I mondi magici di Mahito
«Non c’è niente di più patetico che annunciare al mondo il proprio ritiro a causa dell’età e poi fare marcia indietro. Ci si può rendere conto di quanto sia patetico ma ciononostante farlo lo stesso? Una persona anziana non illude forse se stessa credendo di essere ancora capace, malgrado la smemoratezza tipica dell’età, di poter dare il massimo?». Si aprono con queste riflessioni autocritiche, relative al suo annunciato ritiro dalle scene nel 2016 e la susseguente ritrattazione, le note di regia che accompagnano Il ragazzo e l’airone, il nuovo lungometraggio firmato da Hayao Miyazaki: il maestro dell’animazione che proprio domani compirà 83 anni. Un’opera di altissimo livello narrativo e artistico che si pone come ultimo capitolo – leggermente tardivo – di un’annata cinematografica che ha visto diversi «grandi vecchi» (Scorsese e Bellocchio tanto per citarne un paio) realizzare film imperdibili.
Temi ricorrenti
Il ragazzo e l’airone in questo senso non è da meno di Killers of the Flower Moon o di Rapito, visto che anche in questo caso tra le pieghe di una vicenda del tutto originale emergono diversi temi ricorrenti nella filmografia dell’autore. Il protagonista, il dodicenne Mahito, perde la madre in un violento incendio causato da un bombardamento su Tokyo da parte delle forze alleate negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale. Un trauma – che per Miyazaki è quello di un intero Paese – da cui il ragazzino stenta a rimettersi. Due anni dopo questo tragico evento, che dà origine alla terribile quanto maestosa sequenza iniziale del film, il padre annuncia a Mahito che si trasferiranno in campagna, a casa della sorella della madre da cui ora aspetta un bambino. Per il ragazzo si tratta di un cambiamento non certo facile, anche solo per il fatto di dover accettare una nuova figura materna quando non ha ancora elaborato il lutto per la perdita della vera madre. Il contesto naturale del luogo è però estremamente affascinante e Mahito si sente subito spinto ad esplorarlo in profondità, anche se la presenza di uno strano volatile che lo perseguita mette in allarme le premurose e anziane domestiche che sono incaricate di sorvegliarlo. Sarà invece proprio questo airone molto speciale a schiudere al ragazzo le porte di un coacervo di mondi che si intersecano magicamente tra loro e da cui Mahito dovrà trovare la propria personale via d’uscita.
Un’odissea meravigliosa
Novello Orfeo, il protagonista, animato dalla speranza di poter rivedere la madre, si ritrova così in uno di quei magici labirinti di cui Miyazaki è il più formidabile degli architetti. Richiami dell’inconscio e allucinazioni fantasmagoriche vanno così a comporre un universo sfaccettato in cui lo spettatore è felice di smarrirsi. Prima di tornare alla realtà con l’essenziale e chiara sequenza finale del film, capace di farci intuire come Mahito – grazie al suo meraviglioso viaggio – abbia finalmente ritrovato la pace interiore. Diversamente da altre opere del regista giapponese però, Il ragazzo e l’airone non si limita a contrapporre in maniera ludica mondo reale e mondo fantastico ma va a scavare dentro quella «zona grigia» che racchiude i traumi e i problemi irrisolti di ciascuno di noi. Un modo di procedere che ci fa credere, al di là di qualsiasi ragionevole dubbio, che Hayao Miyazaki abbia fatto la cosa giusta decidendo di non dar seguito alla sua decisione di ritirarsi dalle scene. Non ci resta quindi che goderci con il massimo della gioia questo bellissimo film che costituisce un ottimo esempio di come il cinema d’animazione possa raccontare storie complesse in maniera intelligente e del tutto originale.