L'anniversario

Il Grande Lebowski siamo noi

I 25 anni del film di culto dei fratelli Coen e il motivo per cui non ne esiste un seguito
© Polygram Filmed Entertainment, Working Title Films, Universal Studios Home Video
Stefano Olivari
06.03.2023 20:00

Con il metro del 2023 Il Grande Lebowski è uno di quei film che sembrano studiati a tavolino per diventare di culto: registi amati dalla critica come i fratelli Coen, attori mainstream ma non troppo come Jeff Bridges e Julianne Moore, una trama sconclusionata in cui ognuno può trovare qualcosa in cui identificarsi, uno scarso successo iniziale 25 anni fa quando uscì (il 6 marzo 1998) e che con il tempo si è trasformato in quasi ossessione per milioni di persone. Quale è dunque il segreto del grande Lebowski?

Dudeismo

Siamo in presenza di un personaggio per il quale il termine ‘culto’ non è abusato, visto che negli Stati Uniti è nato nel 2005 un movimento quasi religioso, il Dudeismo, adatto a persone la cui filosofia di vita è simile a quella di Jeffrey Lebowski. Magari non tutti sono disoccupati californiani che passano le giornate fra bowling, amici e marijuana, ma in tanti apprezzano il fascino del lasciarsi vivere senza problemi, finendo in mezzo a situazioni paradossali ma non più della vita stessa se presa sul serio. Il Dudeismo, da ‘The Dude’ (nella versione italiana del film ‘Drugo’, il soprannome di Lebowski) e dal nome ufficiale di The Church of the Latter-Day, si propone di diffondere i valori lebowskiani e, un po’ per scherzo e un po’ no, ha addirittura suoi preti con tanto di ordinazione. I riferimenti sono comunque ben più alti di quelli del film: Buddha, Epicuro, addirittura un Gesù decristianizzato. In concreto tutto si traduce nel ‘Vivi e lascia vivere’ della nonna o nel Take it easy californiano, ma questo non toglie che nel mondo di oggi il Dudeismo sia un’ideologia quasi eversiva. Citando dal sito ufficiale: «La vita è corta e complicata e nessuno sa cosa farci. Così non fare niente. Prendila con calma. Smettila di preoccuparti così tanto di andare in finale. Rilassati con qualche amico e qualche birra, fai del tuo meglio per rimanere te stesso».

Dream Team

La forza del personaggio ha fatto rivalutare anche un film a prima vista sconclusionato, un sempre difficile misto di commedia e di noir, nelle intenzioni con citazioni di Chandler, genere che funziona ai festival ma un po’ meno nelle sale e molto meno in televisione. Invece del Grande Lebowski intere generazioni ormai conoscono le battute a memoria, non soltanto quelle del protagonista (attore Jeff Bridges), ma anche quelle degli amici del bowling Walter (John Goodman) e Donny (Steve Buscemi) e di tutti i personaggi che trova sulla strada: dall’omonimo, ma presunto ricco, Jeffrey Lebowski (che poi sarebbe Il grande Lebowski propriamente detto, anche se nella memoria è rimasto l’altro), a sua figlia Maude (Julianne Moore) e sua moglie Bunny (Tara Reid), senza dimenticare l’assistente (Philip Seymour Hoffman), un produttore porno (Ben Gazzara) e altri minori. Con gli occhi di oggi quasi un Dream Team, come quelli del tempo un cast coerente con il mondo dei Coen, reduci dal grande successo di Fargo.

Anti-Ottanta

La lettura politica del Grande Lebowski non può essere disgiunta dalla sua collocazione temporale. Il film è del 1998, in piena era Clinton ma con la disillusione, per non parlare dell’illusione, già alle spalle, ma è ambientato nella Los Angeles del 1991, quindi in una sorta di prosecuzione del reaganismo anni Ottanta, con presidente Bush padre. Lebowski è la reazione a quel decennio, al punto che riprende in chiave grottesca molti temi degli anni Settanta come il reducismo (dal Vietnam e per un’altra generazione dalla Corea), la cultura hippie e il desiderio di fuga, adeguandoli però ai tempi ancora meravigliosamente pre Internet. Il protagonista non vuole cambiare il mondo e nemmeno sé stesso, ma soltanto continuare la sua vita appartata e senza pretese, guadagnando poco e spendendo poco: una delle più feroci critiche agli anni Ottanta fatta da un film, per lo meno da un film di successo. Soltanto un tappeto rovinato può scuoterci.

Sequel? Mai

La colonna sonora è decisiva, i Coen hanno volto trasmettere quel clima da fine anni Sessanta-inizio Settanta proprio perché irripetibile: da Bob Dylan ai Creedence Clearwater Revival, da Santana agli Eagles, il concetto è chiaro. Un’epoca irripetibile, quindi, così come il suo superamento: per questo Il Grande Lebowski, nonostante le tante pressioni in questo senso ed un pubblico che premierebbe qualsiasi operazione nostalgia, non ha mai avuto un seguito né mai lo avrà. L’unico che ha provato a cavalcare questa onda è stato John Turturro, che ha riproposto il personaggio di Jesus Quintana, ma in generale tutti sono rimasti concordi nel far rimanere di culto un film di culto. E le varie rimpatriate ci sono state soltanto per lanciare sue nuove versioni, anche se ciclicamente si parla addirittura di una serie televisiva. Magari un Lebowski di oggi la guarderebbe anche, troppa fatica fare la strada per andare al bowling.

Il vero Lebowski

Come tutti i grandi personaggi, il Grande Lebowski è ispirato a una persona, il produttore indipendente (ma davvero) Jeff Dowd, ex attivista contro la guerra in Vietnam e soprattutto amico dei Coen, amante degli alcolici (nel film il White Russian) e della libertà. Il successo a scoppio ritardato del Grande Lebowski ha travolto anche lui, che più volte è stato invitato a festival e serate a tema proprio per andare alle fonti di The Dude, che del resto parla e si muove esattamente come lui nonostante Bridges avesse ricevuto dai Coen soltanto qualche indicazione di massima. Non è sfuggito a Dowd il fatto che il Lebowski del 1991 è senza dubbio un elettore del partito democratico, ammesso di trovare la voglia di votare, mentre quello un suo discendente di oggi sarebbe incasellato come maschio bianco egoista nel difendere il suo piccolo benessere. Difficile nella Hollywood di oggi fare un del genere senza dare spazio a minoranze, temi sociali e retorica annessa, quanto di più lontano dal mondo di Lebowski. Che proprio per questo piace a tutti, convinti che esista un Lebowski di destra e uno di sinistra.