Guerra in Medio Oriente

Gaza, le immagini di Hamas mettono a rischio la tregua

Dopo la liberazione, questa mattina, di otto ostaggi (3 israeliani e 5 thailandesi) Benjamin Netanyahu ha prima bloccato e poi ritardato la scarcerazione di 110 detenuti palestinesi - Dure critiche al premier dello Stato ebraico sono state rivolte dall’ex ministro Itamar Ben Gvir
Le immagini del rilascio degli ostaggi da parte di Hamas scatenano polemiche durissime in Israele. © HAITHAM IMAD
Dario Campione
30.01.2025 20:31

Sicuro di aver vinto la guerra sul campo, al punto da accettare l’accordo sullo scambio di detenuti e ostaggi a lungo rifiutato, Benjamin Netanyahu rischia ora seriamente di perdere la guerra mediatica. La liberazione di chi è rimasto quasi 500 giorni nelle mani dei miliziani sciiti di Hamas si sta trasformando in uno show senza precedenti: lo spettacolo di guerriglieri in armi, incappucciati, inafferrabili, determinati a non arrendersi e a continuare combattere.

Anche oggi, il rilascio a Khan Yunis di Agam Berger, Arbel Yehud, Gadi Moses e dei 5 cittadini thailandesi Phongsak Theinna, Banawat Saitheo, Serion Whatchara, Solasak Lamanao e Sathin Swankham, è diventata per Hamas l’occasione di mostrare la propria irriducibilità. Un’operazione di marketing bellico alquanto efficace, che ha scatenato la furia del premier israeliano. In un primo momento, infatti, Netanyahu ha addirittura disposto di ritardare e poi bloccare la contemporanea liberazione di 110 detenuti palestinesi. Se non fossero intervenuti subito alcuni mediatori internazionali a convincere il premier israeliano (il quale, alla fine, ha dato comunque via libera alle scarcerazioni), l’ordine avrebbe potuto far precipitare nuovamente la crisi.

Lo stesso Netanyahu ha però dovuto incassare le durissime critiche del suo ex ministro della Sicurezza nazionale ed esponente dell’estrema destra Itamar Ben Gvir, uscito due settimane fa dal Governo proprio per protestare contro l’intesa siglata con Hamas: «Siamo felici ed emozionati per il ritorno degli ostaggi - ha detto Ben Gvir ai media israeliani - ma le immagini orribili provenienti da Gaza sono chiare: questa non è una vittoria completa, è un fallimento totale, un accordo sconsiderato come nessun altro».

I funzionari del Governo di Tel Aviv hanno subito tentato di rintuzzare l’attacco di Ben Gvir rilasciando una comunicazione ufficiale in cui si spiega che «le parti mediatrici nell’affare degli ostaggi (Egitto e Qatar, ndr) hanno promesso di garantire in futuro un’uscita sicura dei prigionieri da Gaza» e, soprattutto, la fine delle dimostrazioni di forza dei miliziani. Ma il messaggio lanciato da Hamas in questa fase è evidente, e difficile da contraddire: nonostante la decimazione del gruppo dirigente e 15, durissimi, mesi di guerra, i combattenti sciiti esistono ancora. Politicamente, le immagini di Gaza fanno suonare vuote le parole di Netanyahu di una «vittoria totale» contro Hamas.

La tesi del massmediologo

Come agire, allora? In che modo contrastare la strategia comunicativa dei miliziani di Gaza? Ed è possibile farlo?

«Hamas comprende il potere dei media di creare uno spettacolo in grado di influenzare la narrazione dei fatti. Oggi, gli uomini di Hamas si presentano non come rapitori ma come figure autorevoli che dettano i termini della prigionia e del rilascio - ha detto in un’intervista al quotidiano israeliano Haaretz il massmediologo Tom Divon, ricercatore del dipartimento di comunicazione e giornalismo dell’Università Ebraica di Gerusalemme - la liberazione degli ostaggi è stata interpretata come una dimostrazione della forza organizzativa e del controllo di Hamas a Gaza. Molti l’hanno vista come un’affermazione di vittoria, che posiziona Hamas quale forza dominante a Gaza e principale mediatore nei negoziati sugli ostaggi. Il contrasto nella rappresentazione visiva ha anche giocato un ruolo nel sentimento dei social media, con affermazioni secondo cui gli ostaggi israeliani apparivano ben trattati rispetto ai prigionieri palestinesi in custodia israeliana, spesso ritratti come malnutriti o maltrattati, evidenziando l’asimmetria nelle condizioni di prigionia».

In Israele, aggiunge lo studioso dell’Università di Gerusalemme, tutto questo «ha suscitato indignazione, in particolare per la percepita umiliazione dei soldati, fatti sfilare come “ospiti” invece che vittime della prigionia e costretti a esibirsi nel momento del loro rilascio. Non solo: i media israeliani hanno ampiamente inquadrato la cerimonia come una guerra psicologica progettata per provocare e demoralizzare».

Mondo arabo diviso

Non tutti, però, condividono su quanto accaduto la stessa tesi. Secondo Harel Chorev, storico dei sistemi politici e direttore del Doron Halpern Middle East Network Analysis Desk del Moshe Dayan Center dell’Università di Tel Aviv, Hamas «sperava davvero che queste cerimonie potessero essere viste come una dimostrazione di forza sia dal pubblico interno sia da quello israeliano. Molti spettatori, però, compresi alcuni nel mondo arabo, non l’hanno intesa in questo modo». Riferendosi al rilascio, sabato scorso, di quattro soldate a lungo inquadrate in divisa su un palco, dietro una scrivania e con alle spalle slogan anti-israeliani, Chorev - pure intervistato da Haaretz - ha spiegato: «Con l’intera manifestazione, Hamas stava tentando di mostrare il controllo e la continuità di governo: tutti messaggi che ha cercato di trasmettere dall’inizio della guerra. Ma questa insistenza nel proiettare un’immagine di vittoria ha scatenato un dibattito ampio, lacerante: dall’inizio del conflitto, così come stimato dall’ONU, quasi 2 milioni di palestinesi sono stati sfollati all’interno della Striscia, il 66% delle strutture edilizie ha subìto danni e oltre 45 mila persone sono state uccise, moltissime delle quali civili».

Citando il sito di notizie Al-Arab (che ha sede a Londra), Chorev ha evidenziato come una parte del mondo arabo critichi le cerimonie celebrative di Hamas, giudicando i miliziani sciiti la vera causa «di una devastazione così diffusa». Lo studioso del Moshe Dayan Center ha pure fatto notare come la stessa Tv qatariota Al-Jazeera abbia più volte trasmesso di recente il video in cui si vede l’ex leader di Hamas Yahya Sinwar, nascosto sotto una coperta, fare la spola da un rifugio all’altro a Rafah prima del suo assassinio.

«Non è solo la distruzione di massa che è riuscita a invertire il significato dello spettacolo mandato in onda da Hamas - ha osservato ancora Chorev - Ciò che ha cambiato la storia è stato il momento in cui le quattro soldate prese in ostaggio mesi fa sono salite sul palco e hanno alzato le mani. Era un gesto di vittoria; non proprio il simbolo della V, ma con le mani alte e bene in vista. Nel mondo arabo, l’hanno vista come un’immagine di vittoria per queste soldate invece che per Hamas».