L’intervista

«I saloni a cui eravamo abituati non hanno più molto futuro»

Sandro Mesquita, CEO del Geneva International Motor Show fa il punto su un settore pesantemente toccato dalla pandemia
©Keystone
Paolo Galli
10.10.2020 06:00

Il salone dell’automobile di Ginevra è stato, e forse è tuttora, la più grande manifestazione svizzera. Un’istituzione, capace di generare un impatto economico valutabile in 200 milioni di franchi. Annullato in extremis nel 2020, salterà un ulteriore giro nel 2021: troppi i rischi. Ne parliamo con il nuovo CEO, Sandro Mesquita, anche per capire cosa voglia dire per una simile organizzazione lavorare senza sbocchi immediati.

Il 2020 è un anno difficile da archiviare : cosa ha rappresentato la cancellazione in extremis dell’edizione in termini finanziari, di immagine e di prospettive?

«In poche parole, potrei dire che questa cancellazione ha cambiato tutto. Dal punto di vista finanziario ha avuto in effetti un impatto fortissimo, anche perché era stata decisa a pochi giorni dall’apertura del salone, quando tutto ormai era pronto. Gli stand erano stati montati, le auto già presenti. Una perdita enorme anche per i nostri clienti. Per noi insomma il 2020 è stato un anno senza entrate. E siccome la nostra è una fondazione non a scopo di lucro, ecco che ci siamo trovati in una situazione delicatissima. Da quando sono entrato in carica, il 1. maggio, il mio obiettivo è stato ed è tuttora proprio quello di ritrovare la stabilità finanziaria per poter organizzare un nuovo salone».

La decisione di annullare già a giugno 2020 l’edizione del 2021 è ancora una conseguenza del vuoto generato dalla cancellazione dell’evento di inizio marzo?

«In vista del 2021, decisiva è stata la valutazione dei rischi. Banalmente, per fare il salone, servono i soldi, e un salone come quello di Ginevra non si prepara all’ultimo minuto. Se pensiamo al salone per come lo si conosceva, quello classico insomma, be’, il lavoro per l’edizione successiva iniziava già a fine giugno dell’anno precedente. In quel momento, appunto a fine giugno scorso, non avevamo le basi finanziarie da cui partire nell’organizzazione dell’edizione del 2021. Questa è una prima ragione. Una seconda va ricercata nelle reazioni dei nostri clienti, a cui ci siamo rivolti per uno scambio di opinioni in merito. Le stesse aziende automobilistiche, la maggior parte, ci hanno spinti a rinunciare al 2021, proponendoci di concentrarci sin d’ora sul 2022. E poi c’è una terza ragione, legata alle incertezze sulla situazione epidemiologica. Per la fondazione era davvero troppo rischioso cercare di ripartire a tutti i costi nel 2021, con il rischio poi di annullare una nuova edizione in corso d’organizzazione. Ecco, un caso simile avrebbe rappresentato un punto di non ritorno».

Ora sembra che a marzo Palexpo organizzerà autonomamente una sorta di salone dell’auto. Ciò non rischia di creare confusione?

«Sì, certo. Gli stessi marchi faticano a capire. Per essere chiari, la società Palexpo - che appartiene all’80% al Cantone - è proprietaria di tutte le infrastrutture. La stessa società organizza alcuni eventi, mentre in altri casi affitta semplicemente i propri spazi, proprio come nel caso del GIMS. Preso atto della nostra decisione, Palexpo ora ha comunque deciso di organizzare un suo evento, un’iniziativa rivolta soprattutto ai giornalisti e destinata a durare 3-4 giorni. Non bisogna credere sia un’evoluzione del GIMS. È tutt’altro, e non ci vede coinvolti. Riteniamo rappresenti una fonte di confusione in un momento già di per sé delicato».

Con la società Palexpo si era anche parlato di una trattativa di vendita del salone vero e proprio. Ora si battono però altre piste.

«Le negoziazioni con Palexpo si sono chiuse, è vero. Non si è mai giunti a un’intesa per la cessione. Ora esploriamo in effetti delle alternative, ma di altro tipo. Ci siamo concentrati infatti nella ricerca di investitori-partner, con i quali lavorare a una soluzione finanziaria che dia al salone un futuro sereno sul lungo periodo».

Lei era stato presentato come un manager specializzato nello sviluppo di progetti, si è trovato però subito nella posizione di trattare la cessione del gruppo. La sua visione è rimasta nel cassetto?

