«Hamas organizzazione terroristica? Determinanti le pressioni interne»
«Spero vivamente che la Svizzera si unisca ai Paesi che hanno già designato Hamas come organizzazione terroristica in qualsiasi forma». Le parole dell’ambasciatrice israeliana in Svizzera, Ifat Reshef, non sono cadute nel vuoto. Soltanto poche ore dopo, a metà pomeriggio, ecco infatti la presa di posizione del Consiglio federale. L’Esecutivo si è limitato a un comunicato stampa. Ma i concetti espressi nella nota sembrano chiari. Il passaggio centrale è il seguente: «Il Consiglio federale ritiene che Hamas debba essere qualificato come organizzazione terroristica». Insomma, la reazione che Israele - ma non solo, basti pensare alla mozione avanzata martedì dalla Commissione della politica di sicurezza del nazionale - si aspettava.
Solidarietà al popolo israeliano
Prima di arrivare alla riflessione relativa alla definizione di Hamas, il Consiglio federale ha condannato apertamente gli atti terroristici perpetrati dalla stessa organizzazione. E ha scritto: «Il Consiglio federale condanna con la massima fermezza gli atti terroristici perpetrati da Hamas contro civili in Israele dalla Striscia di Gaza e riconosce la legittima volontà di difesa e sicurezza nazionali di Israele». E poi si è spinto oltre, chiedendo «l’immediato rilascio delle persone prese in ostaggio da Hamas e la fine immediata delle violenze», ribadendo «che la popolazione civile deve essere protetta e il diritto internazionale umanitario rispettato in ogni momento». Il Consiglio federale ha espresso «la propria solidarietà verso il popolo israeliano», con tanto di condoglianze «per tutte le famiglie delle vittime». Una presa di posizione doverosa e dovuta. Che ha fatto da premessa ai primi fatti veri e propri.
Un gruppo di lavoro più ampio
Tanto per cominciare, il Consiglio federale ha deciso di ampliare la task force per il Medio Oriente, istituita e sin qui diretta dallo stesso DFAE, e di trasformarla in una task force - in tutto e per tutto - del Consiglio federale. Una task force che, da descrizione, sarà «composta ora anche da rappresentanti del Dipartimento presidenziale, del Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS), del Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) e della Cancelleria federale (CaF)». Il tutto in modo da «poter agire in maniera efficace e concertata». Ma anche per mostrare a tutti, al Paese e al mondo fuori, che ora come ora, anche per la Svizzera, la questione mediorientale è una priorità. Lo stesso tempo dedicato alla definizione di questa presa di posizione - che chiama in causa anche una nuova analisi dei flussi finanziari legati al programma di cooperazione in Medio Oriente -, giunta solo attorno alle 16, la dice lunga in questo senso. Sulla task force, è poi stato precisato che sarà «incaricata di svolgere le analisi necessarie per poter prendere le decisioni in modo coordinato alla luce di ciò che accade in Israele e nel Territorio palestinese occupato». E poi si arriva al punto centrale: «Il Consiglio federale è del parere che Hamas debba essere classificato come organizzazione terroristica e ha incaricato la task force di esaminare le opzioni giuridiche per bandirla». Soltanto lunedì, Ignazio Cassis, in conferenza stampa, ricordava: «Il Consiglio federale non ha margine di manovra nel definire i gruppi terroristici. Ciò però non significa che non ci siano mezzi per contrastare il terrorismo. La questione si pone e il Governo ne parlerà già durante la sua prossima seduta». Così ha fatto, ma si è spinto anche più in là, entrando proprio nel merito della definizione. Ha dato mandato alla task force di «esaminare le opzioni giuridiche» per bandire Hamas, per gettarla nello stesso calderone di al-Qaeda e Stato Islamico.
«Eravamo un unicum»
«Questa presa di posizione da parte del Consiglio federale dimostra, alla fine dei conti, che l’argomento giuridico non era che una sottigliezza». René Schwok, professore al Dipartimento di scienze politiche e relazioni internazionali dell’Università di Ginevra, da noi contattato, parla proprio di «argutie juridique», dietro la quale «il Consiglio federale si è a lungo nascosto». Dice: «Non si poteva definire Hamas un’organizzazione terroristica per ragioni giuridiche. Oggi scopriamo che, in realtà, si può andare in quella direzione, anche al di là delle decisioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU. E allora si poteva fare anche prima. Era una sottigliezza non tanto giuridica, bensì politica. Se il Consiglio federale non si era sbilanciato prima era per ragioni politiche. Era rimasto una sorta di unicum in un’Europa che ormai da anni riconosceva Hamas per quello che è». Lo stesso Cassis d’altronde solo lunedì era stato prudente. E allora che cosa è cambiato nel giro di due giorni? Secondo Schwok determinanti sono state «le pressioni interne. Non ho prova di eventuali pressioni esterne. Ma all’interno del Paese, Berna ha registrato una chiara presa di coscienza che ha coinvolto diverse parti politiche, a cominciare dall’UDC, in altri casi - leggasi questione ucraina - più prudente rispetto al concetto di neutralità. Ma credo che decisiva sia stata un’emozione sincera rispetto a crimini di stampo nazista».
«Rimaniamo a disposizione»
Insomma, secondo il professore ginevrino, la Svizzera si è svegliata in ritardo, anche perché «Hamas da tempo prende di mira i civili: e questa è la definizione stessa di terrorismo». Va ricordato che nel 2018 il Consiglio nazionale aveva respinto a larga maggioranza un postulato che chiedeva al Consiglio federale di valutare proprio la possibilità di bandire Hamas o di classificarlo come organizzazione terroristica. Ma al di là delle questioni politiche, forse la diplomazia svizzera - oggi impegnata con altri Stati sul fronte della liberazione degli ostaggi - «ha peccato anche di arroganza, credendo di poter ancora giocare un ruolo centrale da intermediaria tra Israele e Hamas». Schwok distingue: «Ecco, spesso si confonde la Svizzera con il Comitato internazionale della Croce Rossa. Il CICR è corretto non si schieri, ma la Svizzera è uno Stato chiamato a difendere i valori del mondo libero, dell’umanesimo rispetto alla barbarie». L’approccio diplomatico emerge, comunque, anche dalla nota dell’Esecutivo, la quale si chiude ricordando come la Svizzera rimanga «a disposizione per sostenere tutti gli sforzi nella regione che consentano una de-escalation».