I primi Giochi di un’intera nazione: così la Svizzera si ripensa olimpica
Non c’è un preciso orizzonte temporale, ma quel che è sicuro è che la Svizzera è tornata a ripensarsi olimpica. Si parla e si parlerà di «Svizzera 203x», dove quella x, in realtà, non potrà che equivalere a un «4» o a un «8». Nei progetti di Swiss Olympic ci saranno insomma i giochi del 2030, del 2034 o del 2038. Il nostro Paese ha lanciato la sua corsa, quella che a tutti gli effetti sarà una corsa a ostacoli. Sì, perché bisognerà convincere il mondo dello sport, così come quello della politica e, più in generale, la popolazione svizzera. Ma la strada sembra segnata.
I principi
Lo si era già intuito a metà luglio, quando la stampa d’oltre SanGottardo - in particolare il Tages-Anzeiger - aveva ripreso una comunicazione interna di Swiss Olympic, una lettera, nella quale trapelava l’interesse di Viola Amherd rispetto a una candidatura elvetica. Il responsabile della comunicazione del suo Dipartimento, Renato Kalbermatten, aveva poi sottolineato che la consigliera federale è «convinta che un grande evento internazionale possa avere risvolti positivi e duraturi, sia in ambito sociale sia economico». Per tutto il Paese. È questa la chiave, che ora riemerge nelle intenzioni e nelle direttive di Swiss Olympic che il CdT ha potuto visionare: tutto il Paese. Lo sport svizzero ha stabilito i pilastri su cui dovrà poggiare un’eventuale candidatura elvetica. Sei pilastri. Nell’ordine: 1. il Paese ospitante, anziché la città ospitante, e quindi Svizzera 203x; 2. il World Winter Sports Hub Switzerland: l’infrastruttura esiste già; 3. grande partecipazione delle associazioni sportive e utilizzo del know-how regionale; 4. meno costoso, più locale, più cooperativo; 5. i Giochi più coinvolgenti: da tutti e per tutti; 6. eredità: cosa rimane. Sei pilastri, già, ma un’unica matrice comune. E basta una parola: sostenibilità.
La nuova linea del CIO
È il CIO stesso a dettare questa linea. Swiss Olympici è intenzionata a ricalcarla, andando persino oltre. Il processo di candidatura è d’altronde cambiato molto, rispetto al passato, con il Comitato olimpico internazionale che sempre più cerca una partnership con i Paesi ospitanti, secondo il motto seguente: «I Giochi si adattano alla sede, non il contrario». E allora i Giochi dovranno adattarsi alla Svizzera, nel caso specifico, a un Paese intero, e non a una sola città (vedi St. Moritz) o a un solo cantone (vedi i recenti fallimenti del Vallese e degli stessi Grigioni). Alcuni principi di questo nuovo processo sono stati applicati alla candidatura di Milano/Cortina per il 2026, mentre si è fatto ancora meglio in vista del 2032. Il processo è stato pienamente implementato, infatti, nella candidatura di Brisbane per quelle Olimpiadi estive. Tutto per evitare sperperi e danni, nella ricerca della massima sostenibilità. Si torna lì. E infatti si sta già facendo largo un altro motto, in questo caso tutto nostro. «Switzerland 203x: the first Host Country ever, for the most sustainable Olympic Games ever». Insomma, la prima nazione intera a ospitare i Giochi olimpici più sostenibili della storia. Un tema affascinante, che potrebbe fare breccia - perlomeno è quanto si augurano gli organizzatori - anche rispetto allafetta più scettica della popolazione. Una fetta che in altri momenti storici ha dimostrato di essere ben più ampia rispetto alla sua controparte, ovvero rispetto a quanti credono nei benefici, o nel prestigio, derivanti dall’organizzazione dei Giochi olimpici invernali.
Decentralizzati
Swiss Olympic ha insomma disegnato a tavolino quella che sarà la propria narrazione in vista di eventuali incontri con il CIO stesso e rispetto all’opinione pubblica nazionale, di suo - come appena indicato - alquanto scettica, perlomeno in passato. E allora, entrando nei dettagli dei sei pilastri, ben raccolti in una nota interna alla quale abbiamo avuto accesso, si trovano spunti interessanti. Si parla di un Paese «predestinato» rispetto al cambio di paradigma imposto dal CIO, e poi di «Giochi decentralizzati in tutta la Svizzera», «in tutte e quattro le parti del Paese» e nelle differenti «regioni linguistiche, collegando e soprattutto conservando le risorse». Perché con un approccio nazionale, si sottolinea, «possiamo fare affidamento sulle infrastrutture esistenti (quello che qui viene definito World Winter Sports Hub Switzerland, ndr) e non dobbiamo costruire nuovi impianti. Questo significa costi molto più bassi e maggiore sostenibilità ecologica». E poi leggiamo ancora di come Swiss Olympic voglia sfruttare le singole «competenze di gestione degli eventi e organizzare il coordinamento dei singoli sport su base regionale. Di conseguenza, per la prima volta, le federazioni nazionali degli sport olimpici invernali sono fortemente coinvolte nel processo di un’eventuale candidatura olimpica fin dall’inizio». Viene citato un ennesimo motto - quanti! -, che fa il verso a quello olimpico («Più veloce, più alto, più forte»): «Più economico, più locale, più cooperativo». La citazione del motto olimpico non è casuale, perché poi si cita il CIO stesso: «Il CIO sta sviluppando nuovi possibili progetti di accoglienza insieme alle parti interessate e sta partecipando maggiormente dal punto di vista finanziario». Fatto non di poco conto.
