Fra insediamenti israeliani e violenze diffuse: il caso della Cisgiordania
«Pogrom». Fu questa la parola usata da un ufficiale delle Forze di difesa israeliane (IDF) per descrivere, a posteriori, l'attacco avvenuto il 26 febbraio 2023 a Huwara, cittadina palestinese in Cisgiordania, per mano di centinaia di coloni israeliani. Allora, palazzi e auto della popolazione palestinese vennero dati alle fiamme: centinaia i palestinesi feriti, un morto. Mesi dopo, un'indagine condotta da CNN provò che le forze israeliane, presenti sul posto, non solo non fecero nulla per proteggere i palestinesi dall'attacco dei coloni, ma quando i primi provarono a difendersi lanciando sassi, alcuni militari delle forze di sicurezza si unirono all'assalto dei settlers israeliani, sparando gas lacrimogeni e granate stordenti contro i civili palestinesi. L'utilizzo della parola «pogrom» ha un suo peso specifico. Derivante dal russo, il termine veniva originariamente utilizzato per indicare gli attacchi di matrice antisemita. Il fatto che un membro dell'IDF utilizzasse questa parola per descrivere un attacco condotto da coloni israeliani ai danni di palestinesi fece, a suo tempo, notizia.
Nelle scorse ore, tuttavia, il termine è stato utilizzato anche dal presidente israeliano Isaac Herzog per descrivere l'attacco di coloni ebrei contro il villaggio palestinese di Jit, a est di Qalqilya, in Cisgiordania. Decine di coloni israeliani mascherati, alcuni armati, hanno lanciato sassi e bombe molotov durante l'assalto al villaggio, incendiando diverse auto e distruggendo proprietà. Anche Huwara, non lontana, è stata nuovamente presa di mira. Un palestinese è stato ucciso e diversi altri sono rimasti feriti.
Le reazioni in Israele
In Israele, l'attacco ha suscitato una «rara» – come definita dai media internazionali – condanna, forse ancora più singolare per la sua unanimità: sostanzialmente tutti gli schieramenti hanno deplorato l'aggressione compiuta dai coloni, sebbene alcuni politici abbiano provato, in qualche modo, a reinquadrarla. Dura, in un messaggio pubblicato su X, la reazione di Herzog, che ha condannato «fermamente il pogrom» andato in scena nella regione, da lui descritta utilizzando il nome biblico di «Samaria». «Si tratta di una minoranza estremista che danneggia la popolazione di coloni rispettosa della legge e l’insediamento nel suo insieme, il nome e la posizione di Israele nel mondo durante un periodo particolarmente delicato e difficile. Questo non è il nostro modo e certamente non è il modo della Torah e del Giudaismo», ha affermato il presidente israeliano. «Le forze dell'ordine devono agire immediatamente contro questo grave fenomeno e assicurare i trasgressori alla giustizia». Meno decisa la reazione di Benjamin Netanyahu e di altri vertici. Il premier, da parte sua, pur assicurando di voler portare i responsabili di fronte alla giustizia, ha cercato di derubricare l'attacco a un (per quanto deprecabile) caso di vigilantismo: «Coloro che combattono il terrorismo sono l’IDF e le forze di sicurezza, e nessun altro». Un'affermazione che, tuttavia, etichetta tutta la popolazione dei centri abitati come terroristi. Il leader dell'estrema destra israeliana, il ministro per la Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir, si è scagliato contro il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant e il capo di Stato maggiore delle IDF Herzi Halevi, colpevoli, a suo dire, di aver favorito l'escalation: «Ho detto al capo dello Stato maggiore che non appoggiare i soldati nell'uccidere un terrorista che lancia sassi porta a incidenti come quello», ha affermato Ben-Gvir di fronte ai media locali. «Nonostante ciò, è inequivocabilmente vietato farsi giustizia da soli», ha concesso. «Sono le IDF che devono occuparsi del terrorismo e della deterrenza, anche nel caso di Jit. È giunto il momento che il ministro della Difesa lo faccia», ha poi concluso Ben-Gvir, sostanzialmente allineandosi a Netanyahu.
E a livello internazionale
Meno sfumate le condanne provenienti da Stati Uniti ed Europa. La Casa Bianca, da parte sua, ha criticato le autorità dello Stato ebraico per non essere regolarmente intervenute in tempo per prevenire gli attacchi contro i palestinesi. Tali episodi «sono inaccettabili e devono cessare», ha affermato un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale americano in una dichiarazione rilasciata al quotidiano Times of Israel. «Le autorità israeliane devono adottare misure per proteggere tutte le comunità dai danni: ciò include intervenire per fermare tale violenza e chiedere conto a tutti gli autori di tale violenza», ha affermato il funzionario statunitense.
L'alto rappresentante UE per gli affari esteri Josep Borrell, su X, si è così espresso: «Condanniamo gli attacchi dei coloni a Jit, volti a terrorizzare i civili palestinesi. Giorno dopo giorno, in una quasi totale impunità, i coloni israeliani alimentano la violenza nella Cisgiordania occupata, contribuendo a mettere in pericolo ogni possibilità di pace. Il governo israeliano deve porre immediatamente fine a queste azioni inaccettabili. Confermo la mia intenzione di presentare una proposta di sanzioni dell'Ue contro i sostenitori dei coloni violenti, compresi alcuni membri del governo israeliano».
