Il creatore del «Google russo» contro il Cremlino: «Una barbara invasione»
Ne avevamo parlato pochi mesi dopo l'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina. Parte integrante della quotidianità russa, dai trasporti alla pubblicità, passando per l'e-commerce, Yandex — ribattezzato «il Google russo» — ha subito profondi cambiamenti a causa della guerra. Sposando la narrazione del Cremlino, ovviamente. La più grande tech company della Russia, con sede a Mosca, non ha potuto evitare di piegarsi alla visione dello zar. Dalle perifrasi (come l'utilizzatissima «operazione speciale») alla vera e propria censura: numerosi i metodi utilizzati sul web russo per "addormentare" la popolazione ed evitare domande sulla brutale invasione. Una presa di posizione che aveva esposto il fianco di Yandex (e, soprattutto, quello dei suoi dirigenti) alle pesanti sanzioni occidentali. Tanto che alcuni, in protesta, se ne erano andati. È, questo, il caso di Arkady Volozh, cofondatore di Yandex, che a inizio giugno 2022 era finito nella lista dei cattivi di Bruxelles. Nel mirino per aver sostenuto «materialmente o finanziariamente» la guerra contro l'Ucraina, Volozh aveva deciso di dimettersi dalla carica di CEO di Yandex, presentando nel frattempo ricorso contro la sanzione europea.
A parte questo, sin qui, Volozh se ne era rimasto tranquillo. Ha stupito, dunque, la dichiarazione insolitamente schietta contro la guerra rilasciata in questi giorni: «L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia? Barbarie: io sono categoricamente contrario».
Fuggire
Giovedì, Volozh ha dunque condannato la «barbara» guerra voluta dal Cremlino. «Sono categoricamente contrario. Sono inorridito per la sorte delle persone in Ucraina - molte delle quali miei amici e parenti personali - le cui case vengono bombardate ogni giorno». Nella dichiarazione, il 59.enne — che oggi possiede comunque l'8,5% delle azioni di Yandex, pari a 500 milioni di dollari — ha affermato di aver aiutato, in questi mesi, «ingegneri russi di talento a lasciare il Paese per iniziare una nuova vita. Per questo sono stato in silenzio durante questo lungo processo».
Parole sincere? O un tentativo di uscire dalla lista dei sanzionati, un po' come concesso al "pentito" Oleg Tinkov? Alcuni sono perplessi. «Questa dichiarazione può essere considerata una "confessione basata sui fatti"? Certo che no», ha scritto Leonid Volkov, uno stretto alleato di Navalny, sull'applicazione di messaggistica Telegram. Che, però, concede: «Ma in questo caso è particolarmente importante sostenere il primo passo, il più difficile, nella giusta direzione».
Una rarità
Dagli analisti la mossa di Volozh è stata definita un «raro attacco» da parte di un uomo d'affari russo. In realtà, il malcontento fra l'élite russa pare essere abbastanza diffuso. Basti pensare alla conversazione telefonica registrata e diffusa da Novaya Gazeta nel mese di marzo, dove alcuni (presunti) oligarchi sono colti sul fatto mentre maledicono Putin e la sua guerra, responsabile di aver «seppellito la Russia». Ma, questa, era una conversazione privata. E in pubblico ben pochi osano esprimersi. Solo una manciata di imprenditori russi ha voluto sin qui criticare con parole chiare la guerra. Tinkov è uno di questi. E ora anche Volozh.