Salute

Il «burnout»: un circolo vizioso che impedisce di agire?

Cerchiamo di capire il fenomeno dell'esaurimento professionale e il suo impatto emotivo ed economico
© CdT/Chiara Zocchetti
Sara Fantoni
09.11.2024 17:15

Burnout: un fenomeno insidioso che non risparmia i cittadini svizzeri e la cui traduzione francese in épuisement professionnel – ovvero «esaurimento professionale» – ne rende esplicita la natura. Infatti, secondo l’ultima indagine della fondazione Promozione Salute Svizzera risalente al 2022, il 30,3% dei lavoratori dichiara di sentirsi emotivamente esaurito.

Cerchiamo quindi di capire più a fondo questo disturbo che ormai, purtroppo, è spesso parte integrante del mondo professionale con un impatto – anche economico in quanto si parla di 6,5 miliardi di franchi all’anno – non indifferente.

Esaurimento professionale: fasi e caratteristiche

A impiegare per primo questo termine, già negli anni ’70, è stato lo psicologo statunitense di origine tedesca Herbert J. Freudenberger. Lo studio dei sintomi e varie ricerche approfondite su questo fenomeno hanno portato a definire il burnout come un processo che segue varie fasi. Quali? La prima corrisponde ad un momento di attività intensa ed entusiasta che spinge le persone a considerarsi indispensabili nel loro lavoro. Segue poi una fase di «stagnazione» e profonda delusione rispetto alle aspettative non incontrate nella sfera professionale. Successivamente, in quella che viene definita come la terza fase, emerge una vera e propria frustrazione che potrebbe portare il soggetto ad avere atteggiamenti aggressivi verso sé stesso o gli altri. Se portata all’estremo, tale situazione sfocia nell’apatia che contraddistingue la quarta fase, alla quale si accompagnano spesso depressione, spossatezza estrema e perdita di ogni prospettiva.

Ma come rendersi conto di quando la determinazione si trasforma in esaurimento?

La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) identifica i sintomi seguenti associati alle fasi del burnout. Il fattore principale è lo «sfinimento emotivo, fisico e mentale», ma si sviluppa anche «un atteggiamento di indifferenza o distanza nei confronti del lavoro» e un «calo del rendimento personale» a cui si unisce un sentimento di inadeguatezza e mancanza di fiducia nelle proprie risorse, nonostante l’impegno dimostrato.

Un «disturbo lavoro-correlato»

Sulla sua introduzione nell’elenco delle malattie si è discusso a fondo negli anni passati, raggiungendo l’apice nel 2019, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lo ha definito come un fattore che impatta la salute, senza però considerarlo una vera e propria malattia. Nel gennaio 2022, nella classificazione internazionale delle malattie ICD-11, il burnout è stato inoltre indicato come un problema «in relazione al lavoro e alla disoccupazione». Cosa significa? Significa che non può essere coperto dall’assicurazione infortuni in quanto si tratta di un «disturbo lavoro-correlato», ovvero di una condizione che colpisce i lavoratori, senza però poter essere attribuito esclusivamente alla professione, con cause che possono essere molteplici.

Molti in questo senso sono gli scettici che sostengono che si tratti «solo» di stress e che le reazioni, come l’abbandono del lavoro – che corrisponde secondo Niklas Baer, psicologo presso Workmed, alla metà dei casi – siano perlopiù eccessive.

Non è solo stress! Una problematica sociale?

Trattandosi di un fenomeno dalle origini poco chiare, che probabilmente hanno a che vedere con il cambiamento delle condizioni lavorative, capire come e su chi agire non è evidente. In Svizzera in particolare, a detta di Claudia Kraaz che oggi propone corsi di gestione dello stress, «il fallimento non è tollerato». Al contrario di altri Paesi dove «sbagliare permette di migliorarsi», secondo Kraaz la nostra cultura del lavoro rende quasi impossibile il distacco completo dai propri compiti, che devono essere eseguiti a ritmi elevati e senza errore.

Non si parla dunque di «semplice stress», ma di una condizione molto più profonda che comprende anche, ma non solo, situazioni stressanti, da cui spesso scaturisce divenendo poi un disturbo più ampio che tocca tanto la sfera emotiva quanto quella fisica. Secondo la psichiatra Barbara Hochstrasser, questa forma di esaurimento «molto profonda» è reale e deve essere curata, non tramite una cura farmacologica, ma attraverso trattamenti specifici nelle cliniche specializzate.

«È tempo di agire»

Agire, tuttavia, nella realtà quotidiana personale spesso si rivela complicato. Trascurare il deteriorarsi della propria condizione è infatti un elemento che spesso tocca chi è in uno stato di burnout, proprio per il legame che esiste con impegni professionali da cui non ci si sente in grado di svincolarsi.

A questo si aggiunge la situazione economica personale. Regina Jensen di Promozione salute Svizzera, coautrice del Job-Stress-Index – uno studio sul tasso di stress da lavoro e sulla salute e produttività della popolazione attiva i cui dati più recenti risalgono al 2022 – spiega che non è unicamente il settore nel quale si è impiegati il responsabile dei burnout. Spesso, ad essere sottoposti a un rischio maggiore sono gli impiegati con un salario più basso in quanto avendo «meno risorse rispetto ai e alle manager – spiega Jensens – hanno maggiori difficoltà a delegare i propri compiti e quindi a riequilibrare il proprio carico di lavoro».

Per di più, il Job-Stress-Index evidenzia come la gastronomia, la sanità e il settore sociale siano gli ambiti più inclini a situazioni di stress che potrebbero sfociare in burnout, mentre altri studi segnalano l’elevata percentuale di casi in ambito educativo. Al contrario, un rapporto pubblicato nel giugno 2023 da due ricercatrici dell’Università di Losanna rivela – con loro stessa sorpresa – che il settore più colpito risulterebbe essere quello delle banche e delle assicurazioni (22,9%). Isabella Bès, coautrice del rapporto, attribuisce questa discrepanza nei risultati alla rappresentatività degli studi, che in genere provengono dai settori interessati. Comunque sia, queste differenze dimostrano sia la varietà dei settori coinvolti da questo disturbo, sia la difficoltà nell’ottenere informazioni certe su questa realtà. Ciononostante, intervistate, le due studiose di Losanna concordano su un punto: «questa classifica conferma che è tempo di agire».