«Finalmente ho scritto il seguito de La verità sul caso Harry Quebert»
Joël Dicker non si ferma più. Scrittore ginevrino da milioni di copie alle spalle. Autore svizzero tra i più conosciuti al mondo. Dal suo libro bestseller del 2012 «La verità sul caso Harry Quebert» hanno tratto una miniserie televisiva statunitense diretta da Jean-Jacques Annaud. Trasmessa in tutto il mondo. Joël Dicker non si ferma più. Perché non solo ha appena dato alle stampe il seguito de «La verità sul caso Harry Quebert», per ora solo in francese (la pubblicazione in italiano è prevista in maggio). Ma ha anche fondato una casa editrice. La sua. E l’ha chiamata «Rosie et Wolfe». Rosie come una delle donne più importanti della sua vita. Wolfe come suo nonno. Che gli ha trasmesso il virus della scrittura.
Partiamo proprio da qui. Dalla nuova casa editrice. Perché ha deciso di fondarne una sua?
«La casa editrice con cui ho esordito e ho sempre pubblicato i miei libri in francese è stata chiusa. Così ho dovuto guardarmi in giro. Ma non è stato semplice. Perché con les Éditions de Fallois e Bernard de Fallois, a cui devo tutto, ho sempre avuto un rapporto speciale. Unico. Non replicabile».
Così si è messo in proprio.
«Sì, e sono contento di essere io il proprietario della casa editrice. E di averla fondata a Ginevra, in Svizzera».
Esiste già un catalogo? Quali libri pubblicherà oltre ai suoi?
«La programmazione è ancora in divenire. L’idea è quella di proporre inizialmente due titoli all’anno a partire dal 2023».


Ma pubblicherà anche altri autori svizzeri?
«È la mia speranza. Per il momento sono in cantiere due traduzioni in francese dall’inglese. Si tratta di due opere che ho nel cuore. Una parla della Seconda guerra mondiale. Ma davvero vorrei pubblicare autori svizzeri in futuro».
Intanto, sempre con Rosie et Wolfe, oltre aver ripubblicato quasi tutti i suoi libri, ha dato alle stampe il suo ultimo romanzo, «L’Affaire Alaska Sanders». Ce ne vuole parlare?
«Si tratta di un libro particolare per me. Ma non solo perché è il seguito de La verità sul caso Harry Quebert».
Può spiegarsi meglio?
«L’idea di scrivere un seguito ce l’ho da almeno dieci anni. E sono estremamente felice di averla portata a termine. Anche se non è stato facile».
Per quale motivo non è stato facile?
«Perché «La verità sul caso Harry Quebert» ha avuto un successo enorme e mi ha impedito di scrivere un seguito immediatamente. Così come ce l’avevo in testa. Per fortuna è passato un po’ di tempo e oggi ho potuto farlo».
Nel nuovo romanzo, anche se di sponda, è presenta la guerra. Un argomento molto attuale.
«Non è un libro sulla guerra, ma in effetti alcuni personaggi e alcuni passaggi hanno a che fare con dei conflitti armati. In particolare la guerra nel Golfo e la Somalia».


Cosa pensa della guerra in Ucraina?
«Dico una cosa banale. È spaventosa e insopportabile».
Perché si trova così bene a scrivere romanzi thriller?
«Non so se il thriller sia il mio genere preferito. Di sicuro mi permette di raccontare delle storie. E in questo senso è in effetti il mio fil rouge. Nello stesso tempo però spero che un giorno utilizzerò anche altri generi letterari».
Lei è lo scrittore svizzero più conosciuto e apprezzato all’estero. Ma qual è la sua idea sulla letteratura svizzera?
«La mia idea è che è una letteratura varia, larga e plurilingue. Penso che la sua forza sia anche la sua debolezza. Perché non è sempre capace di riunire tutte queste sensibilità diverse. E questo è davvero un peccato».
Anche se i lettori svizzeri sono molto diversi tra loro. Non crede?
«Sicuramente è così. Anche perché i lettori ticinesi si rivolgono alla letteratura italiana, quelli svizzeri tedeschi a quella della Germania e quelli svizzero francesi alla Francia».
Un quadro della situazione molto spezzettato.
«Sì, ma è anche una situazione che ha la sua forza. Perchè permette al mercato di essere vario e ricco. Ciò non toglie che bisognerebbe comunque trovare un’identità maggiore tra le diverse culture e lingue».