Giro di boa per l’industria dell’auto? «Il caso Mubea va colto fino in fondo»

E se la Mubea non fosse un caso isolato? L’azienda con sede a Bedano, attiva da oltre 50 anni nella produzione di molle per valvole destinate all’industria automobilistica, ieri ha comunicato «la possibile chiusura del sito produttivo». Due, essenzialmente, le cause indicate dai vertici in una nota stampa diffusa ai media. Da un lato, l’espansione del mercato delle auto elettriche ha ridotto la domanda di veicoli con motore a combustione, segmento su cui era focalizzata la Mubea. Dall’altro, il rafforzamento del franco svizzero ha reso i prodotti Swiss made più costosi all’estero, aggravando ulteriormente la situazione. Due fattori che, in realtà, non hanno colpito esclusivamente l’azienda di Bedano. Di qui, appunto, la domanda iniziale: e se la Mubea non fosse un caso isolato?
«Nomi certamente non ne faccio, ma è evidente che ci sono anche altre aziende in difficoltà», commenta al CdT il direttore di AITI Stefano Modenini: «Molto dipende dal tipo di componente prodotto e dalla possibilità di riconvertire, almeno in parte, la produzione». Il settore sta attraversando un momento difficile, conferma dal canto suo Stephan Brupbacher, direttore di Swissmem, l’organizzazione mantello dell’industria metalmeccanica svizzera: «In Europa, e in particolare in Germania, l’industria automobilistica ha commesso gravi errori: prima con il Dieselgate (lo scandalo delle emissioni falsificate, ndr), poi con la scelta di investire completamente sulle auto elettriche nonostante il ritardo accumulato rispetto alla Cina». Scelte strategiche che inevitabilmente si stanno ripercuotendo anche sul comparto svizzero, che impiega circa 30 mila dipendenti ed esporta, ogni anno, prodotti per 10 miliardi di franchi. Soluzioni pronte per l’uso non esistono, spiega Brupbacher. «Per restare competitive nel settore, le aziende devono innovare, sviluppando nuove tecnologie che facilitino la transizione verso il mercato delle auto elettriche». In alternativa, occorre esplorare mercati paralleli come quello aeronautico o della tecnologia medica. «Per quanto la Svizzera abbia mostrato esempi virtuosi, questa fase di transizione resta molto complicata. In una certa misura riproduce la profonda crisi vissuta in Svizzera dai fornitori dell’industria orologiera negli anni Ottanta». Dello stesso parere Modenini, il quale evidenzia come la decisione europea di abbandonare il motore termico stia creando opportunità ma anche numerosi problemi: «Non dimentichiamo che attorno ai produttori di automobili esiste un’importante filiera internazionale, di cui fa parte anche Mubea, che in parte è sicuramente penalizzata dalla decisione di Bruxelles».
Insomma, il caso ticinese solleva una serie di quesiti e sfide a cui l’industria è chiamata a rispondere, oltre a rappresentare un punto di approdo concreto di una duplice tendenza, congiunturale e di cambiamento di società. Una domanda di fondo, però, rimane: c’è ancora spazio, in Ticino e in Svizzera, per un’azienda che produce molle per valvole? «Molti probabilmente non si rendono conto che il contesto economico generale, soprattutto per chi esporta, è peggiorato negli anni», avverte Modenini. «Fare impresa è sicuramente più complesso e difficile di cinque anni fa. Inoltre, esiste un limite al di là del quale l’innovazione non è più sufficiente a giustificare il mantenimento in loco della produzione. Sicuramente anche da noi questa soglia si è avvicinata negli anni». Una conclusione che non fa sconti a nessuno, su cui pesa anche la forza del franco, il secondo fattore di crisi evidenziato dal caso Mubea.
BNS e politica
Rispetto a inizio mese, quando l’euro ha toccato il minimo storico di 0,92 franchi, la situazione è leggermente migliorata, osserva Brupbacher. Ieri mattina la moneta unica veniva scambiata con 0,95 franchi. «La tensione resta comunque alta, soprattutto in vista dell’intervento della FED che a breve dovrebbe tagliare il costo del dollaro». Più in generale, avverte il direttore di Swissmem, il contesto geopolitico incerto contribuisce al rafforzamento del franco come bene rifugio. «A queste condizioni, esportare il prodotto svizzero diventa più complicato». Il franco forte zavorra lo Swissmade, riducendo la competitività dei prodotti svizzeri sul mercato globale. Ma il franco forte non è l’unico fattore di crisi, aggiunge Brupbacher: «Il settore sta facendo i conti anche con un rallentamento congiunturale nei mercati di riferimento, soprattutto in Germania». In questo contesto di incertezza ciò che occorre evitare sono i repentini apprezzamenti del franco come accaduto negli ultimi mesi: «Non è tanto il franco forte in sé che fa male alle aziende, quanto i cambiamenti improvvisi. Alla Banca nazionale chiediamo quindi di difendere il settore dagli shock monetari come quello che abbiamo vissuto due settimane fa». Negli ultimi 9 anni, il franco svizzero ha subito un apprezzamento del 7%, ma l’industria ha retto il colpo, spiega ancora il direttore di Swissmem. «Negli ultimi 20 anni, il numero di posti di lavoro è infatti aumentato da 320 a 330 mila unità, migliorando al contempo l’efficacia e la produttività per ogni dipendente». Insomma, il peso del franco forte, secondo Brupbacher, deve e può essere controbilanciato, sia grazie all’intervento della BNS, sia grazie a una politica in grado di garantire condizioni quadro ottimali: «Non chiediamo sovvenzioni mirate per un determinato settore, come invece ha fatto l’Europa o gli Stati Uniti, ma migliori condizioni quadro per tutti». Quindi: «Nessun Chips Act o Inflation Reduction Act, ma un mercato di lavoro flessibile e un accesso al mercato estero attraverso accordi bilaterali». Una strategia che fino ad oggi ha garantito stabilità e su cui occorre ancora puntare, dice Brupbacher. «A livello svizzero, il mercato del lavoro non registra grandi scossoni. Le aziende sono fortemente sotto pressione, ma l’occupazione al momento regge.Verosimilmente, anche in futuro, il nostro tessuto economico dovrà imparare a convivere con il franco forte. Per questo motivo, le condizioni quadro diventano estremamente importanti». Una conclusione inderogabile a cui giunge anche Modenini: «Condizioni quadro che guardano al futuro e capacità di individuare nicchie di mercato ad alto valore aggiunto sono gli strumenti che la nostra industria deve continuare a perseguire per garantire crescita e posti di lavori. I casi d’allarme come quello della Mubea vanno colti fino in fondo».