Il fatto

Groenlandia: sotto i ghiacci il destino dell’umanità

Fra immensi giacimenti di materie prime e terre rare, il braccio di ferro fra Stati Uniti e Cina per il Grande Nord è cominciato
Il Grande Nord. (Foto Keystone)
Giona Carcano
Erica Lanzi
28.08.2019 06:00

La vera partita la si sta giocando al Nord. Dimenticatevi per un attimo del Mediterraneo, dei problemi legati ai migranti e a Paesi come Libia e Tunisia. Lassù, fra i ghiacci, ci sono ricchezze sterminate. Terre rare, vie commerciali potenzialmente molto redditizie, posizioni estremamente interessanti dal profilo militare e strategico. Sì, la Groenlandia (che politicamente costituisce una nazione del Regno di Danimarca) fa gola a tutti, in particolare a chi può permetterselo: Stati Uniti, Russia, Cina. Le superpotenze. Non a caso, con un’uscita pasticciata e goffa, Donald Trump a metà agosto si è rivolto alla Danimarca dicendo una cosa del tipo «vogliamo comprare la Groenlandia». Risposta: picche. Già. Ma cosa si cela, davvero, sotto i ghiacci del Polo Nord? Lo abbiamo chiesto al giornalista Marzio G. Mian, uno dei fondatori della società no profit The Artic Times Project e autore del libro «Artico. La battaglia per il Grande Nord».

Inizialmente è il Wall Street Journal a dare corpo all’indiscrezione: «Trump vuole comprare la Groenlandia». Una notizia di per sé bislacca e in quel momento priva di fonti ufficiali, che però fa il giro del mondo. Ma di lì a poco, ecco che l’apparente follia giornalistica assume i contorni della cosa seria. Molto seria: è lo stesso presidente degli Stati Uniti a confermare il tutto il 18 agosto, in un’intervista alla CBS. «Certo che sarei interessato, ne dobbiamo parlare un po’. Sarebbe un grande affare immobiliare. Ci si possono fare molte cose. La Danimarca sta perdendo quasi 700 milioni di dollari all’anno per sostenere la Groenlandia. Strategicamente per gli Stati Uniti sarebbe molto bello». Parole ufficiali, vaghe ma allo stesso tempo pesanti.

La politica espansionistica

«Quelle di Trump non sono assolutamente dichiarazioni casuali» spiega Mian. «Del resto si sapeva che la visita di Trump in Danimarca, poi annullata proprio in risposta al ‘‘no’’ danese alla vendita della Groenlandia, fosse legata agli interessi strategici e commerciali statunitensi nell’Artico. In fondo Washington ha sempre fatto delle acquisizioni territoriali un punto centrale della sua politica espansionistica, dunque le frasi di Trump seguono quel filone: pensiamo all’acquisto della Louisiana agli inizi dell’Ottocento, oppure all’avanzata verso Ovest, o ancora alla clamorosa vendita da parte degli Zar dell’Alaska (vedi box a fianco, ndr), una vera e propria estorsione. La corsa al Polo Nord non nasce certo oggi: a suo tempo, il Segretario di stato William H. Seward (colui che si occupò dell’Alaska, ndr) incaricò un ingegnere, tale Pierce, di fare una relazione in merito alla possibilità di mettere le mani anche su Groenlandia e Islanda. E stiamo parlando di quasi due secoli fa. Poi non se ne fece nulla, eppure l’appetito americano rispetto al Grande Nord è sempre stato presente». E un ulteriore esempio arriva dal secondo Dopoguerra, con Truman. «Il presidente riuscì a firmare un affare con la Danimarca, Paese che stava pagando un eccesso di collaborazionismo nei confronti del nazismo. Gli Stati Uniti aiutarono il governo danese ad entrare nella NATO, a costo però di fare delle concessioni nell’Artico (basi scientifiche e militari)». Ecco quindi spiegata l’ingerenza a stelle e strisce nella Danimarca, così come il recentissimo annullamento della visita di Trump a Copenaghen: alleati, sì, ma con pesi specifici molto diversi.

