Elisabetta Sgarbi: «Quando scelsi Joël Dicker azzardai, ma la scommessa fu vincente»
«Un animale selvaggio», ultimo titolo del ginevrino Joël Dicker, è approdato da qualche giorno nelle librerie ticinesi e italiane nella versione edita da La nave di Teseo. E come previsto, anche questo nuovo romanzo di Dicker ha subito scalato le classifiche di vendita, piazzandosi in vetta. Dicker è ormai un «fenomeno» editoriale, per capire il quale abbiamo intervistato Elisabetta Sgarbi, il suo editore italiano.
Come nasce un fenomeno editoriale come Joël Dicker?
«I fenomeni editoriali sbocciano senza un “come” che possa essere spiegato. Sin da La verità sul caso Harry Quebert, nel maggio del 2013, si è imposto da sé. Certamente era stato preceduto da un grande movimento nel mondo editoriale internazionale, sin dalla Fiera di Francoforte del 2012, in cui tutti gli editori hanno cercato di comprarne i diritti dall’editore che li aveva, Bernard de Fallois. In quella Fiera fu il “caso” e fu chiaro a tutti che era l’inizio di qualcosa di grande. Io avevo già acquisito i diritti ad agosto dell’anno prima, altrimenti sarebbe stato molto difficile».
Il fenomeno editoriale Dicker è paragonabile ad altri del passato? E in che modo?
«Io personalmente sono stata testimone della nascita del fenomeno di Paulo Coelho, ed era il 1995. Fenomeno che perdura ancora. Ogni autore è un mondo a sé, ma c’è qualcosa di magico che accade. A un certo punto, tra i lettori, si innesta una febbre, un comune desiderio, un bisogno che fa andare tutti nella stessa direzione. Mi viene sempre da pensare che due degli autori più importanti della mia vita di editore, Paulo Coelho e Joël Dicker, vivono entrambi a Ginevra a poca distanza l’uno dall’altro e, in fondo, da me».
Come si scopre un autore come Joël Dicker?
«Il caso, la fortuna, l’intuito, la storia. Ricordo che era l’agosto del 2012, la casa editrice era chiusa, e io stavo andando verso la Valle Camonica per girare un film sul pittore Romanino. Mi chiama Jean Claude Fasquelle, mitico editore francese, patron della casa editrice Grasset Fasquelle, editore di García Márquez ed Eco, tra mille altri. C’era una consuetudine: ogni volta che andavamo a Parigi, ci invitava a cena, nella sua casa, insieme a sua moglie Nicki. C’era amicizia, data da tanti autori condivisi, dalla comune amicizia con Eco, dalle cene appunto. Con la sua voce bassissima, mi dice che ha letto un autore bravissimo, si chiama Joël Dicker, e di chiamare il suo editore Bernard de Fallois. Io eseguo diligentemente, incuriosita da quella strana telefonata di Jean Claude, in genere così silenzioso e riservato. Insisto perché - nonostante sia agosto - mi mandi il romanzo, lui tentenna, io insisto. Ottengo qualcosa. Leggo le prime pagine, e folgorata, faccio un’offerta. Fu la prima. E seppi poi che De Fallois disse a Joël: bisogna accettarla, è la prima e porterà fortuna. Così è stato, per me e per Joël».
Che cosa rende Joël Dicker un autore di così grande successo?
«Joël è un grande lettore. Ama leggere e la sua battaglia - anche con la sua casa editrice - è di sicurare il desiderio e il piacere della lettura. È tra i pochi autori che sanno stare anche dalla parte dei lettori. E poi ha una specificità nella storia del thriller - che indubbiamente ha rivoluzionato: non ha portato il romanzo nella serialità televisiva, come qualcuno dice. Ma ha portato i codici della serialità dentro la letteratura. Ha mostrato quanto la letteratura - intesa come capacità di raccontare in libri delle grandi storie - sia larga e più potente di qualsiasi altra forma narrativa».
È possibile fare un identikit del lettore di Joël Dicker? Sono più le donne o gli uomini gli appassionati dello scrittore ginevrino? I giovani o gli adulti?
«Quando si hanno numeri così importanti, il pubblico è assolutamente trasversale. Certo, poi ci sono molti giovani: anche perché le sue storie hanno sempre come protagonisti giovani i quali vivono modi, problemi, vicende molto aderenti a quelle dei ragazzi e delle ragazze».
Qual è il rapporto tra un editore e un autore così importante? Mi chiedo se sia trattato diversamente dagli altri per la paura che passi a un editore concorrente oppure se non ci siano differenze sostanziali.
«Ogni autore ha una sua specificità. Stabilisce con il suo editore un rapporto irripetibile. Condividiamo ogni momento della costruzione dell’edizione italiana: titolo, copertina, data di pubblicazione, presenza in Italia, lancio. Lo aggiorno sui risultati. Joël ha una consapevolezza importante, come editore e come scrittore».
Oltre che dal punto di vista del prestigio letterario, quanto conta per un editore, sul piano imprenditoriale, avere in catalogo i libri di un autore di successo come Joël Dicker?
«I suoi numeri sono talmente grandi che la risposta è ovvia. Ma è importante soprattutto il risvolto editoriale: cioè è importante che Joël abbia una storia letteraria unitaria dentro una casa editrice come La nave di Teseo. Questa storia parla attraverso le copertine, il formato dei romanzi, il publishing. Questa storia include anche i risultati commerciali, ma è più ampia».
A questo proposito, le strategie di promozione dei libri di un autore di grande successo sono differenti dalle altre? Sono più semplici o, paradossalmente, più complicate?
«In casi del genere amo dire che l’editore deve stare attento a non fare danni. Ovviamente c’è un grande lavoro dietro questa espressione: investire sul catalogo dell’autore è un aspetto importante. Ma anche cercare di fare sapere a più persone possibili che un nuovo romanzo sta per essere pubblicato; non uscire troppo lontano dall’edizione francese, per offrire ai lettori italofoni il prima possibile il tanto atteso romanzo; offrire una buona traduzione: Joël è stato tradotto prima da Sergio Claudio Perroni, anche scrittore, e ora è tradotto da Milena Ciccimarra, traduttrice anche di Houellebecq».
Un editore che pubblica libri di successo può permettersi più di altri di “sperimentare” con nuovi scrittori o lo farebbe comunque?
«Nel 2012, quando feci la mia offerta a Joël Dicker, fu una scommessa, un azzardo. Era uno scrittore svizzero, di origine anche italiana, che scriveva un thriller in forma del tutto nuova, con un titolo quanto mai inusuale, La verità sul caso Harry Quebert. Un editore vive sperimentando. Non ci sono altre formule».