Guerra in Europa

Il Foreign Office: «Trump non cederà alle pretese di Mosca»

Secondo il ministro degli esteri britannico alla Russia non sarà dato alcun vantaggio - Intanto l’avvertimento di Vladimir Putin sulla possibile escalation nucleare del conflitto non ha impedito all’Ucraina di muovere l’armamento balistico ricevuto da Londra e da Washington
La guerra in Ucraina ha superato i mille giorni. La fine del conflitto non sembra purtroppo essere vicina. ©Diego Herrera Carcedo
Dario Campione
20.11.2024 21:30

L’avvertimento di Vladimir Putin non cambia lo scenario della guerra. La «nuova», minacciosissima dottrina nucleare del Cremlino non ha avuto alcun effetto deterrente sui Paesi occidentali schierati a sostegno di Kiev al punto che oggi, per la prima volta dall’inizio del conflitto, l’Ucraina ha lanciato in territorio russo un numero non precisato di missili Storm Shadow di fabbricazione britannica. La notizia è stata data dal Guardian, secondo cui «la decisione di approvare gli attacchi è stata presa in risposta al dispiegamento di oltre 10 mila soldati nordcoreani» nella regione di Kursk.

Era stato lo stesso quotidiano londinese, alcuni giorni fa, a rivelare il via libera del Regno Unito all’utilizzo dei missili Storm Shadow, dopo che il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, aveva deciso di fare lo stesso con gli Atacms di fabbricazione americana.

L’attacco è arrivato quindi il giorno dopo che l’Ucraina aveva armato altri missili forniti dagli Stati Uniti per contrastare l’ammassamento delle truppe di Pyongyang nella regione di Bryansk e per distruggere alcune infrastrutture (lo stesso Cremlino ha ammesso il lancio di sei missili contro la città di Karachev, con frammenti di uno che avrebbero causato «un’esplosione significativa»).

Interpellato sempre dai cronisti del Guardian, il portavoce del primo ministro britannico Keir Starmer non ha confermato il lancio di missili Storm Shadow contro obiettivi all’interno dei confini della Federazione Russa. Tuttavia, intervenendo oggi alla Camera dei Comuni, il ministro della Difesa John Healey ha detto che «nelle ultime settimane ci sono stati cambiamenti significativi nell’azione dei russi contro l’Ucraina. Noi, come nazione e come Governo, stiamo raddoppiando il nostro sostegno a Kiev e siamo determinati a fare di più». Healey ha espressamente accusato Mosca di una «escalation degli attacchi alle città e ai bambini ucraini, e degli attacchi al sistema energetico di Kiev» e ha evidenziato la minaccia legata al «dispiegamento di 10.000 soldati nordcoreani in posizioni di combattimento in prima linea», aggiungendo di essere pronto pure a discutere con l’opposizione conservatrice le modalità del sostegno del Regno Unito all’Ucraina nel corso del 2025».

Risposta diretta

Difficile immaginare una risposta più diretta e inequivoca alle parole di Vladimir Putin il quale, com’è noto, aveva avvertito martedì scorso che l’uso di missili di fabbricazione statunitense e britannica all’interno dei confini della Russia sarebbe sfociato in un conflitto diretto con Mosca da parte della NATO.

Risposta che è giunta a Mosca in forme simili anche da altre capitali europee. «La modifica delle condizioni, da parte della Russia, di un eventuale ricorso all’arma nucleare fa parte della retorica e i Paesi che sostengono l’Ucraina non devono lasciarsi intimidire - ha detto ad esempio il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot intervistato dalla piattaforma tv CNews - una retorica nucleare che Vladimir Putin agita da oltre due anni».

Vera o esageratamente retorica che fosse, la minaccia russa ha comunque alzato (e molto) il livello di attenzione e prodotto una decisione clamorosa: la chiusura delle ambasciate a Kiev di Stati Uniti, Spagna, Italia, Irlanda e Grecia. I primi a serrare i cancelli sono stati gli americani che, si è saputo dopo, hanno basato la propria mossa su «informazioni specifiche» dell’intelligence. Nel rapporto del controspionaggio di Washington si sarebbe parlato di «un potenziale attacco aereo significativo attuato con droni e missili sulla capitale ucraina».

L’intervista

Il bluff di Putin, per usare l’argomentazione del titolare del Quai d’Orsay, potrebbe essere «visto» anche dall’uomo che, secondo molti, sarebbe al contrario pronto a trovare una qualsivoglia soluzione pur di chiudere la guerra al più presto: Donald Trump. A dirlo è il ministro degli Esteri britannico David Lammy in un’intervista pubblicata dalla storica rivista liberal inglese New Statesman.

Il 27 settembre scorso, insieme con il premier Keir Starmer, l’ambasciatrice britannica a Washington Karen Pierce e l’allora capo di gabinetto di Downing Street Sue Gray, Lammy ha incontrato il tycoon in una cena organizzata al 57.mo piano della Trump Tower, a New York.

«Sono un politico da 25 anni e capisco le diverse filosofie in gioco - ha detto Lammy al direttore del sito di New Statesman, George Eaton - c’è un solido fondamento negli amici del Partito Repubblicano che conosco da anni, e Donald Trump ha una certa continuità con questa posizione che è “la pace attraverso la forza”. Quello che so di Donald Trump è che non gli piacciono i perdenti e non vuole perdere; vuole ottenere l’accordo giusto per il popolo americano. E sa che l’accordo giusto per il popolo americano è la pace in Europa. Questo significa una pace sostenibile, non la Russia che raggiunge i suoi obiettivi e torna a chiederne di più negli anni a venire».

Nessun dubbio, quindi, per il capo del Foreign Office, su cosa farà il presidente una volta tornato alla Casa Bianca. «Dobbiamo fare una distinzione in questo momento tra l’oscurità delle autocrazie di Russia, Iran e Corea del Nord e un’agenda che rompa l’ordine basato sulle regole riportandoci a “il più forte ha ragione”, e un’agenda progressista che si opponga a questo. Credo che il Regno Unito, gli Stati Uniti e i principali partner continueranno a lottare contro tutto ciò. È un punto di svolta per la sovranità: vogliamo vivere in un mondo in cui i grandi Paesi possono invadere i Paesi più piccoli?».