«Conoscevo l’ambiente e questo tipo di dinamiche, ma certo l’ampiezza della crisi in cui mi sono imbattuto era importante. Subito abbiamo dovuto mettere in pratica una serie di misure per poterci garantire una ripartenza. Non ho e non abbiamo avuto una reale scelta sul da farsi. Ci siamo semplicemente messi al lavoro, prendendo le decisioni necessaire. Poi le situazioni evolvono di giorno in giorno. L’importante è concentrare le energie sull’avanzare, continuamente, e anche oggi, nonostante difficoltà che non possiamo nascondere, vedo prospettive interessanti. Per quanto riguarda le mie visioni, be’, ritengo che i saloni dell’automobile a cui ci eravamo abituati, non hanno più un grande avvenire. La COVID in questo senso ha accelerato un processo già in atto, una tendenza che già chiedeva al salone di reinventarsi. E credo che il salone di quest’anno avrebbe comunque già mostrato in parte questo cambiamento, che sarebbe passato da esperienze interattive e da una visione dell’automobile a tutto tondo, inserita nel suo attuale contesto. Ora si parla sempre più di saloni ibridi, che mischiano esperienze vissute in prima persona ad altre digitali, a distanza. Per me ciò che conta è che il salone dell’auto rimanga coerente rispetto al suo DNA: l’auto insomma deve rimanere al centro di tutto, ma deve essere considerata nel suo ecosistema, integrandola rispetto ad aspetti di tipo ambientale, sociale e tecnologico. Per il resto, non sono certo che tali eventi potranno conservare la taglia degli anni passati, saranno forse più piccoli, più “dedicati”. Ma tutto poi passerà anche dal confronto con i nostri clienti, quindi i costruttori, e con i loro bisogni; sarà quindi con loro che dovremo riflettere sulla base delle nuove idee su cui stiamo lavorando».

Il senso di vedere dal vivo un’auto, il piacere a esso legato: è una cosa che si può spiegare? E che davvero si può sostituire o ricreare in altro modo?

«È un grande dibattito in corso. Se prendiamo l’esempio di Tesla, be’, parliamo di una casa che vende i propri veicoli principalmente attraverso internet. Continuo però a percepire l’acquisto di un’auto come un investimento importante, che va spesso al di là della semplice scelta di un mezzo utile a spostarsi da un punto A a un punto B. C’è un aspetto emozionale che rimane centrale di fronte alla propria auto. Vederla, toccarla, sognarla: penso che un momento di esperienza vissuta sia ancora importante, quindi, anche in un salone. Non riesco a immaginarmi un salone completamente digitale. Il legame emozionale esiste, e provoca richieste a cui dobbiamo continuare a rispondere».

Tornando ai nuovi possibili investitori, come convincerli dopo due edizioni cancellate e con un orizzonte tanto lontano, oltre che con i nuovi rischi del caso?

«È in effetti una problematica reale, dopo due annullamenti. Ma c’è un’ulteriore difficoltà, legata allo statuto della fondazione che gestisce il GIMS, una fondazione appunto non a scopo di lucro, quindi poco attrattiva rispetto a investitori interessati solo all’aspetto dei possibili profitti. In questi mesi ho incontrato diversi tipi di investitori, rendendomi conto in fretta di come quelli concentrati principalmente al profitto non fossero interessati a noi, e al contempo non fossero interessanti per noi. Ci siamo allora orientati su investitori interessati a essere nostri partner reali, a essere parte del salone. Oggi, concretamente, stiamo discutendo con due diversi gruppi di possibili investitori-partner, e le discussioni in effetti non girano solo attorno a investimenti e futuri ricavi, ai soldi quindi, bensì più che altro attorno alle idee su cui lavorare per gli anni a venire. Entro fine anno dovremo trovare una soluzione; è questo il nostro termine tassativo».

Parla di profitti. L’impatto calcolato del salone sulla regione è di 200 milioni di franchi. Ebbene, ciò non si traduce ora in pressione politica sulle vostre spalle?

«È una pressione che avvertiamo, sì. Il miglior esempio di tale pressione politica è d’altronde l’evento che Palexpo intende organizzare il prossimo marzo. Appunto, un’iniziativa molto politica. Ora, pur comprendendo tali pressioni, l’ideale sarebbe che si trasformassero in un autentico appoggio, in una spinta ad avanzare tra le difficoltà comuni. Per ora dobbiamo semplicemente conviverci. Il dossier è particolarmente politico, ma noi dobbiamo proseguire sulla nostra strada, ragionando da imprenditori, anche perché urgono soluzioni imprenditoriali per far sì che il salone possa vivere anche al di là del 2022, affinché possa avere un futuro».