«Il nuovo Artico» e la Cina

La Groenlandia è tornata prepotentemente a interessare le superpotenze, in quello che Marzio Mian definisce «il nuovo Artico». «Il Polo Nord sta diventando centrale per la strategia militare ed economica dei grandi attori internazionali» spiega. «È l’obiettivo primario della Cina, ad esempio. Per varie ragioni: per le rotte commerciali, come la cosiddetta Via Transpolare. Poi ci sono le enormi risorse di terre rare. Nel sud dell’isola c’è il grande bacino minerario di Kvanefjeld, probabilmente il più grande giacimento di terre rare e uranio al mondo. La società che gestisce l’area è australiana ma i capitali sono cinesi. Verrà aperta a breve, un processo che sembra inarrestabile. E pericoloso, perché rischia di trasformarsi in un colossale danno ecologico. Più a nord, poi, a 150 chilometri dal Polo, c’è una miniera di zinco anch’essa gigantesca dove già ci lavorano dei cinesi». Ma c’è un altro ramo dell’economia sul quale Pechino ha messo gli occhi: il turismo. «Non a caso il business degli aeroporti sta letteralmente per decollare» commenta a tal proposito il nostro interlocutore. «La Groenlandia, nonostante la tragica esperienza dell’Islanda trasformatasi nella Venezia del nord, sarà la prossima frontiera del turismo di massa. Quando l’uomo può andare in un posto, ci va. Finora l’isola non è stata ancora sfruttata perché mancano le strutture ricettive. Ora, in ballo c’è la costruzione di tre aeroporti. Il concorso è stato vinto – ancora una volta – da società cinesi, ma di mezzo sono piombati gli Stati Uniti. Washington ha fatto la voce grossa con la Danimarca per una questione di sicurezza nazionale, bloccando tutto. In definitiva direi che ci sono tutti gli elementi per definire l’approccio della Cina in Groenlandia come muscolare. Mentre l’Occidente è sempre riguardoso nei confronti di Pechino – pensiamo al Tibet –, i cinesi hanno un atteggiamento molto spesso padronale. E trattano direttamente con gli Inuit, la popolazione locale.

L’emancipazione

La Groenlandia, come detto, appartiene alla Danimarca. Ma gli Inuit vogliono farsi gli affari loro, emanciparsi. «Anche perché il dominio danese nell’Artico è stato molto duro per la popolazione locale, tanto che parlare di ‘‘apartheid’’ non è affatto sbagliato» racconta Marzio Mian. «Gli Inuit vorrebbero emanciparsi da quei 500 milioni di euro che Copenaghen versa ogni anno all’isola per mantenere un minimo di stato sociale. Ecco che allora le risorse nel sottosuolo artico diventano un biglietto per la libertà. La Cina ha ottimi rapporti con la Groenlandia, così come gli Stati Uniti. La Russia? Ha un vantaggio: rispetto agli americani dispone di molte navi rompighiaccio, l’unità di misura della potenza artica. Anche se attualmente gli interessi di Mosca sono rivolti al Mare di Barents e alle sue vaste risorse energetiche».

La Danimarca è in difficoltà

Il rischio di secessione da parte degli Inuit esiste. E la Danimarca è in seria difficoltà. «Il Paese scandinavo non è certo una potenza mondiale» spiega Mian. «Ma improvvisamente si trova ad avere il 98 percento del suo territorio conteso sia dall’interno, sia dai grandi attori internazionali. Qualcosa di enorme, perché il Polo Nord è nel destino dell’intera umanità. Soprattutto alla luce delle grandi ricchezze in termini di materie prime in un contesto di sovraffollamento del pianeta. In tutto questo intricatissimo puzzle, l’Europa sembra aver perso il treno. L’unico suo possibile cavallo di Troia è la Danimarca, eppure i giochi sembrano oramai fatti. L’Unione europea in questo momento conta come il due di picche e non può entrare in linea di conto nella battaglia per il Grande Nord».

Utilizzi e controindicazioni delle terre rare

Non solo affari immobiliari. La Groenlandia, che è la più grande isola del mondo pur contando neppure 60.000 abitanti, è ricca di risorse naturali come carbone, petrolio, rame, ferro e zinco. E di terre rare, che negli ultimi mesi sono tornate spesso sotto i riflettori internazionali per la loro importanza strategica nella guerra commerciali tra Cina e Stati Uniti. Come spiegano gli esperti, le terre rare sono un gruppo di 17 elementi sulla tavola periodica di Mendeleev, tra cui lo scandio, l’ittrio, il neodimio, l’erbio e l’olmio. Il nome deriva dal fatto che i minerali da cui vennero estratti la prima volta in una miniera svedese erano ossidi non comuni. Tuttavia alcuni di questi elementi sono tra i più abbondanti sulla Terra. Si trovano però in basse concentrazioni, per cui richiedono estrazioni difficili e processi di raffinazione alquanto costosi e con forti impatti ambientali.

