«Francia e Svizzera vicine? Un omaggio di Macron a Berset»
Tra domani e giovedì, Emmanuel Macron sarà in visita per la prima volta in Svizzera. Una visita tanto attesa, che giunge dopo anni di rapporti tesi tra Paesi vicini di casa. Ad accoglierlo sarà Alain Berset, prossimo al ritiro dall’Esecutivo. Perché questo incontro? E perché proprio ora? Ne discutiamo qui con il professor Casasus, cresciuto tra Berna e Lione e tra i massimi esperti di questioni politiche europee.
In un’intervista a Le Nouvelliste, lo scorso anno, definiva le relazioni tra Svizzera e Francia con l’aggettivo «complicate». Perché proprio questa definizione?
«È vero, e in quel caso parlavo di un doppio uppercut rifilato dalla Svizzera alla Francia. Da una parte la decisione unilaterale del Consiglio federale di porre fine all’accordo quadro - che la Francia aveva sostenuto - nel maggio del 2021, e quindi, poco più in là, il 30 giugno di quello stesso anno, la scelta di puntare sugli aerei da combattimento americani a scapito dei Rafale francesi. Insomma, tutto questo nel giro di pochi mesi. La Francia, rimanendo nella metafora pugilistica, si è sentita messa alle corde. Un doppio montante che ha ferito la Francia e che ha fatto sì che le relazioni tra i due Paesi precipitassero. E allora questo viaggio di Macron si inserisce, evidentemente, in una fase di miglioramento dei rapporti tra Parigi e Berna».
Nel settembre di quell’anno, del 2021, lo stesso Macron aveva di fatto cancellato la visita, già programmata, di Parmelin, allora presidente svizzero, a Parigi. E oggi è lui a venire in Svizzera. Possiamo intuire che ha deciso di «perdonarci»?
«Non parlerei di perdono, bensì di una fase di riscaldamento del clima politico franco-svizzero. È antipatico parlare di riscaldamento del clima, di questi tempi, me ne rendo conto. Ma in questo caso parliamo di un riscaldamento positivo. Ci stiamo ritrovando. Ma attenzione, perché il tutto parte da un punto davvero basso, da relazioni che possiamo definire conflittuali. E poi c’è un altro aspetto importante...».
Quale?
«Che si tratta anche di una visita di Macron per manifestare simpatia all’indirizzo di Alain Berset. E questo è un punto che va considerato. Un punto che ha anche una sua punta di ironia. Ma come? Ha aspettato tanti anni per poi venire in Svizzera alla festa d’addio di un consigliere federale? Ma è spesso proprio in questi momenti che si approfitta del caso per riprendere le relazioni, per riscaldarle. Alla fine dei conti, c’è anche una grande intesa di vedute e personale tra Berset e Macron. Sono due uomini non identici ma che si somigliano molto. E allora l’arrivo di Macron casca proprio sotto la presidenza di Berset: in extremis, manca un mese e mezzo al suo ritiro, e questa era l’ultima possibilità. Non sono sicuro che avrebbe potuto succedere sotto la presidenza di Parmelin o di Maurer. Anzi, sono sicuro del contrario. E sarebbe stato complicato pure sotto la presidenza di Amherd, l’anno prossimo, visto il passato, a causa del rifiuto di acquistare i Rafale. Quindi c’è un elemento personale molto forte dietro questa visita, un elemento umano e di intesa tra due uomini relativamente comparabili. Per contro, dal punto di vista della politica svizzera, la visita giunge in un momento particolare, tra l’elezione del Consiglio nazionale e quella del Consiglio degli Stati, ma soprattutto prima dell’elezione del Consiglio federale. E a partire sarà proprio Berset. Chi lo sostituirà, e alla testa di quale dipartimento? L’incertezza politica svizzera pone qualche ombra sul prosieguo della relazione tra Berna e Parigi, anche perché il prossimo presidente socialista sarà Baume-Schneider, ma solo tra qualche anno».
Ecco, su questo punto: l’ultimo bilaterale su suolo svizzero risale al 2015. Allora ad ospitare Hollande fu Simonetta Sommaruga, altra consigliera federale socialista. È un caso?
