Grazie al maiale è più sicuro volare
Chissà, forse la notizia è arrivata anche a Chesley Sullenberger. O al primo ufficiale di allora, Jeffrey Skiles. Sono passati quasi tredici anni da quel 15 gennaio 2009 e dal volo US Airways 1549. Il decollo dall’aeroporto di New York LaGuardia, l’impatto con uno stormo di oche canadesi, la perdita di entrambi i motori e l’incredibile ammaraggio di emergenza nel fiume Hudson. Un miracolo, già. O, se preferite, una grande storia americana. Portata sul grande schermo da Clint Eastwood qualche anno più tardi (Sully).
Aerei e uccelli, nel frattempo, continuano a litigare. Logico: occupano lo stesso spazio. Il cosiddetto bird strike, insomma, è una preoccupazione costante. Tanto per i protagonisti del cielo quanto sul fronte di animalisti e ambientalisti. Fra il 1990 e il 2019, secondo le statistiche della Federal Aviation Administration statunitense, ci sono stati qualcosa come 227.005 episodi nella sola America. Nel 2019, l’ultimo anno normale prima che la pandemia prendesse il sopravvento, in 753 aeroporti a stelle e strisce si sono verificati 17.228 impatti con volatili. Ahia. Le stime dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile suggeriscono che, a livello globale, nell’11% dei casi l’aeromobile subisce danni importanti. Le zone più sensibili sono il parabrezza e, ovviamente, i motori. A maggior ragione se uno o più volatili finiscono nelle prese d’aria. Il rischio di incendio o arresto, a quel punto, è elevato.
Una possibile soluzione al fenomeno del bird strike, oltre al monitoraggio umano della fauna aviaria e alle tecnologie già in uso, fra cui laser e onde sonore, arriva dai Paesi Bassi e più precisamente dall’aeroporto di Amsterdam Schiphol. Uno degli scali più trafficati al mondo, crocevia di aerei, merci e persone. Uno scalo divenuto, nelle ultime settimane, la casa di un altro animale: il maiale. Venti suini sono stati scelti e arruolati per un progetto pilota. Piazzati strategicamente fra due piste, su un terreno di due ettari pieno zeppo di scarti di barbabietole da zucchero, hanno trasformato la zona in un paradiso fangoso. Allontanando, di riflesso, stormi di oche e altri uccelli che amano particolarmente la barbabietola. Mica male. Tant’è che i responsabili dell’aeroporto e i promotori dell’iniziativa, ora, stanno valutando l’ipotesi di proseguire e allargare il progetto.
Soluzioni innovative
Nel 2018-19, da un novembre all’altro, Schiphol ha messo a referto 565 casi di bird strike. La pandemia e le conseguenti limitazioni ai viaggi hanno abbassato, e di molto, il dato. Il problema, tuttavia, permane. A maggior ragione considerando la collocazione di questo aeroporto. Lo scalo di Amsterdam, infatti, è stato costruito su un polder. La parola, citiamo Wikipedia, indica «un tratto di mare asciugato artificialmente attraverso dighe». Tradotto: acqua, prati e terreni agricoli sono elementi dominanti. E fanno sì che l’aeroporto e i suoi dintorni siano un’oasi prediletta per molte specie. «Ma gli uccelli – chiarisce Willemeike Koster, portavoce della società che gestisce Schiphol – rappresentano un rischio per gli aerei. Nel 2020 abbiamo sperimentato 6,9 impatti con volatili su 10 mila movimenti. Nel 2019 questo dato era superiore: 8,2. Per fortuna nessuno di questi episodi ha causato incidenti gravi».
Amsterdam, prosegue la nostra interlocutrice, prende molto sul serio la questione. «Venti controllori tengono traccia giorno e notte dell’attività aviaria in aeroporto. Lavorano lungo tutto il perimetro dello scalo e utilizzano varie tecnologie, dai suoni speciali ai raggi laser. Abbiamo perfino implementato nuovi tipi di erba per i prati. Tutte misure che, speriamo, possano tenere lontano questi animali dalle piste. Siamo costantemente aperti alle innovazioni, ecco perché ci siamo lanciati in un progetto pilota con i maiali».