Violenze: che cosa dicono i dati
Da tempo le IDF compiono regolarmente operazioni militari anche in Cisgiordania. A fine luglio, ad esempio, le Forze di difesa israeliane avevano annunciato di aver condotto un'operazione congiunta nell'area di Tulkarem. Allora, i militari avevano riferito di aver eliminato terroristi di diversi gruppi che agivano nella zona, in particolare un responsabile di Hamas attivo nella fabbricazione di esplosivi e nel reclutamento di nuovi operativi. Operazioni simili venivano effettuate già prima del 7 ottobre e storicamente hanno toccato, in più occasioni, anche la popolazione civile, come documentato dalle ong attive nella regione. Un rapporto pubblicato a maggio da Human Rights Watch, ad esempio, accusava le IDF di aver «ingiustamente ucciso o deliberatamente giustiziato palestinesi che non rappresentavano un'apparente minaccia per la sicurezza» già nel periodo fra il 6 luglio e il 19 ottobre 2023. Il report presentato dalla ong internazionale si basava su documentazione raccolta sul posto: autopsie, filmati e testimonianze oculari.
Secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), nel 2023 le forze israeliane hanno ucciso in Cisgiordania 492 palestinesi, tra cui 120 bambini. Circa 300 palestinesi sono stati uccisi nei tre mesi successivi agli attacchi del 7 ottobre contro Israele guidati da Hamas. Ma l'impennata post-7 ottobre conferma una tendenza già osservata nei mesi precedenti, con il 2023 che era già sulla rotta per divenire l'anno con più morti palestinesi in Cisgiordania dal 2005. Nel 2023 sono aumentate anche le uccisioni di civili israeliani in Cisgiordania, saliti a 25: la cifra più alta in almeno 15 anni.
Anche le violenze dei coloni hanno osservato un'impennata nel 2023, e già nei mesi precedenti l'attacco di Hamas. Secondo un rapporto presentato il 2 agosto dall'Unione Europea, l'anno scorso Israele ha avanzato piani per la costruzione di 12.349 case nella Cisgiordania occupata, il maggior numero da 30 anni a questa parte. L'aumento dei piani di espansione degli insediamenti è stato correlato a un aumento generale delle violenze contro i palestinesi: nel 2023, la già citata OCHA ha registrato il più alto numero di episodi di violenza da parte dei coloni in un anno, un record da quando l'ONU ha iniziato a registrare tali episodi nel 2006. Gli episodi, ha segnalato l'Ufficio ONU per gli affari umanitari, sono aumentati notevolmente dopo il 7 ottobre, con 1.250 attacchi di coloni israeliani contro i palestinesi, che hanno causato almeno 120 morti e 1.000 danni alle proprietà. Almeno 1.539 palestinesi (tra cui 756 bambini) appartenenti a 15 comunità diverse sono stati costretti ad abbandonare le proprie case.
Insediamenti: che cosa dice il diritto internazionale
Il diritto internazionale è categorico sulla questione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania: si tratta di insediamenti illegali. Tutti i territori occupati dal 1967 e abitati oggi da circa 700.000 coloni israeliani, compresa Gerusalemme Est occupata, sono considerati illegali in base alla Quarta Convenzione di Ginevra, che all'articolo 49, recita: «La potenza occupante non deve deportare o trasferire parti della propria popolazione civile nel territorio che occupa». La risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, approvata nel dicembre 2016, ribadisce questa posizione: essa afferma che gli insediamenti non hanno «alcuna validità legale» e costituiscono «una flagrante violazione del diritto internazionale». Una risoluzione che, tra l'altro, fa riferimento alla più nota "risoluzione 242" del Consiglio di Sicurezza ONU, votata nel 1967, che già chiedeva il ritiro di Israele dai territori palestinesi occupati in Cisgiordania.
La continua espansione israeliana nei territori palestinesi della Cisgiordania è regolarmente criticata dalla comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti, il principale sostenitore e alleato del Paese. A febbraio, ad esempio, il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva affermato: «È da tempo che la politica degli Stati Uniti, sia sotto le amministrazioni repubblicane che democratiche, sostiene che nuovi insediamenti sono controproducenti per il raggiungimento di una pace duratura. Sono anche incoerenti con il diritto internazionale. La nostra amministrazione mantiene una ferma opposizione all'espansione degli insediamenti. A nostro avviso, questo indebolisce solo la sicurezza di Israele, non la rafforza».
Lo scorso mese, poi, la posizione della comunità internazionale è stata riconfermata da una dichiarazione – non vincolante – della Corte internazionale di giustizia, la più alta corte dell'ONU, che nelle conclusioni raggiunte da un gruppo di 15 giudici aveva affermato: «Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, e il regime ad essi associato, sono stati creati e vengono mantenuti in violazione del diritto internazionale».
Il governo israeliano ha sempre respinto tali risoluzioni. Giorni fa, Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze israeliano e membro del gruppo di estrema destra al governo, ha dichiarato di aver «completato il lavoro e pubblicato un piano per il nuovo insediamento di Nahal Heletz a Gush Etzion», un nuovo blocco di insediamenti che dovrebbe sorgere a sud di Gerusalemme. «Nessuna decisione anti-israeliana e anti-sionista fermerà lo sviluppo degli insediamenti», ha dichiarato Smotrich su X. Il nuovo insediamento, di un'area di circa 60 ettari ha già ricevuto l'approvazione preliminare del governo. La sua locazione, vicina a Betlemme, è tuttavia particolarmente preoccupante secondo alcune organizzazioni. Il gruppo israeliano anti-insediamento Peace Now, ad esempio, ha dichiarato che l'insediamento fiancheggerà le case del villaggio palestinese di Battir, patrimonio dell'umanità, e ha accusato Smotrich di aver ideato un «attacco su larga scala» a un'area «rinomata per le sue antiche terrazze e i sofisticati sistemi di irrigazione, testimonianza di migliaia di anni di attività umana».