Frontalieri: una frenata storica per il Ticino, «ma è prematuro dire se sia dovuto all’accordo fiscale»

Parlare di una vera e propria inversione di tendenza è prematuro. Quel che è certo, però, è che per la prima volta in oltre vent’anni, nel 2024 il numero dei frontalieri in Ticino è calato. Secondo i dati dell’Ufficio di statistica pubblicati oggi, infatti, alla fine dello scorso anno i permessi G erano 78.683, in diminuzione dello 0,8% rispetto al terzo trimestre ma, soprattutto, dell’1,1% rispetto alla fine del 2023. Interessante, a questo proposito, è notare che cosa è accaduto durante tutto il corso del 2024. Perché se è vero che spesso, negli anni, il quarto trimestre è stato contraddistinto da una flessione - motivata dai lavoratori stagionali - così non era per gli altri trimestri, quasi sempre in positivo. Nel 2024, invece, a registrare un aumento è stato unicamente il periodo da aprile a giugno, quando il numero dei frontalieri aveva superato la soglia dei 79.800. Prima e dopo, invece, i numeri hanno continuato a scendere.
Oltretutto, il Ticino appare in controtendenza rispetto ai numeri svizzeri, dove i frontalieri l’anno scorso sono saliti a quota 407 mila, in aumento dello 0,8% rispetto al 2023. Nel nostro cantone, invece, fatta eccezione per il settore primario, i cui addetti si mantengono stabili, si nota una diminuzione sia per il secondario che per il terziario. Il settore dell’industria, alla fine dello scorso anno, contava 24.821 lavoratori con il permesso G, in calo dello 0,1% (-37 persone) rispetto a tre mesi prima e dell’1,5% (-379 persone) rispetto al 2023. Il terziario, invece, registrava 53.144 addetti, l’1,1% in meno (-581) rispetto al periodo tra luglio e settembre e l’1% in meno (-517) rispetto alla fine del 2023.
Preoccupati per il futuro
La «storica» frenata dei permessi G potrebbe essere il frutto del nuovo accordo fiscale, entrato in vigore proprio all’inizio dello scorso anno. L’intesa sottoscritta tra Italia e Svizzera prevede infatti che i cosiddetti «nuovi frontalieri» (ossia chi è entrato nel mercato del lavoro elvetico dopo il 17 luglio 2023) paghino le imposte sia in Italia che in Svizzera, rendendo di fatto meno attrattivo il posto di lavoro in Ticino. Tuttavia, avverte il direttore dell’Associazione delle industrie ticinesi (AITI), Stefano Modenini, «è prematuro addebitare la diminuzione dei lavoratori frontalieri all’accordo fiscale». Le ragioni possono essere diverse: «Alcune ristrutturazioni aziendali che hanno portato alla riduzione dei posti di lavoro, pensionamenti non sostituiti e il fatto che parte dei frontalieri o dei potenziali frontalieri non ritiene più opportuno venire a lavorare in Svizzera per diverse ragioni, fatti due calcoli. Pensiamo solo al fatto di trascorrere magari una o due ore in auto per spostarsi da casa al posto di lavoro e viceversa». Per il tessuto economico ticinese, però, significa dover fare i conti con una possibile penuria di personale. «Le nostre preoccupazioni sono rivolte al medio e lungo termine e non alla situazione immediata», dice però Modenini. «Dei circa 16 mila frontalieri occupati nell’industria ticinese, almeno la metà ha oggi più di 50 anni. Ciò significa che entro pochi anni avremo una mancanza di personale che solo in una certa misura potrebbe essere sostituito da personale locale. Questo perché diverse nostre professioni non sono storicamente ambite pur se offrono buone prospettive, anche dal punto di vista salariale». Purtroppo, rileva il direttore di AITI, «anche a livello politico si ragiona quasi solo a breve termine, non rendendosi conto che il problema demografico, che ci investe già in pieno, è diventato il problema numero uno dell’economia ticinese». A questo proposito, dice Modenini, «le risposte non sono infinite: aumentare la quota delle donne che entrano e restano nel mercato del lavoro, trattenere qualche lavoratore che rinvia il pensionamento, offrire buone condizioni di lavoro soprattutto alle giovani generazioni interessandole con professioni interessanti e servizi per le famiglie. Naturalmente pure cercando manodopera specializzata all’estero, anche se ciò non piace a parte della politica. Del resto, se un’azienda non trova in Ticino o in Svizzera tornitori o meccanici di produzione, che cosa dovrebbe fare?». Le aziende, prosegue, faticano da anni a trovare personale specializzato. «Si vuole che la nostra economia aumenti il proprio valore aggiunto, ciò passa dall’incremento nell’utilizzo delle tecnologie e dunque dalla disponibilità ampia di personale specializzato. Mi dispiace dirlo ma non siamo in questa situazione in Ticino. Economia, lavoro e formazione devono lavorare sempre più a stretto contatto, oltretutto in uno scenario di cambiamento delle professioni a seguito dell’avvento di nuove tecnologie». Il posto di lavoro in Svizzera, comunque, secondo il direttore di AITI rimane ambito, nonostante il maggior carico fiscale per i nuovi frontalieri. «Complessivamente è ancora attrattivo, poi ognuno deve fare i propri calcoli. Se il differenziale di salario è al di sotto dei mille franchi mensili è possibile che qualcuno risponda che non ne vale più la pena. Ma è anche vero che i frontalieri sono sempre più specializzati rispetto al passato e chi ricopre posizioni professionali avanzate magari si è già trasferito ad abitare in Svizzera».
Non pesa solo la fiscalità
La flessione, come detto, riguarda anche il terziario, con una diminuzione dell’1% sia su base trimestrale che annuale. Nel dettaglio, il ramo del commercio - che contava a fine 2024 11.681 dipendenti - registra uno dei cali più marcati, quasi del 3,5% rispetto a un anno fa. Ancora peggio, ristorazione e alloggi, che hanno perso l’11% dei collaboratori frontalieri (passati dai 4.184 del 2023 ai 3.721 del 2024). Una situazione, rileva il direttore della Camera di commercio Luca Albertoni, che sarebbe però riduttivo ricollegare solo al nuovo accordo fiscale: «Ad alcune aziende sta creando problemi, ma per capire se siamo davvero di fronte a un’inversione di tendenza dobbiamo aspettare. A mio avviso, infatti, ci sono altri due fattori da considerare». Da un lato, «c’è la ripresa dell’economia lombarda, oggi più attrattiva che in passato». Dall’altro, «pesa il rallentamento della nostra economia, legato anche alle difficoltà del mercato tedesco». L’impressione, comunque, è che «rispetto al passato, i lavoratori delle regioni di confine siano meno disposti a fare i frontalieri». In questo senso, la tassazione - e quindi l’attrattività salariale - pesa, ma non è l’unica ragione: «Sempre più spesso si chiedono se valga la pena venire in Ticino e se non sia meglio, visto che le condizioni in Italia sono migliorate, restare nella Penisola». Nei prossimi anni, però, con il pensionamento dei babyboomer mancheranno effettivi. «E se dovessimo faticare ad attingere a un bacino importante come quello italiano potremmo trovarci di fronte a un problema».