Il commento

Il dilemma di Stan Wawrinka, campione nell'ombra

Dopo la sconfitta al primo turno dello US Open il vodese si interroga sul suo futuro – L'età che avanza non gli ha permesso di brillare di luce propria dopo il ritiro di Federer
Flavio Viglezio
28.08.2024 21:15

Sembrano passati cent’anni. I trionfi di Roger Federer e i tre tornei del Grande Slam conquistati da Stan Wawrinka assumono contorni sempre più sfuocati. A New York – sede dell’ultimo Major stagionale – siamo solo al secondo turno, ma i tre rossocrociati in lizza hanno già riposto i sogni di gloria in valigia. L’ultimo a salutare lo US Open è stato proprio Wawrinka, che nel 2016 nella Grande Mela aveva trionfato battendo in finale e in quattro set Novak Djokovic. Il vodese oggi è l’ombra del giocatore capace di volare fin lassù, dove solo i magnifici tre (Roger, Nole e Rafa) sembravano potessero arrivare. Non è una colpa. Ha 39 anni – è il giocatore più vecchio sul circuito – porta sulle spalle il peso di 21 stagioni di professionismo e anche, purtroppo, qualche infortunio piuttosto serio. Non ne vuole però sapere di mollare, anche se dopo la sconfitta con Mattia Bellucci, forse per la prima volta, ha espresso qualche dubbio sul prosieguo della sua carriera. Stan afferma con forza di sentirsi bene, di avvertire buone sensazioni in allenamento e l’affetto con cui viene accolto su ogni campo del mondo lo riempie di gioia. Già, però non vince più: in stagione ha ottenuto solo cinque successi, una miseria per chi è stato abituato a guardare la maggior parte dei suoi rivali dall’alto in basso.

Davanti a sé Wawrinka ha un dilemma amletico: continuare a divertirsi così, senza troppe pretese, oppure dire basta per non rendere troppo tristi le sue ultime apparizioni. Sì, è un bel dilemma: solo lui lo può analizzare e poi risolvere. Non è il primo e non sarà l’ultimo atleta di altissimo livello che fatica maledettamente a fermarsi. No, non deve essere semplice dire addio alle luci della ribalta, agli applausi della gente, a quelle emozioni uniche che solo le vittorie sanno regalare. Bisogna avere coraggio per affrontare le incognite di una nuova vita, completamente diversa da quella tutta lustrini e paillettes. Prima o poi il passo lo dovrà compiere, anche se può assomigliare a un salto nel vuoto, ma forse per Wawrinka c’è dell’altro.

Non fosse stato per la presenza di sua maestà Roger Federer – e per una carriera vissuta quasi sempre all’ombra delle imprese del basilese – Wawrinka sarebbe una leggenda, in Svizzera. Ecco, sembra quasi che dopo il ritiro del Maestro nel 2022 il vodese abbia voluto per una volta brillare di luce propria. Senza la presenza magica, ma al tempo stesso ingombrante, di un genio che ha scritto la storia del tennis: il grande pubblico ricorda distrattamente che fu proprio Wawrinka a trascinare Federer nella cavalcata che portò all’oro olimpico nel doppio ai Giochi di Pechino 2008. E che senza di lui la Svizzera non avrebbe probabilmente mai conquistato la Coppa Davis. Ma l’inesorabile scorrere del tempo non ha aiutato Wawrinka: l’addio di Roger è coinciso con il suo fisiologico declino. E così il declino sta affliggendo tutto il tennis elvetico. A New York con Wawrinka nel tabellone maschile c’era solo Dominic Stricker: a 22 anni il bernese non è ancora riuscito ad effettuare il salto di qualità. E forse mai ci riuscirà. Tra le donne invece la maternità di Belinda Bencic ha creato un panorama altrettanto desolante. E pensare che dopo più di 20 anni di «Fedrinka» in molti scommettevano sull’esplosione di un buon numero di giovani talenti rossocrociati, attratti dalla racchetta grazie alle gesta di questi due campionissimi. Tutte fandonie. La Svizzera ha avuto l’immenso privilegio di approfittare per lunghissimo tempo della classe di due stelle fuori dal comune. Di un periodo di gloria che, probabilmente, non tornerà mai più. Non siamo da soli. Gli Stati Uniti attendono la vittoria in uno Slam dal 2003, quando André Agassi e Andy Roddick vinsero rispettivamente l’Australian e lo US Open. La Francia aspetta ancora il successore di Yannick Noah, capace di imporsi al Roland Garros nel 1983. Prima di Jannik Sinner, l’Italia pensava ancora al trionfo di Adriano Panatta a Parigi nel 1976. Preistoria del tennis. Sì, siamo decisamente stati più che fortunati: a Wawrinka non possiamo allora che dire grazie. La sua decisione, qualunque essa sia, va rispettata.