Verso l'elezione del pontefice

I favoriti e gli outsider del conclave: ecco chi può diventare Papa

Nelle congregazioni i cardinali cominciano a conoscersi e a proporre le proprie idee per la Chiesa del futuro - La classica contrapposizione tra progressisti e conservatori non è sufficiente per comprendere le dinamiche interne
I cardinali si riuniranno in conclave tra pochi giorni per eleggere il nuovo Papa.
Dario Campione
24.04.2025 22:30

È stato detto e ridetto. Ma vale sempre la pena ripeterlo. Il conclave è, per definizione, imponderabile. Non prevedibile nel suo esito. Soltanto un profeta, visto che stiamo parlando di materia religiosa, potrebbe essere preso sul serio. Ma sempre non oltre un certo punto. Perché alla fine, al netto dell’azione dello Spirito Santo - che per i credenti è decisiva e sulla quale sarebbe sbagliato ironizzare - il conclave è comunque un consesso di uomini chiamati a fare una scelta definitiva. E le variabili sono tante. Troppe da prendere tutte nella dovuta considerazione.

La prima di queste variabili, che è anche la più nuova, è la composizione: rivoluzionata, rispetto al passato, nei numeri e nelle provenienze.

I cardinali elettori sono 135 (due di loro, però, hanno annunciato che non saranno a Roma per motivi di salute) e provengono da 66 Paesi diversi, in rappresentanza di tutti i continenti. Gli europei seguitano a essere la maggioranza, ma soltanto relativa: sono infatti 59. Gli asiatici sono 20, gli africani 16, ben 37 invece gli americani (21 dei quali provenienti dall’America Latina e Centrale e 16 dall’America del Nord). Tre, infine, i porporati dell’Oceania.

Il Paese con più elettori resta l’Italia, con 19 cardinali, tra i quali il patriarca di Gerusalemme dei Latini Pierbattista Pizzaballa e il prefetto apostolico in Mongolia Giorgio Marengo. L’altra delegazione più numerosa è quella statunitense, che ha 10 cardinali. Subito dopo ci sono Brasile (7), Spagna e Francia (entrambe con 6 porporati). Un conclave, quindi, molto meno eurocentrico e molto più «periferico», secondo la volontà di Francesco. Soprattutto, un conclave del quale fanno parte cardinali che vivono realtà pastorali completamente diverse e che non si conoscono tra loro.

Le congregazioni

In questo senso, assumono un significato determinante le congregazioni generali, le riunioni che precedono il conclave e alle quali partecipano sia gli elettori sia i non elettori. Nelle congregazioni, l’opinione dei cardinali più conosciuti, o che ricoprono un ruolo di governo nella Chiesa, può spostare voti. Può orientare.

È noto che fu il breve discorso pronunciato da Bergoglio in una delle ultime congregazioni generali del 2013 a convincere la maggioranza del sacro Collegio ad eleggerlo.

«Leggere i segnali pre-conclave per identificare i candidati papabili è complicato, perché i segni sono di solito molto sottili - ha detto alla Reuters John Thavis, il giornalista e vaticanista americano che dodici anni fa predisse l’elezione di Bergoglio - Qualsiasi segno arriverà poi frammentato, e dovrà leggersi tra le righe delle frasi usate per descrivere ciò che i cardinali stanno cercando nel prossimo Papa. Parole come “apertura” e “riforma” possono adattarsi ad alcuni cardinali, mentre “competenze amministrative” e “solida teologia” possono descriverne altri».

All’ingresso dell’Aula del Sinodo, nelle tre congregazioni svolte sinora, i bene informati hanno visto entrare insieme, a due a due, il cardinale guineano Robert Sarah con lo statunitense Raymond Leo Burke, capofila dei conservatori e della resistenza interna a Bergoglio. Ma anche il cardinale maltese Mario Grech e il gesuita lussemburghese Jean-Claude Hollerich, due dei collaboratori più stretti di papa Francesco.

Le interviste

Conservatori contro progressisti, quindi. Una vulgata utile per fare sintesi ma che, nella Chiesa universale, potrebbe non avere molto senso.

Dopo il pontificato di Francesco, una delle questioni che i cardinali si porranno non sarà se volgere lo sguardo all’indietro, ma con quale forza proseguire sulla strada indicata dal Papa argentino. Una forza radicale, ancora più dirompente. O una forza più mite. Incline a un ascolto che non sia semplice compromesso.

In un’intervista pubblicata da Le Monde, il sud sudanese Stephen Ameyu, 61 anni, arcivescovo di Juba creato cardinale da Francesco nel settembre di due anni fa, ha dato in questo senso un’indicazione precisa: «Ho incontrato gli altri cardinali africani e ho notato che la maggior parte di loro è aperta al modo in cui la Chiesa vuole vivere nel XXI secolo - ha detto Ameyu - Vorrei che il prossimo Papa fosse un intermediario, capace di rappresentare veramente la Chiesa di oggi. Papa Francesco ha detto: “Chiediamo prima di tutto misericordia”. Per quale motivo? Perché se cominciamo ad affrontare i problemi da un punto di vista dogmatico, rischiamo di essere sommersi da mormorii e litigi tra di noi, soprattutto come vescovi».

