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Essere la figlia di una spia svizzera durante la Seconda guerra mondiale

Nel 1943 i tedeschi accerchiarono la Confederazione - Vanna Soldati-Bustelli aveva 9 anni e suo padre creò una rete che garantì protezione ai partigiani italiani in cambio di informazioni - «Ricordo l’ufficio segreto in città: tanti telefoni e le mappe geografiche piene di bandierine colorate»
John Robbiani
06.11.2021 06:00

Nel 1943 Vanna Soldati-Bustelli era una bambina. A 9 anni si ritrovò al centro di una delle più incredibili storie di spionaggio che coinvolsero la Svizzera. Suo padre aveva creato una rete di corrieri che aiutava i partigiani e coinvolgeva perfino il futuro capo della CIA. «Solo anni dopo ho scoperto che sulla testa di mio papà c’era una taglia dei tedeschi».

«Non considero mio padre un eroe. Ha fatto quello che ha fatto perché aveva un grande senso del dovere e della giustizia». Vanna Soldati-Bustelli nel 1943 aveva 9 anni. Troppo presto probabilmente per capire appieno quel che stava succedendo e realizzare che quelle persone che a volte si fermavano a dormire in mansarda facevano parte della Resistenza. O che quel signore americano con la pipa e i baffi che a volte suo papà incontrava era una spia. E che spia! Era Allen Dulles, futuro direttore della CIA. Soldati-Bustelli capiva che suo padre era coinvolto in qualcosa di grande, avventuroso e misterioso, ma era troppo piccola per realizzare di essere la figlia di un agente segreto. Forse fra i più grandi agenti svizzeri. Una spia che salvò parecchie vite e su cui i tedeschi avevano messo una taglia. E che riuscì a creare una rete composta da una trentina di collaboratori che permise alla Confederazione di venire a conoscenza, in anteprima e praticamente ogni giorno, della posizione e degli spostamenti delle truppe tedesche e fasciste in Italia (soprattutto nel Nord della Penisola. Il suo nome era Bustelli, Guido Bustelli.

«Farò meno nomi possibile»
«Oggi ho 87 anni, ma la mia memoria non fa per nulla cilecca». Soldati-Bustelli ha accettato di incontrarci per parlare di quel periodo e dei suoi ricordi. Prima, per accertarsi di non violare la legge, ha chiesto il permesso al Dipartimento federale della difesa. La risposta? Più o meno così: «Signora non si preoccupi. Sono passati quasi 80 anni, i protagonisti non ci sono più e lei all’epoca era minorenne. Racconti pure quel che vuole raccontare». Ha dunque deciso di farlo. «Ma, per sicurezza, tenterò di fare meno nomi possibile».

Lo sbarco in Sicilia
Iniziamo dal contesto storico . Occorre tornare al 9 luglio del 1943, quando gli alleati sbarcano in Sicilia. Il 3 settembre l’Italia firma l’armistizio di Cassibile. La Germania, seppur in rotta sul fronte russo, occupa la Penisola. A quel punto la Svizzera si ritrova completamente accerchiata dal Reich. I tedeschi sono infatti a nord, a sud (in Italia), a est (in Austria) e a ovest (in Francia). Ed ecco che entra in gioco Guido Bustelli, all’epoca primo tenente (finirà il servizio con il grado di maggiore). È responsabile per parte del Ticino del Servizio informazioni. I suoi superiori gli chiedono di raccogliere notizie dall’Italia. Vogliono sapere che intenzioni ha Hitler, in che condizioni versano le sue armate e quanto sanno i nazifascisti delle difese elvetiche. Bustelli si muove e inizia ad entrare in contatto con ufficiali italiani che, dopo l’armistizio, sono scappati in Svizzera. E da questi contatti ne nascono altri. Tanti altri. Bustelli, anche con la collaborazione del vescovo Angelo Jelmini, diventa una figura di riferimento per i leader della resistenza partigiana a Milano (il CLNAI, Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) offrendo loro rifugio e collaborazione in Ticino. È una chiara violazione della neutralità elvetica e se i tedeschi lo venissero a sapere (e in effetti lo verranno a sapere) potrebbero reagire con forza. Ma, appunto, lo Stato maggiore elvetico ha bisogno di sapere. Deve capire se la Wehrmacht è pronta ad attaccare la Confederazione per eliminare dalle mappe quel piccolo puntino chiamato Svizzera. Risposte che Bustelli riesce a trovare. E la sua è un’avventura degna di un film di spionaggio, di quelli interpretati da Michael Caine.

