Bruxelles

Il Consiglio europeo sceglie i nuovi vertici, le destre restano fuori

L’accordo tra le famiglie politiche più importanti esclude ogni intesa con le componenti più conservatrici dell'Europarlamento
La tedesca Ursula von der Leyen cerca la conferma alla guida della Commissione europea. © OLIVIER HOSLET
Dario Campione
27.06.2024 06:00

Il titolo scelto l’altroieri dal quotidiano spagnolo El País riassume probabilmente meglio di molte altre analisi quanto accaduto alla vigilia del Consiglio europeo chiamato (oggi e domani) a indicare i nuovi vertici dell’Unione: «Le tre principali famiglie politiche si accordano sulla distribuzione degli incarichi in un negoziato senza gli ultras».

Lo scossone seguito alle elezioni del 9 giugno, alla fine, è stato riassorbito abbastanza in fretta. Anche se con numeri in parte diversi, Popolari (PPE), Socialisti (PSE) e Liberali (RE) hanno mantenuto il 55% dei seggi del Parlamento di Strasburgo (399 su 720, ndr) e non hanno quindi aperto ad alcun cambio di maggioranza.

In particolare, hanno bloccato sul nascere ogni possibile coinvolgimento del gruppo conservatore guidato dalla presidente del consiglio italiano, Giorgia Meloni, la quale ieri alla Camera dei Deputati, visibilmente infastidita, si è scagliata contro la «logica da caminetto» che ha escluso Roma da ogni trattativa. «Alcuni hanno sostenuto che non si dovesse parlare con determinate forze politiche - ha detto Meloni - ma le istituzioni UE sono state pensate in una logica neutrale. Gli incarichi apicali sono stati affidati tenendo in considerazione i gruppi maggiori, indipendentemente da logiche di maggioranza e opposizione. Oggi si sceglie di aprire uno scenario nuovo e la logica del consenso viene scavalcata da quella dei caminetti, dove una parte decide per tutti. Una conventio ad excludendum che, a nome del governo italiano, ho contestato e non intendo condividere».

Nonostante le rimostranze di Meloni, la rosa dei candidati che oggi e domani dovrà essere approvata a maggioranza dal Consiglio europeo (ovvero, dai capi di Stato e di governo dei 27 Paesi dell’UE) resta in ogni caso quella ampiamente prevista e annunciata da settimane: la tedesca Ursula von der Leyen (PPE) alla guida della Commissione; l’ex primo ministro portoghese António Costa (PSE) a capo del Consiglio europeo; e il primo ministro estone Kaja Kallas (RE) Alta rappresentante per la politica estera e la sicurezza.

I sei mediatori

L’accelerazione impressa martedì scorso all’accordo è scaturita dalla decisione del PPE di rinunciare alla richiesta di sostituire Costa a metà legislatura. I negoziatori dell’intesa sono stati il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il capo del governo spagnolo Pedro Sánchez a nome del PSE; il greco Kyriakos Mitsotakis e il polacco Donald Tusk per il PPE; il presidente francese Emmanuel Macron e il premier dimissionario olandese Mark Rutte - nel frattempo designato alla carica di segretario generale della NATO - per i liberali. L’accordo non prevede esplicitamente un nome per la presidenza del Parlamento europeo, carica cui però è destinata, almeno per due anni e mezzo, la popolare maltese Roberta Metsola, la quale subentrerà a sé stessa.

Per garantire continuità alla guida dell’esecutivo dell’UE, Ursula von der Leyen dovrà comunque tentare di allargare la propria maggioranza. I Verdi, che contano 53 eurodeputati, si sono offerti come «freno di emergenza all’estrema destra», chiedendo in cambio alla stessa Ursula von der Leyen di non dimenticare l’agenda ecologista e il Green Deal. L’ambiente sarà sicuramente uno dei grandi tiri alla fune della prossima legislatura, anche perché una parte del PPE, in sintonia con le componenti più conservatrici dell’Europarlamento, vorrebbe rallentare l’applicazione delle misure ambientaliste, a partire dall’obbligo di interrompere la produzione di automobili non elettriche.