Ecco perché, tra gli osservatori, sono favoriti i cardinali conosciuti per la vicinanza ideale a Bergoglio e per la capacità di parlare con tutti. Dentro e fuori la Chiesa. E di tenere insieme, ovviamente, le molte anime del conclave. Il più noto di loro è il segretario di Stato Pietro Parolin, 70 anni, artefice dell’accordo con la Cina. Un accordo contestato, peraltro, proprio da uno dei porporati più conservatori, il tedesco Gerhard Ludwig Müller, arcivescovo emerito di Regensburg. «Si deve fare un compromesso con questi potenti dittatori ma non possiamo tradire i principi della nostra fede - ha detto Müller in un’intervista pubblicata dalla Repubblica - non possiamo accettare che i comunisti atei, nemici dell’umanità, scrivano i nostri libri del catechismo o portino nelle chiese l’immagine di Xi Jinping. Non possiamo accettare che i comunisti nominino i vescovi».

Pietro Parolin.
Pietro Parolin.

Un profilo simile a quello di Parolin hanno pure altri due italiani: l’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, 69 anni, scelto da Bergoglio come inviato di pace per l’Ucraina. E Pierbattista Pizzaballa, 59 anni, già custode di Terra Santa, da anni figura fondamentale di equilibrio nell’area più difficile del pianeta.

Matteo Maria Zuppi.
Matteo Maria Zuppi.

Zuppi è il classico prete di strada, anche se nipote del cardinale Carlo Confalonieri, già segretario particolare di Pio XI, arcivescovo dell’Aquila e, dal 1967, primo prefetto della Congregazione per i vescovi istituita da Paolo VI. Di lui hanno detto che «Unisce un certo spirito sessantottino a una capacità di navigare tutta democristiana». È stato assistente spirituale della comunità di Sant’Egidio, parroco a Trastevere e vescovo ausiliare di Roma, prima che Francesco lo nominasse arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana.

Pierbattista Pizzaballa.
Pierbattista Pizzaballa.

Pizzaballa, francescano, già custode di Terra Santa per 12 anni (dal 2004 al 2016), ha trascorso più della metà della sua vita in Medio Oriente. Considerato esponente di un cattolicesimo tradizionale, gode di una credibilità internazionale probabilmente unica. La sua elezione darebbe al mondo un segnale inequivocabile sulla volontà della Chiesa di farsi mediatrice nelle situazioni di guerra più difficili e martoriate.

Giorgio Marengo.
Giorgio Marengo.

Un quarto cardinale italiano potrebbe, e sarebbe questa sì in qualche modo una rivoluzione, ascendere al soglio di Pietro se il conclave volesse davvero imprimere alla Chiesa la svolta missionaria avviata da Bergoglio. È Giorgio Marengo, 50 anni, piemontese di Cuneo, missionario della Consolata creato cardinale nel Concistoro del 27 agosto 2022. Da cinque anni, Marengo è prefetto apostolico di Ulaanbaatar, in Mongolia, Paese meta di uno degli ultimi viaggi di Francesco. Una realtà, la Mongolia, nella quale «il Vangelo più che annunciato va sussurrato, magari usando “l’arma segreta” che è “l’amore di Dio”», ha detto il giovane cardinale allo scrittore spagnolo Javier Cercas, che ha raccontato il viaggio del Papa in Mongolia nel suo ultimo libro, Il folle di Dio alla fine del mondo (Guanda, 2025). Si tratta, evidentemente, di una suggestione. Ma nulla, come detto, è impossibile sotto le volte della Sistina.

Il «Papa rosso»

Luis Antonio Gokim Tagle.
Luis Antonio Gokim Tagle.

Nella Chiesa universale non possono essere ignorate le “candidature” di due cardinali provenienti dalle zone di più forte espansione del cattolicesimo e, nello stesso tempo, espressione della curia romana. Il primo è Luis Antonio Gokim Tagle, il «Papa rosso», come viene definito il prefetto di Propaganda fide, il dicastero che governa tutte le Chiese delle terre di missione. Filippino, 67 anni, è stato creato cardinale da Benedetto XVI nel 2012. Chiamato il «Francesco asiatico» per il suo impegno verso la giustizia sociale e lo stile di vita sobrio, ha studiato negli USA e a Bologna ed è stato arcivescovo di Manila dal 2011 al 2020. Per 7 anni ha guidato Caritas Internationalis e quando, nel 2022, Francesco nominò un commissario in seguito ad accuse di bullismo e di umiliazione dei dipendenti, Tagle annunciò la drammatica decisione del Papa dicendo che il cambiamento sarebbe servito ad «affrontare i nostri fallimenti».

Peter Kodwo Appiah Turkson.
Peter Kodwo Appiah Turkson.

Il secondo è il ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson, 76 anni, creato cardinale da Giovanni Paolo II nel concistoro del 21 ottobre 2003 e quindi per la terza volta in conclave. Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, è stato uno dei più stretti consiglieri di Bergoglio sulla questione del cambiamento climatico e ha attirato molta attenzione partecipando a conferenze come il WEF di Davos. Nel 2023 ha detto alla BBC di aver sempre pregato contro la possibilità di essere eletto Papa.