«Partiamo da una certezza: Macron non è socialista. Certo, ha fatto parte di un governo socialista, ai tempi dello stesso Hollande, ma oggi - dal mio punto di vista -, pur arrivando dal centro-sinistra, adotta sempre più posizioni di centro-destra. Ma è evidente che la scelta del presidente francese, che sia Hollande o che sia Macron, dipende dal suo omologo a Berna. Non posso immaginarmi, nella situazione attuale, e dopo quel doppio uppercut di cui si parlava, una visita di Macron guidata da un presidente svizzero UDC. Al limite da un presidente liberale radicale. Da Cassis? Forse. Difficile da Keller-Sutter. Fatto sta che giunge ora, con Berset presidente e destinato a uscire di scena tra un mese e mezzo».
Una domanda che sfiora l’ingenuità: che cosa ci guadagna la Svizzera nel ricucire i rapporti con la Francia? E che cosa ci guadagna la Francia?
«No, è una domanda fondamentale. Dobbiamo ricordarci che la Svizzera è il solo Paese ad avere frontiere in comune con i tre Paesi più importanti dell’Unione europea, ovvero Germania, Italia e Francia. Non l’Austria, non il Liechtenstein: no, la Svizzera soltanto. E allora diventa essenziale avere buoni rapporti con l’Unione europea proprio perché le sue tre principali potenze sono Paesi di frontiera. Una frontiera in comune con la Svizzera. E quando parliamo di frontiere, lo sapete bene in Ticino, parliamo anche di lavoratori frontalieri, un tema ricorrente, un dossier sempre sensibile. Un dossier molto presente in Ticino in comune con l’Italia, ma ancor più presente tra Svizzera e Francia. Basti considerare il fatto che, a livello di impieghi, il bacino principale tra Svizzera e Italia rimane Milano, mentre tra Svizzera e Francia sono due città svizzere, Basilea e Ginevra. E questo porta con sé continue domande sociali ed economiche. Ma non c’è solo questo. Di fronte a una crisi con un Paese vicino, l’obiettivo deve essere di non aggravare la situazione, in modo tale da evitare ripercussioni negative sulla vita quotidiana dei cittadini dell’uno e dell’altro Paese, basti pensare agli svizzeri che vivono in Francia».
Ed eccoci allora alla visita di domani. Una visita di riavvicinamento.
«Sì, ma tra Macron e la Svizzera francese. Mi spiego. È un aspetto - direi - critico del programma della visita di Macron. Certo, ci sono ottime iniziative, come la visita alla Fondazione Jean Monnet o come il discorso che terrà davanti agli studenti dell’Università di Losanna e dell’EPFL. Ma la differenza essenziale tra questa visita e quella, precedente, di Hollande nel 2015, è che la Svizzera italiana e la Svizzera tedesca sono state praticamente ignorate. D’accordo, arriverà a Berna, a Palazzo federale, ma gran parte della visita sarà dedicata a Losanna e a Ginevra, in una visione molto francofona della Svizzera. E questo è peccato. Hollande era stato a Zurigo per conoscere meglio il nostro sistema di formazione duale».
E questo, a suo modo di vedere, che cosa sta a significare?
«Che Macron ha una visione molto francese della Svizzera. Dimentica che la Svizzera è un Paese multilingue, e che questo interculturalismo e questo multilinguismo farebbero comodo anche alla Francia. Detto questo, la visita va nella direzione giusta. Certo, Macron è presidente da sei anni. Hollande era venuto in Svizzera a tre anni dalla sua elezione, e lo stesso fece Chirac. Per non parlare dell’epoca d’oro del rapporto tra François Mitterand e Adolf Ogi. Oggi non possiamo più parlare di epoca d’oro, questo è sicuro, ma perlomeno ci stiamo riavvicinando, torniamo a parlarci».
E quale Francia ritroviamo?
«Un Paese che vive una vita politica interna estremamente difficile, e questo a causa del rischio di una vittoria di Marine Le Pen e dell’assenza di una sinistra capace di offrire una vera alternativa a Mélenchon, il quale dal canto suo è sempre più all’estremo, sempre più lontano dagli ideali universalisti della sinistra francese. Sono complicazioni interne, per Macron, che si riflettono però nell’immagine che la Francia dà di sé nel mondo. Una Francia che non splende più come una vera grande potenza mondiale e che non riesce più a indossare i panni decisivi dell’intermediario o del negoziatore nei grandi conflitti mondiali in corso. E questo anche al di là delle prese di posizione, anche coraggiose, dello stesso Macron».