Europa, le destre verso la vittoria, ma non potranno “governare”
Il vento di destra sembra spirare ancora forte in direzione di Bruxelles. Anche se la gran parte degli osservatori politici europei è scettica sulla possibilità che le elezioni del 9 giugno possano cambiare le alleanze e determinare una maggioranza diversa dall’attuale, composta com’è noto da Popolari (PPE), Socialisti (PSE) e Liberali (Renew Europe).
Conservatori e Riformisti Europei (ECR) e Identità e Democrazia (ID), i due raggruppamenti a destra del PPE, dovrebbero, secondo tutti i principali sondaggi, guadagnare non meno di una trentina di seggi. In particolare, ID potrebbe passare da 58 a 85 europarlamentari, superando proprio ECR, che invece dovrebbe guadagnarne 7 (da 67 a 74).
In un report pubblicato sul sito della Società italiana di studi elettorali (SISE), Paolo Natale, associato di Metodi e tecniche della ricerca sociale alla Statale di Milano, ha spiegato come «la cosiddetta “maggioranza Ursula”, l’attuale coalizione che guida la UE con circa il 60% dei seggi all’Europarlamento», potrebbe subire «un lieve calo, restando comunque maggioranza» con il 55% degli eletti. La prevista «crescita sensibile delle forze politiche che in Europa si identificano con la destra e con il centro-destra, a meno di sconvolgimenti elettorali sorprendenti e attualmente non ipotizzabili, non permetterebbe comunque la formazione di una maggioranza alternativa».
Cambiamento difficile
L’ipotesi di una «sostituzione dei Socialisti con i Conservatori di ERC» garantirebbe, infatti, alla nuova coalizione «soltanto il 46% dei seggi, così come l’ulteriore sostituzione di Renew con il raggruppamento di Identità e Democrazia». L’unica possibile maggioranza alternativa, scrive ancora Natale, «sarebbe quella composta da Liberali, Popolari, Conservatori e Identitari» che avrebbe «oltre il 55% dei seggi». Una soluzione, tuttavia, piuttosto «irrealistica e molto molto difficile», spiega il sociologo milanese, per almeno due motivi: le distanze politiche che comunque dividono lo schieramento conservatore e la presenza, in una medesima coalizione, di partiti e leader fortemente antagonisti in ambito nazionale: Emmanuel Macron e Marine Le Pen in Francia, ad esempio, o CDU e Alternative für Deutschland (AfD) in Germania.
E in ogni caso, una collaborazione tra PPE e ECR non è affatto scontata. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha ribadito ancora l’altro giorno che molto dipenderà «dalla composizione del Parlamento e da chi farà parte di quale gruppo». Von der Leyen, in particolare, ha escluso un’alleanza con chi è «contro lo Stato di diritto» e con gli «amici di Putin», i partiti filorussi che si oppongono al sostegno dell’Ucraina. Riferimento diretto a Fidesz, il partito del primo ministro ungherese Viktor Orbán, uscito dal PPE e in attesa di entrare in ECR. O a Ellînîkí Lýsî, Soluzione greca, il movimento guidato da Kyriakos Velopoulos, favorevole al ripristino della pena di morte e contrario all’invio di armi a Kiev.
Una galassia composita
La galassia delle destre europee è in realtà molto composita e in continua trasformazione. Così come dimostra quanto avvenuto tre giorni fa, quando proprio la leader del Rassemblement National, Marine Le Pen, seguita a ruota dal leghista italiano Matteo Salvini, ha annunciato la «rottura netta» con l’AfD, alleato divenuto troppo tossico dopo le esternazioni filonaziste di Maximilian Krah, il principale candidato del partito tedesco alle Europee. Intervistato dal quotidiano italiano La Repubblica, Krah aveva infatti detto che «non tutte le SS erano criminali». L’AfD, ha ripetuto Marine Le Pen ai cronisti di Europe 1, «passa da una provocazione all’altra. Ora non è più il momento di prendere le distanze, è il momento di dare un taglio netto».
Secondo Wolfgang Münchau, co-fondatore e direttore del portale britannico di analisi e notizie Eurointelligence, «la rottura con il Rassemblement National di Le Pen e la Lega di Salvini «potrebbe frenare la spinta dell’estrema destra tedesca verso un importante risultato elettorale e anche mettere più pressione sull’AfD a livello nazionale. Quanto accaduto - dice Münchau - mostra come sia difficile, per i partiti di estrema destra formare coalizioni efficaci a livello europeo, poiché tutti loro si definiscono su basi nazionaliste, l’uno contro l’altro. La storia è sempre più vicina di quanto si pensi».
Democrazia logorata
Resta il fatto che «i segnali di una trasformazione della mappa geopolitica, iniziati anni fa, si sono via via irrobustiti, fino a diventare di lunga durata e ad allargare il perimetro della loro influenza. I movimenti o i partiti populisti, fioriti a metà degli anni ‘70 con in testa la Francia e il Belgio, hanno continuato la loro espansione in altri Paesi dell’eurozona». L’analisi è di Sara Gentile, associata di Scienza politica all’Università di Catania e docente invitata a Sciences Po, a Parigi. In un lungo articolo pubblicato sul sito della Fondazione Feltrinelli, la politologa catanese ha dato anche una spiegazione sui motivi per i quali oggi la destra sta «vincendo» in Europa. «In primo luogo, c’è un dato oggettivo - scrive Gentile - vale a dire il fatto che le democrazie affermatesi con l’inizio del XX secolo oggi appaiono logorate e sono per varie ragioni in affanno, riproponendo con asprezza la tensione fra chi governa e chi è governato: crisi della rappresentanza politica; venir meno dello Stato sociale; venir meno anche del perno dello Stato nazionale che non può più garantire autonomamente i bisogni dei suoi cittadini, stretto nelle maglie della politica globalizzata e delle sue leggi; aumento esponenziale del flusso di immigrazione». Proprio lo «spettro di una “invasione”», assieme alla «paura del multiculturalismo», sembrano essere il collante delle destre. E non soltanto in Europa. In questo quadro, «il demos - il popolo - infiammato nel suo istinto identitario e protestatario», diventa preda della retorica delle forze più conservatrici. Un popolo, dice Sara Gentile, che «non cerca l’alternanza quanto piuttosto lo spezzare una politica che esso disapprova».
Oltre a ciò, aggiunge la politologa, pesa sull’attuale situazione «l’assenza di una vera opposizione» e, in particolare, «l’assenza della sinistra, incapace di cogliere i mutamenti epocali che viviamo, di rimodulare obiettivi, strumenti, organizzazione in una realtà in cui la forma politica democratica non regge più il passo con i continui cambiamenti delle società».