Il punto

Guerra in Ucraina: se Londra è di nuovo al centro dell’Europa

La decisione del premier britannico Keir Starmer di sedersi al tavolo del summit di Parigi con i leader dei Paesi continentali il primo segnale di riavvicinamento dopo il 2016 e la scelta della Brexit – Lo storico Domenico Maria Bruni: «Nessuno può stare da solo, ma l’Unione è ancora troppo debole»
il premier britannico Keir Starmer (a sinistra) con il presidente francese Emmanuel Macron. ©TERESA SUAREZ
Dario Campione
18.02.2025 06:00

La decisione del primo ministro britannico Keir Starmer di partecipare al vertice di Parigi segna una svolta nella politica del dopo Brexit o è una scelta inevitabile? E come leggere le possibili conseguenze di questo passo sui rapporti tra la Londra laburista e il nuovo corso di Washington?

Di queste e di altre questioni il CdT ha parlato con Domenico Maria Bruni, docente di History of Political Systems all’Università di Siena ed esperto di storia del Regno Unito, argomento sul quale si è specializzato prima al King’s College e poi al Department of Politics del Goldsmiths College di Londra.

«La Gran Bretagna è, fra i Paesi europei, quello che forse più di tutti ha contribuito a sostenere Kiev fino a questo momento, sia in termini di fornitura di armamenti sia in termini economici e di addestramento delle forze militari ucraine - dice Bruni - L’impegno attivo nel conflitto è una delle costanti della politica estera britannica da quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina. Starmer ha quindi scelto una linea di continuità. Peraltro, il modo in cui si sta muovendo adesso la diplomazia americana obbliga anche la Gran Bretagna a operare alcune riconsiderazioni sul proprio impegno o, quantomeno, sulle modalità del proprio impegno. Questo non vuol dire, però, che siamo di fronte a un cambiamento di politica nei confronti dell’Unione europea».

La Brexit in quanto tale, spiega infatti Bruni, «non ha mai, nemmeno nell’ottica dei conservatori, messo in dubbio il fatto che il continente europeo fosse uno scacchiere strategico per la sicurezza della Gran Bretagna. È ovvio che con le diplomazie e gli apparati dei Paesi europei bisogna collaborare e parlare. Tuttavia, lo ribadisco, non credo che, almeno nel breve periodo, possano esserci grosse novità sul posizionamento della Gran Bretagna rispetto all’Unione europea».

La settimana prossima, Keir Starmer vedrà il presidente Trump alla Casa Bianca. Sarà l’occasione per un confronto tra due visioni  non del tutto allineate dal punto di vista politico-ideologico, pur restando il rapporto tra i due Paesi di stretta alleanza.

«Sicuramente, i punti di contatto ideologici tra i due sono alquanto difficili, se non impossibili da individuare - dice lo storico dell’Università di Siena - Detto ciò, Trump e Starmer parleranno di questioni di interesse nazionale che, in quanto tali, non hanno coloritura ideologica. Alla pari dei Paesi continentali, anche la Gran Bretagna ha assolutamente necessità di mantenere buone intese con gli Stati Uniti. Se questo sia possibile, e fino a che punto, lo vedremo nel corso dei prossimi mesi. Va ricordato che Londra ha un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’ONU e con esso il potere di veto, e possiede l’arma atomica, sebbene le sue reti nucleari siano tecnologicamente in parte dipendenti dagli Stati Uniti».

C’è un altro punto da sottolineare: «Non so fino a che punto Trump voglia porre sullo stesso piano la Gran Bretagna e l’Unione europea - dice Bruni - Fino a ora, le bordate del presidente USA hanno riguardato i vicini nordamericani, Panama e gli europei continentali. Ancora non si capisce bene quale sia la sua visione politica sul ruolo da assegnare alla Gran Bretagna e che tipo di rapporti intenda mantenere con Londra. Nessuno può rimanere isolato al cento per cento: anche  Donald Trump, a un certo punto, dovrà rendersi conto, come credo che in realtà sappia benissimo, di non poter rimanere da solo sul palco internazionale. Quindi, al di là della retorica che spesso utilizza e che serve anche a ridefinire, in qualche modo, i contorni dell’alleanza e dei rapporti con quelli che sono stati i Paesi amici, Trump non può pensare, così come sono convinto che non pensi, a una politica totalmente isolazionista».

Allo stesso modo, la scelta di Starmer non dovrebbe creare problemi all’amministrazione di Washington e alla sua nuova impostazione geopolitica. «Neanche la Gran Bretagna può stare da sola - dice infatti Bruni - Non è corretto chiedersi se la Gran Bretagna sceglierà l’Europa invece degli Stati Uniti. Con tutto il rispetto, sarebbe una scelta miope, visto che l’Europa, in quanto tale, come soggetto di politica estera, non esiste; così come non esiste come soggetto di politica di difesa. Quindi, come dire, l’alternativa che si pone a Starmer non è un’opzione».

Una Gran Bretagna al centro di una politica militare europea, dentro un nuovo schema, potrebbe però diventare la terza o quarta superpotenza dello scacchiere militare internazionale? «Finora non è accaduto, e un simile scenario non è qualcosa che si mette in piedi nel giro di poco tempo. Questo discorso era già stato ipotizzato nel secondo dopoguerra. Anche allora si ventilava l’idea di una Gran Bretagna leader di un’Europa in grado di compiere scelte di politica estera e di difesa in linea con una determinata visione dell’Occidente. Ma la questione rimane: che tipo di Europa? Perché poi, alla fine di tutto, si arriva sempre alla scelta tra l’integrazione vera e la creazione di cabine di regia intergovernative. Quindi, tra l’Unione oppure accordi che tengano insieme un’Europa a livello intergovernativo. Francamente, al momento non vedo una Gran Bretagna che decide un cambiamento di rotta totale rispetto al 2016, abbraccia l’integrazione europea per arrivare a una difesa comune. Mi sembra molto, molto difficile».

Due giorni fa, Jonathan Reynolds, ministro inglese dell’Industria e del Commercio, ha fatto capire che la Gran Bretagna vuole comunque fare da ponte tra Stati Uniti ed Europa, evitare cioè rotture ed essere il Paese che tiene insieme l’alleanza. «Nell’immediato e nel medio periodo, questa è la prospettiva politicamente più percorribile - conclude Bruni - Anche la proposta fatta oggi (ieri, ndr) da Starmer e relativa all’ipotesi di un’operazione di peacekeeping,  inviare cioè truppe britanniche sul terreno in Ucraina qualora si raggiungesse una pace, credo vada sostanzialmente in quella stessa direzione».