L'editoriale

Guerra dei dazi e le «vittime» collaterali

La decisione degli Stati Uniti di alzare fortemente i dazi su alcuni prodotti cinesi è il segnale che qualcosa si sta rompendo nella divisione internazionale del lavoro che ha caratterizzato il processo di globalizzazione nell’ultimo ventennio
Generoso Chiaradonna
25.05.2024 06:00

Il mondo sta cambiando velocemente. Dall’invasione russa dell’Ucraina, la frattura tra Est e Ovest che si credeva sanata con la fine della guerra fredda si è approfondita ulteriormente. E lungo quella faglia, che non separa più i due blocchi storici, se ne stanno formando altri di tipo economico. La decisione degli Stati Uniti di alzare – e anche di molto – i dazi su alcuni prodotti manifatturieri cinesi è il segnale che qualcosa si sta rompendo nella divisione internazionale del lavoro che ha caratterizzato il processo di globalizzazione nell’ultimo ventennio. Le motivazioni del presidente Joe Biden – non dissimili da quelle di Donald Trump, suo predecessore e sfidante per la corsa alla Casa Bianca – sono giustificate dal fatto di voler ristabilire una giusta concorrenza in alcuni ambiti definiti strategici tra le due principali economie del pianeta, in particolare nel settore dei semiconduttori, batterie e auto elettriche. La contromossa cinese non tarderà ad arrivare. La delegazione della Camera di commercio cinese presso l’UE a Bruxelles negli scorsi giorni ha fatto filtrare la notizia che Pechino potrebbe tassare fino al 25% l’importazione di auto di grande cilindrata da Stati Uniti ed Europa. Una mossa che colpirebbe in maggiore misura l’industria automobilistica europea che ha nel mercato cinese del lusso uno sbocco più importante rispetto a quella statunitense. Bruxelles, insomma, sembra essere trascinata obtorto collo nella «guerra commerciale» tra Cina e Stati Uniti in quanto parte del blocco occidentale. E la Svizzera che ruolo avrà in questo scontro? Questa settimana il consigliere federale Guy Parmelin ha presentato e commentato il rapporto sullo stato dell’economia. Rapporto che conferma la buona tenuta del sistema svizzero rispetto ad altre economie. Parmelin ha fatto capire che non ci sono ragioni per abbandonare l’impostazione liberale della politica industriale del Consiglio federale: sussidi a pioggia e dazi all’importazione non fanno parte della cultura elvetica. Il futuro assetto geoeconomico – anche in Europa - non sembra pensarla allo stesso modo. E come è successo con l’adesione alle sanzioni internazionali contro la Russia, non è detto che la Svizzera sia esentata dal fare una scelta di campo. Questa volta controvoglia.