I modelli
Nella nota di Swiss Olympic emersa lo scorso mese di luglio, si parlava della speranza da parte della Confederazione di trovare l’appoggio vivo dei campioni. Ecco che in questa nuova comunicazione, si trova un elemento in più proprio in questa direzione. Alla domanda, retorica, sui vantaggi nell’ospitare i Giochi, la prima risposta li chiama in causa: i primi a trarne beneficio sarebbero «lo sport svizzero e i suoi atleti di punta, per i quali questi Giochi in casa rappresenterebbero un’esperienza unica nella vita». Dai grandi campioni a ogni singolo cittadino, perché - si nota - «ogni singolo individuo della società» deve vedere «le opportunità di questi nuovi Giochi». Per ora verrà avviato «solo» uno studio di fattibilità, ma l’obiettivo è chiaro: trasformare quella «x» in un numero.
L'intervista: «Pronti a fermarci nel caso il progetto non dovesse convincerci»
Ruth
Wipfli-Steinegger, lei è responsable del comitato direttivo, oltre che
vice-presidente di Swiss Olympic, quali sarebbero i vantaggi di una eventuale
candidatura nazionale, rispetto a quella legata a una sola località o a una
sola regione?
«Ecco,
innanzitutto ci tengo a precisare che stiamo parlando di uno studio di
fattibilità, non di una candidatura. È giusto essere chiari. E questo processo
ci porterà fino all’autunno, al mese di ottobre. Vedremo se questo percorso
farà al caso della Svizzera. Ma vogliamo essere chiari con la popolazione: non
parliamo di candidature e nemmeno di un anno specifico. Non diciamo 2030,
perché l’anno giusto potrebbe anche essere, in fondo a questo studio, il 2034 o
il 2038. È però sempre più chiaro che possiamo farcela, semmai, solo con un
progetto nazionale, che coinvolga tutte le regioni, non un solo luogo o un solo
cantone. In Svizzera abbiamo tante infrastrutture già pronte, e questa quindi
sarebbe l’idea per una eventuale campagna: non avremmo bisogno di costruire
nulla di nuovo, e ciò rappresenterebbe un grande vantaggio. Ma il cambio di
paradigma non riguarda solo noi, solo la Svizzera. È lo stesso CIO, oggi, ad
aver cambiato la prospettiva, e ora accetta anche questa idea decentralizzata.
Una volta si esigeva che i Giochi fossero i più compatti possibili. Oggi non è
più così».
Parliamo
di uno studio di fattibilità, d’accordo, ma poi quali sarebbero i passi
successivi per arrivare a una vera e propria candidatura?
«Il
processo del CIO è effettivamente cambiato. In questo momento stiamo vivendo un
dialogo, da cui si potrebbe arrivare, in un secondo tempo, a una possibile
candidatura. Viene definito continuous dialogue e ha precise regole. Si
tratta di discussioni non vincolanti. Se, al termine di queste discussioni, il
risultato ci dirà che ospitare i Giochi in Svizzera sarebbe possibile, allora
saremo invitati dal CIO a un targeted dialogue, con obiettivi più
precisi e con discussioni più approfondite. Il CIO ha intenzione di annunciare
la località destinata a ospitare i Giochi del 2030 già la prossima estate,
quindi a Parigi nel 2024. Chiaro che se lo studio ci indicherà il 2030 come
l’anno ideale, tutto dovrà subire un’accelerazione».
Parte
della popolazione svizzera è scettica rispetto a ospitare i Giochi. Come
convincerla, nel caso?
«Per
noi sarà fondamentale coinvolgere l’opinione pubblica in questo processo. E
allora già nel corso delle prossime settimane cercheremo di capire le reazioni
della popolazione. Speriamo di riuscire a raccontare nel modo migliore questa
nuova situazione, il nuovo paradigma che muove il CIO e le candidature. Dovremo
spiegare che, secondo questa idea decentralizzata, non ci sarà bisogno di costruire
nuove infrastrutture. Anzi, tra il 2020 e il 2030 la Svizzera ospiterà diversi
Campionati mondiali di sport invernali, dall’hockey al bob sino allo sci
alpino. Questa è la prova, per noi, che alla fine di questo decennio arriveremo
con infrastrutture già moderne. Ma già di suo, il processo di candidatura è
meno caro rispetto al passato, rispetto ai 24 milioni di franchi di Sion.
Davvero, oggi i Giochi si adattano al luogo che li ospita, non più il
contrario. Dovremo essere capaci di far passare questo messaggio».
Detto
così sembra quasi facile. Sappiamo che non lo è per nulla.
«Non lo
è, e su questo siamo trasparenti. Sono molti gli aspetti che dovremo prendere
in considerazione, dalla sicurezza ai trasporti. Ma sia chiaro: se alla fine di
questo studio non saremo convinti, e ciò nonostante la nuova filosofia del CIO,
allora saremo disposti a chiudere il processo, in autunno quindi, senza andare
oltre. Ma dovremo essere convinti sotto ogni aspetto, senza lasciare nulla al
caso. E quando si parla di aspetti finanziari, dovremo trovare il percorso per
un’edizione che sia il più ragionevole e sostenibile possibile».