Lugano

Ex Macello: ecco perché bisogna ricominciare da capo

I motivi per cui la Corte dei reclami penali ha annullato il decreto d’abbandono sul caso del centro sociale demolito - Mancano diversi accertamenti - Dovranno essere interrogati anche Torrente, Bertini e Zanini Barzaghi
© CdT/Gabriele Putzu

Altre macerie. A crollare, sta volta, è stato il decreto d’abbandono firmato nel dicembre di due anni fa dal procuratore generale Andrea Pagani, che aveva escluso i reati di abuso d’autorità, violazioni delle regole dell’arte edilizia e infrazione alla legge sulla protezione dell’ambiente durante la demolizione, nella notte fra il 29 e il 30 maggio 2021, del centro sociale Il Molino. Dalle ventisette pagine di quel documento erano emerse lacune gestionali da parte della polizia, sì, ma senza conseguenze penali, senza colpevoli. Eravamo rimasti lì.

Fino a mercoledì pomeriggio, quando un altro documento, che di pagine ne conta novantatré, ha ribaltato la situazione. Accogliendo in parte il ricorso dell’avvocato Costantino Castelli, legale della Addio Lugano Bella Associazione C.S.O.A. Il Molino, cioè degli autogestiti, la Corte dei reclami penali, composta dai giudici Nicola Respini, Ivano Ranzanici e Giovan Maria Tattarletti, ha rimandato l’incarto al Ministero pubblico «affinché chiarisca ulteriormente i fatti che hanno avuto come conseguenza la suddetta demolizione». I nuovi approfondimenti dovranno essere fatti «secondo le indicazioni dell’istanza superiore» interrogando una serie di persone che non erano state convocate prima, ma le cui deposizioni, secondo la Corte, potrebbero aiutare a chiarire le cose. Dovranno essere sentiti tra gli altri Michele Bertini, che era stato municipale responsabile della sicurezza prima di Karin Valenzano Rossi, l’attuale responsabile della Divisione immobili Cristina Zanini Barzaghi, la sua direttrice Lisa Muscionico, il comandante della Comunale Roberto Torrente, l’ex vicecomandante Franco Macchi e alcuni agenti. Non si tratta di nuovi indagati, bensì di persone informate sui fatti. Il procedimento penale era stato aperto nei confronti di Valenzano Rossi e del vicecomandante della Polizia cantonale Lorenzo Hutter (e di ignoti) che in seguito alla decisione della CRP tornano formalmente ad essere sotto inchiesta.

C’era un pericolo imminente?

Ma cosa è andato storto nelle indagini? In estrema sintesi, a mente della Corte dei reclami penali, l’inchiesta non ha «per nulla dissipato i pesanti dubbi» che le «reali intenzioni degli imputati» fossero quelle di «demolire l’intero stabile F», quello che accoglieva il centro sociale e che non era tutelato per il suo valore architettonico. Intenzioni che per i giudici potrebbero essere maturate ben prima che entrassero in azione le ruspe. Non è stato possibile stabilirlo con certezza, in un senso o nell’altro: è proprio questo il punto. E l’incertezza non permetterebbe a chi ha deciso la demolizione di far valere l’articolo 17 del CP, che esclude la responsabilità penale se un atto è stato commesso per difendere qualcosa o qualcuno «da un pericolo imminente e non altrimenti evitabile». Il pericolo, in questo caso, era che alcuni manifestanti, in un eventuale tentativo di rioccupare l’ex Macello, salissero sul tetto dello stabile e cadessero a causa delle sue pessime condizioni. Ma se la demolizione fosse davvero stata decisa tempo addietro, la «clausola d’urgenza», se così possiamo chiamarla, cadrebbe. La CRP non ha dubbi sul fatto che il Municipio e la Polizia comunale sapessero del cattivo stato della copertura in tegole, «ma l’inchiesta non ha chiarito se il 29 maggio il tetto era ancora pericolante o se nel frattempo era stato rifatto o riparato». Sempre a proposito del pericolo imminente, l’inchiesta secondo la corte «non ha sufficientemente approfondito quale fosse lo stato d’animo e quindi le reali intenzioni dei manifestanti diretti verso l’ex Macello dopo l’avvenuto sgombero». In altre parole, non sappiamo se avrebbero tentato di riprenderselo subito, anche salendo sul tetto. La Corte si è poi soffermata su una dichiarazione, di fronte agli inquirenti, del sindaco Michele Foletti, al tempo municipale, secondo il quale già nel 2020 il Municipio aveva chiesto alla Polizia comunale un piano per lo sgombero. «Gli inquirenti dovranno chiarire se questo piano era stato allestito e, soprattutto, se prevedesse interventi edili sull’immobile F o la sua demolizione».

Scelta «prematura»

«Da chiarire», «da capire», «da interrogare»: secondo la CRP l’inchiesta ha lasciato dietro di sé diversi «buchi», con il loro carico di domande sospese. In conclusione, la Corte ha ricordato che un decreto d’abbandono non può essere pronunciato «se non quando appaia chiaramente che i fatti non sono punibili, oppure che le condizioni per il perseguimento non sono adempiute». La scelta di Pagani, perciò, è stata giudicata «prematura». Tutto caduto, quasi tutto da rifare.

Le reazioni

Karin Valenzano Rossi, come detto, è formalmente tornata fra gli indagati. «Ma sono serena per la mia posizione e le circostanze che mi riguardano» premette subito la municipale. «Gli atti istruttori aggiuntivi richiesti dalla Corte, infatti, non riguardano la mia persona, bensì l’operato della polizia, anche in un periodo in cui io non facevo ancora parte del Municipio». Essere sotto inchiesta non è comunque facile a livello umano. «Sono convinta di aver agito nella legalità, per la legalità e la salvaguardia della sicurezza, quindi attendo fiduciosa».

«Mi dispiace - aggiunge - perché la decisione di autorizzare la polizia alla demolizione del tetto ed eventualmente di una delle pareti, quella sera, non l’ho presa da sola. Ero con altri tre municipali». Dispiaciuta, Valenzano Rossi, lo è anche «per i lunghi tempi della giustizia e le ingenti risorse assorbite da questo procedimento, che per oltre due anni ha visto coinvolti il procuratore generale, prima, e tre giudici della Corte dei reclami penali, poi. Tutto questo – ha incalzato la municipale – per un tema che ha una rilevanza soprattutto politica. E in un momento in cui le autorità penali sono sovraccariche e chiedono rinforzi. Fuori intanto ci sono i delinquenti veri, che non sono né i molinari, né il Municipio, né la polizia».

Anche al sindaco Michele Foletti non sono andati giù i tempi della decisione della CRP. «Quello che mi disturba, come cittadino più che come politico, è che ci hanno messo un anno e mezzo per arrivare a questa conclusione. Non si fa. Abbiamo le macerie ancora sotto sequestro, che quindi non possiamo spostare, e un progetto di riqualificazione di tutto il comparto dell’ex Macello che è pronto, ma non può partire, nonostante la variante di Piano regolatore sia stata approvata dal Governo. Un progetto per i giovani».

Di umore opposto l’avvocato del Molino Costantino Castelli. «L’esito del ricorso conferma che l’inchiesta è stata carente e non ha accertato le responsabilità di quella demolizione. Come abbiamo fatto notare, mancano accertamenti su determinate circostanze che ora devono essere fatti al fine di chiarirle».