Grazie alle loro particolari caratteristiche magnetiche, elettrochimiche e catalitiche, le terre rare hanno trovato un forte utilizzo nelle tecnologie moderne. Ad esempio il lantanio viene impiegato nelle batterie per veicoli elettrici ed ibridi. Ci sono numerose applicazioni nella costruzione di turbine eoliche, computer, smartphone, tecnologie a microonde, che sempre più impiegano materiali non ferrosi. Le terre rare vengono utilizzate anche per catalizzatori di combustione e componenti elettronici. L’europio ad esempio ha delle luminescenze rosse utilizzate negli schermi televisivi. Il neodimio viene utilizzato per creare micro-magneti. Hanno un ruolo fondamentale anche nello sviluppo dell’industria militare e della difesa, ad esempio per l’assemblaggio di sistemi di guida missilistici, jet e satelliti.

Dagli anni ’60 fino agli anni ’90 la maggior parte delle terre rare era prodotta in California. Piano piano, a causa di una serie di norme antinquinamento, le estrazioni si sono spostate sempre di più verso est. Il processo di raffinazione infatti richiede che le terre rare vengano disciolte in acidi a più stadi generando scorie e fumi altamente nocivi per l’ambiente e per la popolazione. L’assenza in Cina di politiche ambientali rigide ha portato il Dragone già negli anni ’90 a detenere oltre il 90% della produzione globale. Oggi, secondo lo United States Geological Survey, la Cina possiede circa un terzo delle riserve mondiali (44 milioni di tonnellate) e fornisce agli Stati Uniti l’80% del loro fabbisogno. Nel frattempo importanti depositi e lavorazioni di terre rare si sono sviluppati anche altrove: il Vietnam e il Brasile detengono ciascuno riserve per 22 milioni di tonnellate. L’industria dell’estrazione di terre rare si è sviluppata anche in Australia, Giappone, Russia, Malesia e Africa. Guardando a nord, si stima che la Groenlandia da sola contenga 38,5 milioni di tonnellate di ossidi di terre rare. Una trentina di anni fa (nel 1988) il Governo ne aveva vietato l’estrazione proprio per perseguire una politica a tolleranza zero nei confronti dei minerali radioattivi. Tuttavia, nel 2013 il divieto era stato annullato dal parlamento di Nuuk (la capitale) nel tentativo di rilanciare l’economia del Paese. Infatti, secondo la società australiana Greenland Minerals and Energy, grazie allo scioglimento dei ghiacciai, nella parte meridionale della Groenlandia ci potrebbe essere un potenziale di estrazione di terre rare capace di soddisfare un quarto della domanda mondiale per i prossimi 50 anni.

Tuttavia, nonostante la loro importanza strategica, bisognerà ancora vedere se le terre rare saranno un asso decisivo negli equilibri tra USA e Cina. Da una parte infatti la Cina vanta la più avanzata tecnologia di lavorazione così come la più grande capacità di raffinazione al mondo di terre rare. Dall’altra già nel 2010 Pechino aveva tentato di utilizzare la carta delle terre rare come arma di ricatto in una controversia con il Giappone. L’esperimento, che aveva fatto schizzare alle stelle il prezzo degli elementi (+850%) era però fallito, mettendo al contempo in allarme la Casa Bianca che da allora ha creato un dossier per monitorare le implicazioni del monopolio cinese e di possibili ulteriori ricatti sulle relazioni internazionali. E infine, visto gli aspetti alquanto poco «green» presenti nelle tecnologie verdi come batterie elettriche e pale eoliche, i governi spingono sia per il riciclaggio di terre rare sia per lo sviluppo di soluzioni alternative ai problemi ambientali.

Da sapere

Quando gli Zar furono costretti a svendere l’Alaska

I grandi affari li fanno gli uomini lungimiranti, che sanno guardare al di là del proprio naso. È il caso del Segretario di stato americano William H. Seward (nell’immagine), colui che trattò direttamente l’acquisto dell’Alaska dalla Russia zarista nella seconda metà dell’Ottocento. Seward sfruttò il bisogno di liquidità della Russia zarista per acquistare (per la miseria di 7,2 milioni di dollari dell’epoca, circa 140 milioni di euro attuali) l’intera parte nord del continente americano. La ratifica da parte del Senato avvenne il 9 aprile 1867, il pagamento fu effettuato un anno più tardi. Facendo montare la rabbia dell’opinione pubblica americana, che usò espressioni come «la follia di Seward», «la ghiacciaia di Seward» oppure «lo zoo degli orsi polari di Andrew Johnson», il presidente in carica. Mai giudizio fu più errato: l’Alaska, a partire dall’oro, contribuì a far diventare gli Stati Uniti la prima potenza al mondo. E continua a farlo ancora oggi grazie al petrolio.