I crimini di guerra e il lungo percorso per trovare la verità
L’orrore di Bucha è entrato con la violenza di un pugno nello stomaco nelle case di tutti noi. Sono immagini terrificanti quelle che abbiamo visto in queste ore: corpi di civili disseminati lungo il ciglio della strada – alcuni con le mani legate dietro alla schiena –, fosse comuni, auto crivellate di colpi . E poi esecuzioni, massacri, stupri. Durante l’occupazione da parte dell’esercito russo, l’area a nord-ovest di Kiev ha subito l’indicibile. Le forze ucraine, arrivate sabato a liberare la zona, si sono trovate di fronte una scena apocalittica, insostenibile.
Un’altra Srebrenica
In molti hanno parlato di Bucha come di un’altra Srebrenica. Non a caso il presidente ucraino Volodomyr Zelensky ha apertamente parlato di «genocidio», una definizione che nelle ultime ore in tanti hanno usato. Sì. Ma a questo punto, chi dovrà intervenire? Chi dovrà raccogliere tutte le prove e incriminare non soltanto Putin, ma anche l’intera catena di comando e gli esecutori materiali dell’eccidio? Lo abbiamo chiesto a Paola Gaeta, professoressa di diritto internazionale al Graduate Institute di Ginevra.
Il vantaggio
Gli ucraini, come detto, hanno ripreso il controllo della zona attorno a Bucha. Un dettaglio non certo insignificante, come spiega l’esperta. «È un chiaro vantaggio, perché ciò dovrebbe facilitare la raccolta dei mezzi di prova», spiega. «Il fatto che ci sia questa possibilità, renderà più semplici le investigazioni, come l’identificazione delle vittime, le modalità dei massacri e delle uccisioni, le responsabilità. Spesso nei teatri di guerra non è scontato riuscire a raccogliere prove in così poco tempo. Le fosse comuni, ad esempio, vengono alla luce anni dopo, rallentando l’intero processo, come accaduto a Srebrenica».
Chi deve intervenire
A Bucha, la prima autorità preposta alle indagini è lo Stato ucraino. «È sovrano su quel territorio, dunque è competente e non ha bisogno di chiedere alcun permesso», prosegue Gaeta. «Per contro, ogni altra autorità internazionale deve richiedere l’accesso alla zona al Governo. Mi riferisco in particolare al team investigativo della Corte penale internazionale – il cui procuratore ha già avviato delle indagini su tutto quello che sta succedendo in Ucraina –, che potrebbe avere accesso ai luoghi con il consenso e la collaborazione delle autorità ucraine». Lo stesso vale per una commissione di inchiesta internazionale, organo già invocato in queste ore. «Anche in questo caso serve il consenso delle autorità locali», ribadisce. Dovrebbe essere un puro atto formale, perché gli ucraini hanno evidentemente tutto l’interesse a chiarire l’orrore. L’ostacolo a indagini internazionali si presenterebbe solo nel caso in cui il territorio fosse ancora conteso. «Sì, perché bisognerebbe chiedere il consenso anche all’occupante».
Le discriminanti
Molti Governi occidentali – riferendosi a Bucha – hanno immediatamente parlato di crimini di guerra. Altri, come visto, si sono spinti più in là, chiamando in causa il genocidio. Ma qual è la discriminante, sempre che possa esserci una discriminante, fra un crimine così orribile e un altro? «Molto dipende dalle prove che si riescono a ottenere», spiega la professoressa. «Personalmente, da quanto ho potuto vedere, siamo certamente di fronte a crimini di guerra. E attenzione: già di per sé, i crimini di guerra hanno una sua particolare disciplina. Quella in Ucraina è una guerra internazionale, dunque si applicano le Convenzioni di Ginevra del 1949. E il crimine è stato commesso dalla forza occupante. Questa è un’infrazione grave delle Convenzioni». La conseguenza? «Obbligano tutti gli Stati a perseguire e processare i responsabili secondo il principio dell’universalità della giurisdizione».
Ma non solo. Secondo Gaeta, «quanto fatto dai russi a Bucha potrebbe anche costituire un crimine contro l’umanità». Mentre altri, come detto, parlano di genocidio. «In presenza di queste atrocità, le tre categorie di crimini non si escludono: possono esistere contemporaneamente perché si proteggono beni giuridici diversi». Spetterà alle indagini dimostrare che ci sono gli elementi di ciascun tipo di crimine. «Per Bucha, l’accusa di crimine di guerra è abbastanza scontata. C’è un conflitto, una potenza occupante, dei civili massacrati. Per l’accusa di crimine contro l’umanità, bisogna invece dimostrare – a prescindere dalla guerra – che ci sia stato un attacco deliberato contro la popolazione civile. Cosa che per Bucha mi pare abbastanza chiara». Per un genocidio, infine, bisogna provare «che le uccisioni, i massacri e gli stupri vengono compiuti con il fine di distruggere un gruppo in quanto tale. È questo a rendere molto difficile stabilire un genocidio».
Le responsabilità
Le responsabilità, ora. Come incriminare i mandanti? Ancora Gaeta. «Quando si parla di responsabilità bisogna distinguere quella collettiva da quella individuale. Quella collettiva riguarda uno Stato, in questo caso la Russia. Poi c’è la responsabilità penale individuale. A rispondere è chi compie materialmente il crimine, ma anche la catena di comando fino ad arrivare ai vertici politici e militari. È un lavoro difficile: chi può dire che Putin fosse al corrente di Bucha? Nel diritto internazionale esistono varie teorie per rendere penalmente responsabili i vertici. La principale, spesso usata dalla Corte penale internazionale, è dimostrare il controllo del dittatore sull’apparato. Un apparato utilizzato appunto per commettere crimini».