Il locale top secret a Lugano
Bustelli nella vita era assicuratore. Anzi, era procuratore della filiale luganese di una società di assicurazioni. «E proprio negli uffici dell’assicurazione – spiega la figlia – era stato ricavato un locale segreto», con una porta che restava sempre chiusa a chiave. «C’erano molti telefoni, un telex e tante mappe geografiche con le bandiere colorate. Locali in cui mio padre lavorava con due collaboratrici del servizio complementare femminile». La signorina Parin, grigionese, e la signorina Rusca di Agno. I servizi segreti svizzeri avevano dunque creato a Lugano un ufficio top secret, camuffato da agenzia assicurativa. Dove? «Preferisco non dirlo», ci risponde la nostra interlocutrice. «Mio padre mi portava ad accogliere i corrieri al confine. C’erano luoghi ben precisi: uno a Novazzano e uno a Camedo. Forse uno anche a Cama. Mai stata invece a Campione, dove papà conosceva bene il sindaco, perché vi si recava in battello. Arzo invece, forse proprio perché era il suo luogo di origine, non faceva parte della sua giurisdizione. Mi ricordo che i corrieri dicevano sempre, scherzando, che la tratta più pericolosa era quella dal confine fino a Lugano, perché mio padre aveva appena imparato a guidare con un corso militare accelerato. Talvolta lo accompagnavo quando portava i corrieri dai consoli inglesi e americani, ma rimanevo chiaramente in auto». Incontri in cui – stando alla documentazione emersa dopo la guerra – era presente a Lugano a varie riprese anche Dulles (all’epoca responsabile dei servizi segreti americani –l’OSS – in Svizzera e, come detto, fu poi direttore della CIA) o i vertici del CNLAI. «Ho visto alcune volte Ferruccio Parri e ricordo che era un gran bell’uomo. Con lui Pacciardi, Raffaele Cadorna (figlio del generale Luigi Cadorna, ndr) e anche un giovane a cui mancavano le dita di una mano (le aveva perse in Russia). Credo, ma non ne sono certa, fosse il figlio di Matteotti. E ho visto sovente i famosi tre moschettieri, che in realtà erano quattro».

Tre moschettieri più uno
Ma chi erano i 4 moschettieri? E che ci facevano a Lugano? «Non farò i loro nomi, ma posso dire che erano un architetto, un medico, un ingegnere e un importante imprenditore. Due di loro erano tra l’altro dei nobili e il quarto, dopo il primo passaggio, si è limitato a partecipare finanziariamente all’impresa. Anche loro a volte dormivano in mansarda». I loro nomi sono svelati nel libro Guerra dei servizi (di Matteo Milan) e dunque di dominio pubblico. Il più attivo è stato Guglielmo Mozzoni, che passò il confine 87 volte e a Lugano funse da ufficiale di collegamento tra gli alleati e il CLNAI. Ogni moschettiere aveva a sua volta collaboratori e passatori che si occupavano di raccogliere informazioni in Italia e farle entrare in Svizzera. L’accordo era semplice: Bustelli faceva in modo che i partigiani potessero entrare in Ticino, al sicuro, ma in cambio dovevano consegnarli una copia dei rapporti – contenenti appunto soprattutto informazioni militari riguardanti le truppe tedesche – che la Resistenza stilava ogni giorno. Rapporti che poi Bustelli faceva arrivare sia a Berna sia ai consoli inglesi e statunitensi a Lugano. Ai partigiani in Ticino veniva inoltre permesso di incontrare in sicurezza gli agenti dell’intelligence americana e britannica, incaricati poi di finanziare i partigiani e far avere loro armi e munizioni. Lugano divenne così un punto nevralgico dello spionaggio in Europa. C’è chi sostiene che Bustelli abbia avuto un ruolo importante nel permettere l’avvicinamento tra i partigiani del CLNAI e i servizi segreti statunitensi, a cui inizialmente non faceva impazzire l’idea di finanziare gruppi comunisti. «Ma io di comunisti – ci fa notare Vanna Soldati-Bustelli – non ne ho visti. Quelli che ho visto io erano tutto meno che comunisti».

