Confine

I frontalieri «arrabbiati» scendono in piazza

A Como, davanti alla Regione, la prima manifestazione dei «permessi G»: ecco come è andata
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Davide Illarietti
25.05.2024 12:10

C'è chi è arrivato fin da Sondrio, due ore in auto, con famiglia al seguito - «ormai alle lunghe distanze siamo abituati». Chi da Lecco e da Varese. Qualcuno lavora nei Grigioni, qualcuno persino in Vallese.

Sotto la pioggia che, secondo gli organizzatori, ha penalizzato le presenze - «è gente che lavora e viaggia già molto in settimana» sottolineano i sindacati, «non ci aspettavamo una folla oceanica» - circa 300 persone si sono radunate questa mattina a Como nella prima manifestazione di frontalieri che si ricordi, dai tempi del governo Renzi.

Era il 2015 quando, alle prime trattative per il nuovo accordo fiscale, si tennero i primi presidi al di là del confine. A Lavena Ponte Tresa, poi a Malnate. Ma «si trattava di eventi organizzati da partiti politici e non vere e proprie manifestazioni di piazza» sottolinea Andrea Puglia, responsabile frontalieri del sindacato Ocst.

Le rivendicazioni

Rispetto alle premesse - e promesse - dell'accordo fiscale, intanto, sono cambiate diverse cose. «Troppe» secondo gli organizzatori del presidio - Cgil, Cisl e Uil dal lato italiano, da quello svizzero Unia, Ocst, Sgb Uss e Syna - che al megafono sotto gli uffici comaschi della Regione Lombardia hanno elencato le proprie rimostranze: dalla «tassa sulla salute» inserita a posteriori dal governo italiano, alla mancata modifica della disoccupazione dei frontalieri (inclusa come corollario del nuovo accordo, ma mai introdotta).

Proprio la «tassa sulla salute» è l'elemento più discusso, ma non il solo insomma. «Si sono cambiate le carte in tavola ad accordo già concluso» sottolinea Puglia. «Come svizzeri abbiamo tutto il diritto di manifestare in Italia contro un governo che sta violando gli accordi su cui a lungo abbiamo trattato».

La presenza - molto consistente - dei sindacati svizzeri è stata oggetto di polemiche nelle scorse settimane, in particolare da parte della Lega dei Ticinesi, tradizionalmente critica sulla tutela dei frontalieri nel mercato del lavoro ticinese. «Speculazioni senza senso» a cui il segretario cantonale di Unia Giangiorgio Garantini risponde ricordando come «se dal punto di vista geografico qui siamo in Italia, da quello del mercato del lavoro è come se fossimo in Ticino». Per Unia la «trasferta» oltre confine si giustifica «non solo con la protesta per un accordo tradito che è stato firmato dalla Svizzera, ma anche per la lotta che da sempre portiamo avanti contro il dumping salariale. Una lotta che deve partire anzitutto da qui».

La «questione valtellinese»

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Folta anche la partecipazione, come detto, di lavoratori e loro rappresentanti provenienti dai Grigioni e dalla provincia di Sondrio. La «questione valtellinese» è un dossier delicato sul tavolo sindacale e coinvolge in primo luogo il Canton Ticino. «Per i frontalieri residenti in Valtellina, che da anni pagano le tasse in Ticino, essere stati esclusi dalla lista dei territori di frontiera è stato un vero e proprio tradimento a sorpresa» sottolinea un delegato di Sondrio. La rivendicazione chiama in causa Bellinzona e il Cantone, che avrebbe cambiato «arbitrariamente e in modo unilaterale» lo statuto di migliaia di vecchi frontalieri, trasformandoli in «nuovi» con il conseguente danno fiscale.

«Ci avevano detto che non si sarebbero messe le mani in tasca ai frontalieri storici» ha tuonato al microfono il combattivo sindaco di Lavena Ponte Tresa Massimo Mastromarino, presidente dell'Associazione italiana dei Comuni di frontiera. «Così non è stato, e questi diversi tentativi di cambiare le carte in tavola ci riportano indietro a un vecchio vizio della politica, purtroppo: quello di usare di nuovo i frontalieri come bancomat».

La manifestazione si è conclusa attorno a mezzogiorno, in modo pacifico e senza disordini, con lo scioglimento del presidio davanti alla Regione.

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