Crisi delle nascite

«Ho dovuto rifiutare dei bambini, per la prima volta»

Le mamme diurne sono oberate di richieste: l'anno scorso hanno accudito 1500 infanti e le richieste aumentano: ne abbiamo incontrata una
© CdT/Gabriele Putzu
Davide Illarietti
07.04.2024 06:00

La cameretta di Francesca è grande e ben equipaggiata. Giochi, disegni, mobili formato-bebè dappertutto. Un’altra stanza accoglie i lettini per la nanna, lo spazio non manca. Eppure ha già dovuto dire «no» a quattro bambini quest’anno: per essere accolti nella sua casa-asilo, a Stabio, dovranno aspettare settembre. «Non ho mai ricevuto tante domande d’iscrizione» racconta la mamma diurna, seduta a terra tra i mattoni di plastica che suo figlio Samuel, 5 anni, assembla con perizia. «Per la prima volta ho dovuto fare anche io una lista d’attesa».

La sola parola basta a suscitare conflitti interiori: Francesca Pagliaro è anzitutto una mamma, sa cosa vuol dire aspettare mesi per accedere a un asilo nido. Le famiglie diurne esistono proprio per colmare i «buchi» lasciati dallo Stato e dalla società nella custodia dell’infanzia. InTicino accolgono circa 1500 bambini, buona parte dei quali non hanno trovato posto negli asili nido. Il fatto che a loro volta debbano introdurre delle liste d’attesa rende l’idea delle dimensioni del problema.

«Crescita enorme di richieste»

All’origine di tutto - paradossalmente - c’è la crisi delle nascite. In un contesto di denatalità sono sempre meno le donne che, dopo la maternità, decidono di dedicarsi alla custodia dei bambini, propri o altrui. «Abbiamo difficoltà nel reperimento di madri interessate a svolgere questa attività» spiega Lara Poli, direttrice dell’Associazione famiglie diurne del Luganese. «Allo stesso tempo la richiesta aumenta». Negli ultimi due anni a livello ticinese si è registrata «una crescita enorme di domande» soprattutto per bambini nella fascia 0-3 anni. Il motivo è che le neo-mamme «tornano tendenzialmente presto al lavoro e fanno sempre più fatica a trovare posto negli asili nido» prosegue Poli.

Il fenomeno riguarda tutte le associazioni che raggruppano le mamme diurne in Ticino - oltre a quella del Luganese, ce n’è una nel Mendrisiotto e una nel Sopraceneri - ma è particolarmente forte nei centri urbani. A Lugano Città ad esempio «abbiamo poche famiglie disponibili e un gran numero di richieste che non stiamo riuscendo a soddisfare» spiega Poli. «Questo è un fatto nuovo rispetto al passato. Cerchiamo di trovare posto per tutti ma ultimamente abbiamo dovuto dire dei no».

Non per soldi

Anche a Stabio la situazione non è molto diversa. Francesca mostra i disegni lasciati dai bambini e appesi alle pareti. Sulla porta della cameretta quasi non c’è quasi più spazio. Fa questo lavoro «per passione» come sua madre prima di lei. «Ho sempre pensato che fosse una bella cosa, aiutare altre mamme e allo stesso tempo avere più tempo per mio figlio, lavorare con i bambini».

La signora Tiziana, 63 anni, prepara il caffè mentre Francesca sistema i giocattoli. «Una volta le famiglie non avevano tutto questo bisogno di aiuto, i bambini erano accuditi in casa dalla madre oppure dai nonni» ricorda. Quando ha aperto il suo asilo domestico, racconta, lo faceva solo nei weekend: nella camera da letto della figlia, che nel frattempo era uscita di casa. «Non direi che era un modo per arrotondare: piuttosto, lo vivevo come un volontariato».

I compensi delle mamme diurne non sono certo stratosferici, in effetti: 8 franchi l’ora a bambino (vent’anni fa erano 5) fino a un massimo di cinque bambini. I guadagni sono molto variabili e dipendono sostanzialmente dal numero dei bambini e dalle ore messe a disposizione: possono arrivare anche a 4000 franchi al mese, ma ci sono mamme che ne portano a casa 600, anche 200. «In generale è comunque un servizio offerto alla comunità e le donne non lo fanno certo per arricchirsi» assicura Poli. Anche perché, sottolinea la direttrice dell’associazione luganese, le rette applicate sono proporzionate al reddito delle famiglie che usufruiscono del servizio. A differenza della maggior parte degli asili nido.

