Storia

«Herr Hitler, io la scomunico nel sacro nome di Nietzsche»

Le Edizioni Casagrande di Bellinzona pubblicano la profetica lettera aperta del 1938, sinora inedita in lingua italiana, con cui l’intellettuale ebreo tedesco Oscar Levy denunciava da una prospettiva schiettamente filosofica l’abominio nazista
Adolf Hitler in posa contemplativa dinnanzi al busto di Nietzsche a Weimar nel 1932.
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
14.10.2020 06:00

Ce lo siamo chiesto infinite volte. Possibile che nessun intellettuale tedesco prendesse posizione contro Hitler e le sue farneticazioni antisemite? Possibile che nell’Europa dei lumi nessuno attaccasse culturalmente i fondamenti filosofici che portarono il mondo alla tragedia e la Germania alla totale rovina? Qualcuno ci fu, anche se la sua voce rimase troppo flebile e marginale per mettere in guardia chicchessia da quanto stava per accadere. Nel giugno del 1938, alcuni mesi prima della Notte dei cristalli e un anno prima dell’inizio della Shoah, Oscar Levy – medico e intellettuale ebreo tedesco in esilio a Parigi – scrisse una lunga lettera aperta al Cancelliere del Reich, nota come La scomunica di Adolf Hitler. I toni sono pacati, ironici persino, ma al contempo veementi: Levy, a cui si deve una mirabile edizione delle opere di Friedrich Nietzsche in inglese, impartisce a Hitler una notevole lezione sul pensiero del filosofo tedesco e lo invita ad «andarsene dal giardino» di una filosofia che lui e i nazisti hanno travisato e non avrebbero comunque mai potuto capire. Ma ciò che fa di questa lettera una testimonianza di straordinario interesse storico, è anche l’interpretazione che Levy fornisce in tempo reale dell’hitlerismo e della sua mortifera propaganda. Questo documento, a lungo dimenticato, non era mai stato pubblicato in italiano e ora vede la luce per i tipi di Casagrande di Bellinzona non senza destare grande interesse anche negli ambienti culturali italiani.

Un profugo flâneur

Oscar Levy, nato a Stargard in Pomerania nel 1867 e morto a Oxford nel 1946, era un intellettuale ebreo tedesco, cosmopolita, medico di formazione ma saggista per vocazione. La sua edizione delle opere di Nietzsche in inglese è apparsa tra il 1909 e il 1913. I suoi archivi sono stati depositati alla Casa Nietzsche di Sils Maria.

«Levy - ci spiega lo storico Vincenzo Pinto, curatore del libro - è un intellettuale ebreo dimenticato dalla storia. Non si schierò né con i buoni né con i cattivi del “secolo breve”. Semplicemente se ne infischiò. Poteva permetterselo economicamente. Ma poté farlo soprattutto perché aveva capito profondamente la filosofia di Friedrich Nietzsche, in particolare la morale. Pochi anni dopo la morte del “solitario di Sils-Maria”, Levy iniziò la sua attività pubblicistica devota a tradurre nel linguaggio corrente il pensiero del suo maestro».

Il nostro non fu però un mero esecutore testamentario. Compì la mastodontica opera editoriale di tradurre in lingua inglese la corposa, frammentata e discussa produzione del filosofo tedesco. E si confrontò con i suoi contemporanei. Non i grandi filosofi e scrittori di cui oggi la nostra società porta vivida memoria. Ma coloro che fecero opinione a inizio Novecento. «Autori oggi per lo più dimenticati, sottovalutati o espulsi dal pantheon dei meritevoli - prosegue Pinto - perché produssero opere “illeggibili”: farneticazioni di fanatici, manipolazioni e interpolazioni di scrittori di basso calibro. Oggi non ci ricordiamo più di Gobineau o di Chamberlain, se non come precursori della barbarie. Per non parlare di altri scrittori che credevano nei complotti planetari di ebrei, comunisti, massoni e così via».

Oscar Levy sapeva che esisteva una terza via, abbozzata da Nietzsche e più che mai necessaria nell’epoca delle grandi conflagrazioni belliche novecentesche. Questa terza via era la distruzione della morale e la nascita di un uomo nuovo, ancorato alla terra, capace di accettare il proprio destino. La lettera aperta a Hitler non vide mai la luce per ragioni di opportunità politica (la stampa inglese e francese la ritennero, troppo antitedesca mentre i due Paesi rincorrevano la politica di appeasement che condurrà agli illusori accordi di Monaco). Ma è un documento importante. Un ebreo che attacca Hitler non certo perché antisemita, ma per indebita appropriazione quasi, se ci è concesso, attaccandolo da destra. Non si può essere nietzschiani e populisti. Non si può distruggere un altare per erigerne un altro. I grandi totalitarismi novecenteschi nascono proprio dall’idea di sostituirsi a Dio. «La lettera aperta di Oscar Levy - conclude Vincenzo Pinto - è un manifesto non solo contro il nazismo, ma contro tutto ciò che non riesce a fuoriuscire dalla dialettica tra luce e tenebra, che è incapace di abbracciare l’universalità concreta di ogni creatura, che non sa ridere di se stesso perché troppo attento a non sembrare inopportuno. È un inno all’ironia e uno schiaffo alla serietà di chi è incapace di vedersi umano, troppo umano».