I costruttori frenano sull’elettrico e la politica ha smesso di spingere
«Mercedes si arrende e rallenta». Alcuni giorni fa molti hanno ripreso questo titolo per raccontare il cambio di passo del marchio tedesco rispetto alle auto elettriche. A determinare il ritmo della trasformazione, come spiegato nel comunicato stampa di Mercedes, saranno sempre «i clienti e le condizioni del mercato». Ecco perché «il cammino della mobilità elettrica non è in linea retta». Ed ecco perché la data dell’addio al motore a combustione «non è stata ancora fissata». Ma è davvero così? Perché l’Unione europea sembrava, in realtà, dettare altri ritmi. Eppure, Mercedes non è il solo marchio in fase di rallentamento rispetto alla transizione.
Le normative
Francesco Zirpoli, professore ordinario di economia e gestione delle imprese all’università Ca’ Foscari di Venezia, direttore del CAMI (Center for Automotive and Mobility Innovation), chiama in causa il regolamento Euro 7: «Gli annunci dei costruttori sono contraddittori. Da un lato magnificano le proprie capacità a livello tecnologico, dall’altro sottolineano l’interesse nel proseguire con i motori endotermici. Ma la chiave, a mio modo di vedere, va cercata proprio nell’accordo sugli standard Euro 7». Zirpoli evidenzia come la proposta della Commissione europea nascesse dall’interesse per la tutela della salute pubblica, ma come poi sia stata edulcorata nei passaggi successivi. Le esigenze dei costruttori di automobili, infatti, erano altre. «E in termini di emissioni, per finire, l’Euro 7 non è così lontano dall’Euro 6». Già, ma come si lega tutto ciò alla frenata di Mercedes e delle altre sull’elettrico? Gli standard Euro 7 permettono ai costruttori «di continuare a sfruttare gli investimenti fatti in passato sulle tecnologie legate ai motori endotermici, senza incorrere in ulteriori costi. È un mero esercizio di efficienza, di sfruttamento dei propri asset». È chiaro che questo ha un effetto diretto sui piani di elettrificazione. «Lo scenario sul lungo periodo è un altro, e sarà quello di un sostanziale abbandono del motore endotermico». Certo, ma questa rimane una battuta d’arresto sull’immediato. «È un’industria dominata dall’offerta. E il consumatore compra ciò che c’è sul mercato. A rimanere esclusa da questa equazione è però la salute pubblica».
«Più tecnologie, meno divieti»
Sulle abitudini dei consumatori torneremo anche con Davide Cerruti, ricercatore al Centro di ricerca in economia e politica dell’energia del Politecnico di Zurigo. Il quale non si sbilancia sulle strategie dei costruttori o sulle decisioni della politica. Ma accenna comunque alle discussioni in seno al partito popolare europeo, quello di Ursula von der Leyen, sulla posizione da assumere rispetto all’ultimatum alla vendita di auto a combustione interna dal 2035. Sappiamo che il capogruppo Manfred Weber aveva a suo tempo promesso di cancellare il bando. Nel manifesto del partito, però, questo passaggio non figura, o non figura più - il riferimento è alle bozze precedenti, emerse per mezzo stampa -, e ci si limita al seguente accenno: «Le nuove tecnologie hanno il potenziale per rivoluzionare il modo in cui ci muoviamo, rendendo la nostra mobilità più intelligente, più efficiente e più sostenibile. Abbiamo bisogno di più tecnologia, non di divieti». Insomma, l’Europa potrebbe allungare la vita del motore endotermico? «Così facendo, però, si espone a un doppio attacco, sia sul basso di gamma, sui motori tradizionali, sia su quelli elettrici», fa notare ancora Zirpoli. «Un paradosso: alcuni evidenziano i rischi di un’invasione di auto elettriche cinesi, ma poi prestano il fianco anche a un’invasione di auto cinesi con motore endotermico». E poi aggiunge: «Rallentando l’elettrificazione, continuiamo a dare vantaggi ad altri e rimaniamo a metà del guado».
