Giovanissimi e internet: insidie sempre più nascoste
In un’epoca sempre più social, TikTok e Instagram fanno sempre più parte della vita quotidiana dei giovanissimi. Ma queste piattaforme nascondono anche molte insidie e i ragazzi, spesso, non si rendono conto della pericolosità del mondo dei social media. Come fare, dunque, per sensibilizzarli? In questo senso si sono mosse l’ASPI, la Fondazione della Svizzera italiana per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia, e il gigante della telefonia Swisscom, i quali hanno unito le proprie forze in un partenariato che ha compiuto dieci anni e che è stato al centro di una conferenza stampa a Lugano.
Gian Michele Zeolla, direttore dell’ASPI, è molto felice di questa unione: «Swisscom ha dimostrato sensibilità e attenzione a questo tema. Siamo riusciti a congiungere le forze per ottenere un risultato migliore», afferma.
«In dieci anni con Swisscom abbiamo coinvolto 840 classi di scuola media e 220 classi di scuola elementare». Si collabora insieme a diverse entità, ha spiegato Zeolla: con il Cantone, con organizzazioni e con associazioni. «Il lavoro con il Cantone è fondamentale. Quasi il 90% del nostro operato avviene nell’ambito scolastico: elementari e medie». ASPI interviene nella prevenzione primaria, ovvero prima che siano riscontrati abusi. Anche online.
Tempi che si allungano
«In questi ultimi anni c’è stata una rapidissima evoluzione delle tecnologie e parallelamente l’età del primo accesso online o social si è abbassata», spiega Lara Zgraggen, pedagogista e responsabile del progetto “Prevenzione all’uso della tecnologia nei giovani”. «Se prima lavoravamo con ragazzi di 13 anni, adesso interveniamo già in quarta elementare». Quello che notiamo è una presenza sempre più massiccia di bambini e ragazzi che hanno già un account su TikTok o un profilo su Instagram». Facebook, invece, ha perso totalmente di attrattività tra i giovanissimi: «Tendono a migrare verso piattaforme in cui l’adulto è meno presente».
Un altro tema importante toccato da Zgraggen riguarda l’abuso del tempo che i ragazzi trascorrono online. «Loro stessi dichiarano di fare fatica a gestirlo», spiega. «Molti hanno regole definite dai genitori, ma altri si trovano persi in questo mondo. Non riescono ad autoregolarsi». A volte è difficile per un adulto, immaginiamo per un bambino, dice Zgraggen. «Con tutte le conseguenze che ne derivano, come situazioni di disagio e di aggressività. Ma anche calo del rendimento o abbandono scolastico».


Come si lavora sul campo
Il lavoro è congiunto: Zgraggen si reca nelle scuole in compagnia di Jerôme Antonini, tecnico Swisscom che collabora ai progetti ASPI. «Facciamo prevenzione a livello di comportamento ma è importante anche essere informati su leggi e funzionamento della tecnologia. Lavorare con i tecnici porta un valore aggiunto». Di più: è efficace. «Questa figura professionale fa presa sui ragazzi ed è guardata con molto interesse». L’obiettivo non è demonizzare internet che offre anche creatività e divertimento. «Non è una critica alla tecnologia o ai social. Non diciamo “non usare”, ma spieghiamo “come usare”».
Si parte dalle risorse e dalle competenze dei ragazzi con un’interazione ludica e interattiva. Alle Medie il progetto è un percorso costruito sul modello di una escape room. «È una sfida, un mettersi in gioco per raggiungere un obiettivo. Le attività sono declinate sulle tematiche che portiamo in classe. È un approccio molto più efficace: i ragazzi apprendono e ricordano meglio i concetti facendo un percorso dove vivono esperienze e si emozionano».
Antonini ha cominciato a 18 anni, si sentiva anche più vicino ai ragazzi delle medie, parlava lo stesso linguaggio. «È una sorta di collegamento tra i due mondi. Spesso i giovani sono convinti di sapere già tutto, si credono un passo avanti. Ma non è così e i rischi ci sono», afferma Antonini. «Ai ragazzi faccio sempre un esempio – spiega –. Prima di pubblicare una foto immaginatevi di andare in giro per strada con l’immagine formato cartellone gigante sopra la testa. Oppure, più imbarazzante ancora, fate vedere la foto alla nonna. È un modo per pensare. Anche perché le foto sui social restano e i ragazzi non si rendono conto che, tra qualche anno, dovranno cercare un impiego e i datori di lavoro le vedranno».