Questione di flessibilità

Un’altra differenza importante è la flessibilità. Nella casa-asilo di Francesca a Stabio i bambini vanno e vengono a tutte le ore. I primi - i più piccoli - alla mattina presto, accompagnati dai genitori diretti al lavoro. All’ora di pranzo arrivano da soli, a piedi, gli alunni che non sono iscritti alle mense scolastiche - «vengono qui per trovare un’atmosfera più raccolta, o perché i genitori non sono a casa alcuni giorni della settiamana» - e poi tornano a lezione. All’ora del pisolino, tutti a letto sui materassini. Poi - alle 15.30 - arrivano i «colleghi» dalla scuola dell’infanzia e i primi genitori che hanno staccato dal lavoro part-time, oppure i nonni, a prelevare i nipotini. A sostituire le partenze sopraggiunge - alle 16.30 - qualche allievo delle elementari. Tra le 17 e le 18 inizia la processione dei genitori che tornano dal lavoro, alla spicciolata: rigorosamente accolti sul pianerottolo condominiale (tappeto e panchine per il cambio-vestiti sono una «gentile concessione» dell’amministratore) con abbracci festosi ad altezza ginocchia.

A volte, a queste scene assistono un po’ tristemente i bambini i cui genitori arriveranno più tardi, alle 19 o anche oltre. «Capita che qualche piccolo rimanga con noi anche a cena» racconta nonna Tiziana, che aggiunge volentieri un posto a tavola - è lei la padrona di casa - pensando ai tempi che cambiano. «Magari i genitori hanno imprevisti al lavoro - giustifica - o degli impegni improrogabili, a volte ci chiamano anche all’ultimo e non è mai un problema».

«Oltre un anno di attesa»

In fondo è tutto un gioco d’incastri. Come quello dei mattoncini di plastica con cui è impegnato Samuel sul tappeto, concentratissimo. Toglie un pezzo, ne infila un altro: stanno in piedi per miracolo. «Sicuramente oggigiorno per vivere in Ticino non basta più uno stipendio solo, le famiglie devono reinventarsi e fare mille acrobazie» riassume Francesca. Lei di «acrobazie» s’intende e ne vede di tutti i colori: dal mucchio giallo-rosso-verde-blu tira fuori i mattoncini giusti e li porge al figlio, per aiutarlo. «Io sono stata fortunata perché quando ero piccola avevo i nonni vicini, mi hanno accudita loro. E poi facendo questo lavoro, quando sono diventata mamma non ho dovuto separarmi da mio figlio nei primi anni».

Per chi non ha nonni a disposizione e deve rientrare in ufficio, la soluzione è l’asilo in teoria. In pratica le ci sono le liste d’attesa, che possono durare mesi o anche superare l’anno in alcune località e situazioni. Francesca, ad esempio, da gennaio accudisce un bambino di pochi mesi che potrà entrare all’asilo solo a giugno, o addirittura a settembre. Nel Luganese il problema sembra ancora più grave: «Veniamo contattate da famiglie che si sono viste prospettare un’attesa di un anno o anche più» conferma Poli. «La situazione che ci viene riferita è abbastanza difficile».

Spesso le mamme diurne riescono a venire in soccorso. Ma non sempre è possibile. «Anche noi abbiamo risorse limitate e, come detto, negli ultimi tempi ci siamo trovati a nostra volta a dover rifiutare dei bambini. Lo facciamo con grande tristezza ma per difficoltà oggettive» spiega Poli. Se per i bambini più grandi è più semplice trovare un affidamento, il problema è più consistente nelle fasce d’età pre-scolastiche. «Non abbiamo delle vere e proprie lista, ma il tempo d’attesa varia molto a dipendenza del tipo di bisogno e dall'età di bambino. Non tutte le famiglie si sentono di accudire dei neonati, ad esempio» conclude la direttrice dell’associazione.

Nel frattempo Samuel ha finito di costruire il suo edificio di mattoncini. Sembra un ritratto della famiglia ticinese ai tempi dell’inverno demografico. Una simmetria complicata, colori diversi e qualche problema di equilibrio. Ma in qualche modo, chissà come, sta ancora in piedi.

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