Il mercato
Come sottolinea invece Cerruti, nonostante tutto, nonostante un rallentamento della crescita, le auto elettriche continuano ad aumentare. «Secondo Swiss eMobility la percentuale di nuove immatricolazioni di auto totalmente elettriche in Svizzera è passata dal 17,3% del 2022 al 20,9% del 2023. Per le ibride ricaricabili plug-in si è passati dall’8% del 2022 al 9,2% del 2023. Numeri simili per l’UE: da 12,1% totalmente elettriche nel 2022 a 14,6% nel 2023». Il ricercatore fa riferimento poi a un sondaggio effettuato dall’ETH tra il 2022 e il 2023, secondo cui «più dell’80% dei possessori di auto elettriche in Ticino aveva la possibilità di ricaricare da casa. Sembra quindi che le auto elettriche ricaricabili, ibride o completamente elettriche, siano attrattive soprattutto per questo segmento di consumatori». Insomma, un problema anche strutturale, a questo punto. Zirpoli va oltre: «Tanto più è ampia la base dei clienti, tanto maggiore è l’incentivo a investire in asset complementari, come nelle infrastrutture di ricarica». Insomma, un circolo virtuoso che «solo la combinazione di un’offerta di prodotto e di una rete infrastrutturale può innescare. Se c’è un deficit sostanziale di prodotto, è evidente che non si innesca neanche la dinamica dell’infrastruttura. In questo senso, la legislazione ha dato un elemento di incertezza al mercato». Il professore aggiunge un ulteriore elemento: «Rispetto alla questione Euro 7, mentre le case automobilistiche erano contrarie a nuovi standard più stringenti, i fornitori erano favorevoli. Loro infatti avevano già investito in nuove tecnologie anti-inquinanti».
Deficit di informazioni
Insomma, la filiera è spaccata, e il consumatore confuso. Quali scelte dovrà fare, in futuro? Davide Cerruti spiega: «Abbiamo effettuato un sondaggio nel Regno Unito sulla percezione dei costi e delle ricariche di un’auto elettrica. Le persone sembrano sottostimare i risparmi in termini di costi operativi totali - prezzo di acquisto, costo carburante, riparazioni, tasse, svalutazione - di un’auto elettrica rispetto a una equivalente auto a benzina. Al contempo, sembrano sovrastimare il numero di tragitti durante i quali dovrebbero ricaricare l’auto, così come il numero di volte in cui dovrebbero ricaricare un’auto in una settimana. Dopo aver mostrato informazioni personalizzate su bisogni e costi effettivi basate sulle abitudini di guida individuali, vediamo che le persone sono più disposte a prendere in considerazione l’acquisto di un’auto elettrica». Insomma, una questione anche di informazione. Il settore può fare di più, può fare meglio. «Con campagne informative mirate si possono rendere più efficaci le politiche già esistenti di promozione delle auto elettriche», conferma ancora Cerruti.
E ora?
Come confermato dal ricercatore dell’ETH, la corsa è comunque lanciata, anche se ha perso un po’ di velocità. Zirpoli, dal canto suo, ricorda: «Ci sono comunque alcuni traguardi intermedi, per il 2030, per il 2035, che porteranno a una maggiore elettrificazione del traffico. E poi aspettiamo l’uscita di tutta una serie di nuovi prodotti che potrebbero rappresentare un ulteriore elemento di mercato interessante». Con la Cina che spinge. «In merito alla Cina, le domande sono le stesse che negli anni Novanta ci si poneva sul Giappone. Il Giappone sembrava allora destinato alla conquista del mondo dell’auto perché aveva accumulato un vantaggio importante sulle tecnologie. Lo stesso ora vale per la Cina, che ha più vantaggi. Per colmare il gap occorrono in Occidente nuovi investimenti nell’innovazione tecnologica». Cerruti sembra d’accordo quando aggiunge: «Molto dipenderà anche da quali saranno le tecnologie disponibili in futuro. Ora, non credo che arriveremo a un parco macchine completamente elettrico nel 2030, ma ci si potrà arrivare ad altri ritmi. Se l’obiettivo dei governi è di promuovere l’auto elettrica, bisognerebbe fare in modo che i cittadini siano informati sulle politiche relative e sulle tecnologie. Oggi, mentre tutti sanno quanto costa un litro di benzina, pochi si rendono conto del costo di un chilowattora».