«Non realizzavo quanti rischi stava correndo»

«Io non realizzavo – ci racconta la figlia di Bustelli – i rischi che mio papà correva in quel periodo. Solo dopo la guerra ho scoperto che i tedeschi avevano messo una taglia sulla sua testa. Ha rischiato la vita diverse volte, e con lui anche i suoi collaboratori. Ho scoperto per esempio che alcuni vennero uccisi e ci fu anche un episodio di tradimento, quando la moglie di un corriere denunciò il marito ai tedeschi. Una volta tre corrieri stavano per entrare in Svizzera per consegnare i documenti a mio papà. Uno di loro si attardò perché voleva fumare una sigaretta e qualcuno gli passò l’ultima che aveva nel pacchetto. Si prese una pallottola in testa. Da allora mi sono sempre rifiutata di dare l’ultima sigaretta a qualcuno. Piuttosto apro un pacchetto nuovo».

Scambiato per un tedesco
Ma Guido Bustelli rischiò la vita anche in altre circostanze. «Dopo la morte di Mussolini mio padre venne invitato a Milano dal CLNAI. Lungo la strada venne fermato da una pattuglia di partigiani. Mio padre fece vedere il passaporto svizzero. Il problema è che sul passaporto c’è una scritta in tedesco e dunque loro pensarono che fosse un ufficiale nazista in fuga. Mio padre riuscì a convincerli a chiamare Valerio (questo il nome in codice del responsabile del CLNAI di Milano, ndr), che spiegò loro che era un amico e mandò una scorta per accompagnare mio papà a Milano».

La contrabbandiera
La rete creata da Bustelli (nome in codice Nell) contava come detto parecchi elementi. Tra i corrieri – incaricati di passare il confine con le informazioni – c’erano anche contrabbandieri. «Uno dei migliori – ci racconta Soldati-Bustelli – era una donna. Era una maga del travestimento. Una volta era bionda, una volta era rossa, una volta aveva i capelli scuri. Si faceva fatica a riconoscerla. Aveva un’organizzazione di contrabbandieri e passatori tutta sua. Era un fenomeno e una volta venne sorpresa da una pattuglia tedesca e solo per un miracolo i soldati non si accorsero che nel doppio fondo della borsetta teneva nascosti i rapporti militari da consegnare a mio padre».

Riconoscimenti e assoluzioni
Bustelli dovette anche affrontare un processo. Venne infatti denunciato da un caporale grigionese, suo collaboratore, per aver accettato un’onorificenza da parte del CLNAI. Ma Bustelli venne assolto in quanto la medaglia era d’onore e non al valore. E dunque non un’onorificenza. «Poi anche nel 1985 i partigiani dell’Ossola vollero conferire a mio padre una medaglia, ma lui non la accettò anche se non era più in servizio. Questo era il suo codice d’onore».

La liberazione di Campione
Nel libro Guerra di servizi, Matteo Millan sostiene che Bustelli ebbe un ruolo anche nella liberazione di Campione d’Italia dal fascismo. I partigiani avevano messo a punto in Lombardia un sistema di radio con cui comunicare tra di loro (e con gli alleati). Radio che però venivano localizzate dai tedeschi e distrutte. Gli statunitensi pensarono allora di installare una di queste radio a Lugano, in territorio neutrale e dunque al sicuro dai raid nazisti. La Svizzera temeva però che così facendo, i tedeschi avrebbero reagito. A quanto pare fu proprio Bustelli a suggerire l’idea di portare la radio nell’enclave di Campione. Prima, però, occorreva rendere inoffensiva la piccola guarnigione di carabinieri presente nell’enclave. E così – con un’operazione armata (ma senza spargimenti di sangue) – Campione d’Italia, già nei primi mesi del 1944, si liberò dalla dittatura

La vita dell'ufficiale

Guido Bustelli (1905-1992) nacque ad Arzo e durante la Seconda guerra mondiale, come ufficiale, venne incaricato di creare a Lugano un ufficio informazioni. Per l’impegno a favore di rifugiati e partigiani il CLNAI gli ha conferito nel ’46 la medaglia d’onore. È stato in Consiglio comunale di Lugano, in Gran Consiglio (’56-’62) e in Consiglio nazionale (’63) per il PLR. In Italia venne anche nominato Commendatore al merito della Repubblica Italiana.

Per approfondire
Consigliamo la lettura del libro Guerra dei servizi di Matteo Millan, edito da Il Poligrafo (315 pagine, 2009).