Domande e risposte

Frontalieri, la tassa «pasticciata» sulla salute

La norma inserita nella Legge di bilancio italiana prevede un contributo a carico dei vecchi frontalieri dal 2025 - Sindacati e mondo economico la ritengono una misura contraria agli accordi siglati - Il Ticino ha negato i dati e Berna ha promesso che vigilerà
© CdT/Gabriele Putzu
Martina Salvini
08.05.2024 06:00

Entrerà in vigore nel 2025, ma sulla «tassa sulla salute» i dubbi non mancano, tanto sulla sua costituzionalità quanto sull’applicazione. Cerchiamo di capire di cosa si tratta e perché, secondo i sindacati, si tratta di «un pasticcio».

Partiamo dall’inizio: che cos’è la «tassa sulla salute»?

Si tratta di una norma inserita nella Legge di bilancio votata dal Parlamento italiano. Dovrebbe essere riscossa a partire dal 2025 e sarà a carico dei vecchi frontalieri, ossia quei lavoratori che secondo il nuovo accordo fiscale continueranno a pagare le imposte sul reddito solo in Svizzera. In sostanza, i vecchi frontalieri dovranno contribuire al mantenimento del Servizio sanitario italiano tramite «un contributo» annuale che varierà tra il 3% e il 6% del reddito netto annuo, comunque non al di sotto dei 30 euro e non superiore ai 200. L’aliquota esatta verrà decisa dalle singole Regioni, quindi potranno esserci differenze tra chi vive in Piemonte e chi vive invece in Lombardia.

Perché è stata introdotta?

«In Italia - spiega il responsabile dell’Ufficio frontalieri dell’OCST Andrea Puglia - il Servizio sanitario nazionale è pubblico e viene alimentato in buona parte dall’IRPEF (l’imposta fiscale sul reddito) pagata dai lavoratori attivi in Italia. I frontalieri, tuttavia, in virtù delle disposizioni previste dal vecchio accordo fiscale del 1974 e riprese dalla nuova intesa, non pagano l’IRPEF; essi però partecipano comunque alla fiscalità generale dello Stato grazie ai ristorni delle loro imposte alla fonte che ogni anno la Svizzera versa all’Italia». Tuttavia per il Governo non basta. «Questo contributo - ha detto Massimo Sertori responsabile per i Rapporti con la Confederazione per la Regione Lombardia alla Provincia di Como - prende le mosse da una sottolineatura della Ragioneria dello Stato, che si è resa conto che sia i frontalieri sia gli italiani residenti all’estero non iscritti all’Aire usufruiscono del Servizio sanitario italiano senza pagare nulla».

A che cosa dovrebbe servire questa tassa?

I soldi incassati dovrebbero rimanere alle zone di confine. «Questi fondi - ha spiegato Sertori - garantiranno un aumento degli stipendi di medici e infermieri delle zone di confine», in modo da trattenerli sul territorio e contenere la «fuga» verso la Svizzera. Tuttavia, osserva Puglia, questo provvedimento non risolverebbe affatto la penuria di personale curante. «Semplicemente sposterebbe il problema: un medico attivo a Milano sarebbe invogliato a spostarsi a lavorare a Como, lasciando però un buco altrove. Inoltre, la differenza salariale con le retribuzioni svizzere non sarebbe neppure lontanamente colmata».

Quali sono i dubbi sulla misura?

Secondo i sindacati, innanzitutto, si tratta di una legge anticostituzionale, «perché è contraria al nuovo accordo sulla tassazione dei frontalieri, secondo il quale i vecchi frontalieri devono essere tassati solo in Svizzera, un diritto per il quale ci siamo battuti a lungo; quindi potrebbe decadere al primo ricorso», dice Puglia. Ma se anche la norma fosse costituzionale, sorge un altro problema. «Nell’intesa siglata tra Roma e Berna i due Paesi hanno stabilito che lo scambio di dati riguarderà unicamente i nuovi frontalieri. Di conseguenza, la Lombardia ha cercato di aggirare l’accordo chiedendo i dati direttamente ai Cantoni».

La Lombardia ha quindi scritto a Ticino, Vallese e Grigioni, e qual è stata la risposta?

Come ci conferma il Servizio della comunicazione del Consiglio di Stato, «il Governo ticinese - in maniera analoga a quello grigionese - ha risposto negativamente alla richiesta della Regione Lombardia in merito all’ottenimento di informazioni sui lavoratori frontalieri lombardi attivi in Ticino che, al momento della richiesta del permesso di lavoro, non si sono iscritti alla cassa malati svizzera». E questo perché «al momento non esiste una base legale che permetta la trasmissione di questi dati». Insomma, da Bellinzona è arrivato un secco no. Il grande problema per l’Italia, infatti, è quello di dover individuare la platea dei vecchi frontalieri. «L’Italia non dispone di questi dati e l’unico modo per averli è di chiederli direttamente ai Cantoni, visto che la Confederazione non potrebbe fornirli dato che questa categoria esula dal nuovo accordo fiscale».

Ma se anche i vecchi frontalieri venissero identificati, come si può risalire al loro reddito per fissare l’importo dovuto?

«Questo è un altro problema», conferma Puglia. «La Svizzera non può trasmettere i dati dei salari, quindi se le Regioni non conoscono gli stipendi dovrà essere il frontaliere stesso a dichiarare l’importo, e a quel punto si aprirebbe alla possibilità di abuso». Su questo punto, però, Sertori ha chiarito: «Siamo orientati ad applicare il contributo verso la quota minima. Ciò significa che un frontaliere il cui stipendio ammonta a 4 mila euro netti andrà a pagare un contributo mensile massimo di 120 euro». Il sindacalista dell’OCST, tuttavia, ribadisce: «Dal nostro punto di vista, oltre che pasticciata, questa misura è inapplicabile».

La Confederazione dovrà prendere posizione sul tema?

Una richiesta di chiarimento è stata avanzata anche dalle associazioni economiche. AITI ha scritto a Berna chiedendo di verificare se il contributo è in conflitto con il nuovo accordo fiscale. «Nella sostanza - ci dice il direttore di AITI Stefano Modenini - il Consiglio federale ha risposto che veglierà affinché l’Italia applichi gli accordi stabiliti. Qualora la tassa sulla salute, a giudizio della Svizzera, dovesse entrare in conflitto con l’accordo fiscale (che non consente di prelevare imposte ulteriori sui frontalieri), il nostro Paese interverrà presso il Governo italiano».

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