L’idea, chiosa Koster, è nata durante un brainstorming con il governo. Non a caso al progetto, partito a settembre, collabora il Ministero delle infrastrutture e della gestione delle acque. I maiali sono stati strategicamente piazzati fra le piste 18R-36L e 18C-36C. Hanno fatto il loro, mangiando i residui del raccolto di barbabietole e, come detto, trasformando il terreno in un paradiso fangoso. «Tutti i dati raccolti dal radar per uccelli e dalle osservazioni visive verranno analizzati nei prossimi mesi. E verrà altresì esaminato l’utilizzo di questi animali su larga scala. Lo faremo in collaborazione con le parti coinvolte. Sulla base di queste conclusioni, prenderemo una decisione definitiva all’inizio del 2022».
Ma i maiali come stanno?
Tutto molto bello. Ma ai maiali, chi ci pensa? Ovvero, uno spazio fra due piste in aeroporto non è esattamente il loro habitat. Per tacere del rumore, continuo, cui sono sottoposti. Herman Vermeer, ricercatore presso l’Università di Wageningen, ha a che fare quotidianamente proprio con il benessere dei suini. Il quadro che dipinge, a grandi linee, è positivo. «Questi maiali stanno comunque all’aperto, hanno grandi appezzamenti di terreno a disposizione e mangiano residui di cibo che, altrimenti, rimarrebbero lì a marcire o, appunto, attirerebbero gli uccelli» afferma. «Anche io sono molto curioso di conoscere i risultati del progetto pilota».
Viene da chiedersi, tuttavia, se una dieta a base di sole barbabietole sia salutare per i maiali. «A questi maiali è stato dato anche del cibo supplementare» spiega Vermeer. «In un allevamento, diciamo così, normale un suino mangia fra i due e i tre chili di mangime al giorno. Parliamo di sostanza secca. Detto ciò, i maiali hanno bisogno di proteine, grassi e altri nutrienti. E le barbabietole principalmente contengono carboidrati».
Di sicuro, il ruolo del maiale esce nobilitato. Da fonte di cibo per l’uomo ad aiuto, concreto, per la società. Un alleato che, alla lunga e al netto delle correnti vegane, vegetariane e ambientaliste, potrebbe rivoluzionare l’industria alimentare. «La quantità di proteine animali in una dieta occidentale è insostenibile» prosegue il ricercatore. «Non potremmo nutrire il mondo intero sulla base di come mangiamo in occidente, per dire. Un primo passo potrebbe arrivare proprio dalla riduzione del consumo di carne in Europa e Nordamerica. Ma sarebbe importante altresì che il nostro sistema utilizzasse al meglio le risorse. La ricerca, infatti, dimostra che soltanto un terzo del cibo prodotto finisce effettivamente nei nostri piatti. Abbiamo bisogno di un’agricoltura più circolare e i maiali, beh, sono ottimi elementi per migliorare i flussi residuali e i rifiuti della produzione alimentare».
Tornando a Schiphol, a Vermeer chiediamo del rumore prodotto dagli aerei. Non è un elemento di forte disturbo? I maiali amano la tranquillità e il silenzio. Anche per poter comunicare meglio fra loro. «È così. In una situazione del genere, sulle prime i maiali hanno sicuramente subito uno shock. Ma parliamo di animali flessibili. E opportunisti. Una volta individuato e conosciuto il rumore, in questo caso quello degli aeroplani, è plausibile che i maiali si siano comportati normalmente. Vale lo stesso, in fondo, per le persone che vivono nei pressi di una stazione ferroviaria o di uno scalo aereo. L’infelicità o il fastidio, ad ogni modo, sono facilmente individuabili tramite i movimenti della coda. Proprio come nei cani». E la coda dei suini, giurano i promotori del progetto, durante questi mesi è rimasta sempre su. Segno che, fra un volo e l’altro, se la sono spassata.