di produrlo direttamente. Il film
ebbe un grande successo però non mancarono quelli che dissero che Guitry aveva
sperperato i soldi dei contribuenti».
Come era il film di
Sacha Guitry tratto da Memorie di un baro?
«Il
film si intitolava Il romanzo di un baro ed è uno dei primi che Guitry fece. Non
conoscendo la tecnica del cinema il neoregista quasi inconsapevolmente inventò
la voce narrante fuori campo che poi hanno copiato in tanti. Un capolavoro come
Quarto potere di Orson Welles utilizza
questa soluzione di cui oggi forse non ci accorgiamo nemmeno, ma che all’epoca
era assolutamente nuova. Tra l’altro Orson Welles più di una volta nelle
interviste aveva ammesso che doveva questa forma di cinema a Sacha Guitry e forse
per riconoscenza veniva a fare delle piccolissime parti nei suoi film perché lo
considerava un maestro».
Che cosa uniscono
i personaggi di Edgardo Franzosini al baro di Guitry?
«Quello
che li può accumunare è quel tanto di eccessivo e di sregolato che aveva Sacha
Guitry, come quel suo attivismo per cui è stato autore di oltre centoventi commedie,
trentasei film e di un gran numero di libri. Poi un’altra cosa è la sua mania
accumulatrice di collezionista che sperperò somme incredibili nella raccolta di
quadri, manoscritti e di quegli oggetti appartenuti a uomini che hanno fatto la
storia. Guitry
è stato unico e irripetibile un po’ come i miei personaggi. Poi nel caso del baro mi piacciono le doppie verità,
gli pseudonimi, i sosia, quelli che ingannano e che si presentano in un modo, ma sono in un altro quindi quale
migliore personaggio se non un baro».


Che cosa accomuna Sacha
Guitry a Friedrich Dürrenmatt
?
«Una
certa ironia e lo humor. Tuttavia i due autori sono abbastanza diversi. Quella
di Dürrenmatt è un’ironia amara, al vetriolo, urticante, mentre quella di Guitry
è più elegante, però non è così bonaria come potrebbe apparire. C’è anche un
certo disprezzo per le convenzioni. Sono entrambi cinici, ma quello di Guitry è
un cinismo un po’ più sorridente, tuttavia impietoso. Infatti qualcuno ha attribuito
a Guitry un moralismo amorale, però da moralista. Tutti e due hanno avuto
questa attività parallela legata al disegno e alla pittura, con un gusto per la
caricatura che in Dürrenmatt è un po’più oscura e tormentata, mentre in Guitry
più leggera, francese ed elegante. Quando lasciavano la penna prendevano la
matita ».
Che rapporto ha
con Locarno dove si ispira per i suoi romanzi?
«Ho
conosciuto Locarno tanti anni fa poi l’ho frequentata assiduamente quando stavo
scrivendo il libro «Sul Monte Verità». La postfazione di «Memorie di un baro» l’ho
scritta lì. La biblioteca di Locarno ha una sezione importante dedicata alla
cinematografia dove ho trovato dei libri interessanti su Guitry e sulla sua
attività di regista. Le biblioteche del Canton Ticino, in particolare Lugano, Bellinzona
e Locarno, sono dal punto di vista di un fruitore quanto di meglio ci si possa
aspettare».
