Israele

Gerusalemme, cosa sta succedendo?

L’attentato di questa sera, nel quartiere di Neve Yaakov (Nabi Yaqoub per gli arabi), nella parte nord di Gerusalemme est, sembra essere la risposta al raid dell’esercito che giovedì, nel campo profughi di Jenin, ha fatto nove vittime palestinesi
© KEYSTONE (EPA/ATEF SAFADI)
27.01.2023 21:30

È ripiombata nel terrore Israele dopo il grave attentato di questa sera a Gerusalemme, che ha causato almeno sette morti e una decina di feriti. Un attacco rivendicato quale risposta al raid dell’esercito israeliano che giovedì, nel campo profughi di Jenin, aveva fatto nove vittime palestinesi tornando a infiammare la regione.

Intorno alle 20.15 (ora locale), un uomo armato ha fatto fuoco contro un gruppo di persone che usciva da una sinagoga nel quartiere di Neve Yaakov (Nabi Yaqoub per gli arabi), nella parte Nord di Gerusalemme Est. Secondo le prime ricostruzioni, l’attentatore sarebbe poi stato ucciso dagli agenti intervenuti, mentre sono ancora in corso le ricerche di un suo complice. Neve Yaakoov è un insediamento di ebrei ortodossi circondato da quartieri arabi come Beit Hanina e Shuhafat. Nei pressi dell’insediamento c’è il check point di Hizma, e non molto lontano si trova il punto di accesso più grande e trafficato, Qalandia.

Alla diffusione della notizia dell’attentato a Gerusalemme, in diverse città arabe in Israele e in molte città palestinesi, inclusa Jenin, sono stati registrati colpi di arma da fuoco esplosi in aria e fuochi di artificio per festeggiare l’accaduto. La Jihad islamica ha definito l’attacco «un’operazione eroica», mentre Hamas ha affermato che si è trattato di una «vendetta per i morti di Jenin». Sul fronte opposto, invece, nel rione ortodosso si sono registrate scene di collera da parte dei cittadini israeliani: «Morte agli arabi! Morte ai terroristi», hanno scandito i dimostranti, gridando in direzione di Ben Gvir, leader del partito di estrema destra Otzmà Yehudit (Potenza ebraica). «Ora la responsabilità ricade su di te», hanno aggiunto. A cui Ben Gvir ha replicato: «Avete proprio ragione. Il Governo deve reagire».

Una risposta attesa

Ci si aspettava una risposta da parte dei terroristi palestinesi dopo i fatti di Jenin. Tra giovedì sera tardi e l’alba di venerdì, alcuni razzi sono stati lanciati da Gaza verso il sud di Israele e l’aviazione israeliana ha colpito alcuni siti di Gaza dove, secondo fonti dell’esercito, c’erano basi terroristiche e depositi di armi. I lanci sono stati rivendicati nel pomeriggio dalla Jihad Islamica Palestinese, il gruppo a cui afferivano gli uomini obiettivo del raid di giovedì a Jenin. Raid nel quale, oltre ai e fratelli Mohammad Ahmad e Nureddin Ghneim, sono caduti altri cinque palestinesi che hanno preso parte al conflitto a fuoco seguito al raid, e una donna di sessantuno anni, uccisa da un proiettile in casa sua e sulla cui morte l’esercito israeliano ha annunciato una inchiesta. Una decima vittima si è registrata in scontri tra l’esercito e i manifestanti nel tardo pomeriggio di giovedì ad Al-Ram, a nord di Gerusalemme, non lontano dal luogo dell’attentato.

Una «giornata tranquilla»

La giornata era sfilata abbastanza tranquilla. La consueta preghiera del venerdì sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme si è svolta senza intoppi, nonostante la grossa affluenza di fedeli e più volte si sia urlato «Nello spirito e nel sangue, ti sacrificheremo. Viva Jenin, viva Gaza», sotto lo sguardo di una massiccia presenza di polizia. Manifestazioni e violenze, con cinquanta feriti, si sono tenute a Nablus, l’altra spina nel fianco, come Jenin, dell’esercito israeliano, dove i militari spesso intervengono in azioni preventive e repressive come quella di giovedì.

Che cosa è successo giovedì

L’azione dell’esercito nel campo profughi di Jenin, secondo quanto riferiscono fonti governative, sarebbe nata per bloccare una cellula terroristica della Jihad Islamica palestinese responsabile di attentati, che ne stava preparando altri. I militari hanno agito come in un film, come in una delle scene di Fauda, la serie televisiva sul conflitto israelo-palestinese blockbuster mondiale, della quale è appena uscita la quarta serie, e nella quale un gruppo di mistaravim, i membri delle unità speciali israeliane che operano sotto copertura nelle città arabe, sono impegnati in operazioni nei Territori Palestinesi.

In un video diffuso su internet, si vedono i militari armati di tutto punto, scendere, nei pressi della casa dei fratelli Ghneim, da un furgone che di solito trasporta il latte. Il furgone parcheggia nella calma più totale, tanto che pochi secondi dopo passa lì davanti una bambina per andare a scuola. Poco dopo, spari e una esplosione annunciano il raid.

Una «fucina del terrorismo»

Non era la prima volta che il campo veniva visitato dai militari israeliani. Secondo l’Onu, sono 14mila gli abitanti del campo profughi, che oramai è un vero e proprio quartiere della città settentrionale cisgiordana. È il campo con il tasso di disoccupazione e povertà più alto di tutti e 19 gestiti dalla speciale agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, cosa che ha aumentato il malcontento e ha arricchito di giovani le fila dei gruppi estremisti .

Anche durante la seconda intifada, nel 2002, il campo è stato al centro di feroci scontri e di occupazione da parte dell’esercito israeliano. Il campo profughi e la città di Jenin, come quella di Nablus, sono considerate dall’esercito israeliano le fucine del terrorismo palestinese nei territori, soprattutto dal 2021. Da qui sarebbero partiti gli attentatori che tra marzo e maggio del 2021 fecero in Israele 19 vittime civili. Qui insisterebbero gruppi come la Brigata Jenin, le Brigate Balata, la Brigata Nablus, la Brigata Yabad, la Fossa dei Leoni e la Jihad Islamica Palestinese. Raid che hanno portato nel 2021 all’uccisione di 171 palestinesi, inclusi 30 minorenni, in Cisgiordania, nel più grave bilancio, secondo l’Onu, dal 2006, con oltre 2000 arresti e 9000 feriti. Dall’inizio di quest’anno, sono trenta le vittime, più di una al giorno.

A seguito del raid di giovedì, le reazioni politiche non si erano fatte attendere. L’Autorità Nazionale Palestinese, che ha proclamato tre giorni di lutto, ha deciso di interrompere il coordinamento di sicurezza con Israele. Una mossa, già fatta diverse volte in passato, ma che non è mai stata seguita veramente da fatti. Condanne a quello che la stampa palestinese definisce «il massacro di Jenin» sono arrivate da diversi paesi stranieri. Ad Amman, in Giordania ci sono state delle manifestazioni di protesta. Francia, Cina e gli Emirati, alleato di Israele dopo la firma degli accordi di Abramo ma anche presidente di turno della Lega Araba, hanno chiesto una riunione urgente sull’accaduto al consiglio di sicurezza dell’ONU. «Sono estremamente allarmata dalla notizia della rinnovata violenza letale a Jenin – ha scritto su Twitter Francesca Albanese, relatrice Onu per i diritti umani nei Territori occupati –. Mentre i fatti e le circostanze devono essere accertati, ricordo l’obbligo della potenza occupante di garantire che le persone civili siano sempre protette da ogni forma di violenza». Barbara Leaf, funzionaria del Dipartimento di Stato Usa per il Medio Oriente, ha definito le uccisioni di civili a Jenin «deplorevoli». Ha poi aggiunto che Washington sta «raccogliendo ulteriori informazioni sul raid». Tor Wennesland, il coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, ha dichiarato su Twitter di essere «profondamente allarmato» e «rattristato» dalla violenza e di essere impegnato con le autorità israeliane e palestinesi per «allentare le tensioni, riportare la calma e evitare ulteriori conflitti». Intanto si è saputo che in Israele era in visita il capo della Cia William Burns, che ha incontrato Netanyahu e il capo del Mossad David Barnea. E da domani a martedì sarà in visita in queste zone, anche il segretario di stato americano Antony Blinken.

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