Il personaggio

«Il Marocco? Non è solo sport: è fierezza, identità, futuro»

A tu per tu con Tariq Chihab, giocatore marocchino con il maggior numero di presenze in Svizzera
Tariq Chihab, oggi 47 anni, ai tempi del Sion nel marzo del 2010. © KEYSTONE
Massimo Solari
13.12.2022 21:44

Non è salito su uno dei 30 aerei speciali organizzati dalla Royal Air Maroc. Ma, come tanti connazionali, sta vibrando per le gesta dei Leoni dell’Atlante in Qatar. Tariq Chihab è il giocatore marocchino con più presenze nella storia del massimo campionato svizzero. Lo abbiamo raggiunto a Mohammedia a poche ore dalla semifinale con la Francia.

«I miei figli sono a Doha, avevamo pianificato di seguire insieme tutte le partite della Svizzera e del Marocco. Le mie due nazioni. Purtroppo degli impegni di lavoro mi hanno costretto a restare in patria». Tariq Chihab risponde al telefono con una ventina di minuti di ritardo. Il ruolo di direttore sportivo allo SCC Mohammedia lo assorbe. Nonostante il massimo campionato locale sia fermo. Nonostante per le vie della città e del Paese intero si parli solo della selezione di Walid Regragui. «Il Mondiale - racconta - è diventato un rito collettivo. Bambini, uomini, donne, anziani: tutti seguono le partite del Marocco. E a ogni vittoria, a ogni exploit, quello che accade per le strade, in bar e ristoranti, è indescrivibile. Oramai stiamo vivendo una festa perenne. Come una grande famiglia».

«Il diritto di sognare»

Chihab ha disputato oltre 200 partite in Super League, con Zurigo, Grasshopper, Neuchâtel Xamax e Sion. Di più: in una decina di occasioni ha pure vestito la maglia della nazionale marocchina. «Hakimi e compagni stanno realizzando qualcosa di inimmaginabile. O meglio, d’inimmaginabile alla vigilia del torneo». In Qatar, la cavalcata dei Leoni dell’Atlante ha in effetti suggerito altro. «Da un lato - conferma Chihab - è stata scritta la storia: prima formazione africana a raggiungere le semifinali. Dall’altro, come affermato a più riprese dal ct Regragui, non c’è nulla di regalato nel percorso del Marocco. No, i meriti sono enormi. Parliamo della squadra più solida della competizione, inserita in un girone molto difficile e in grado di fermare i vice-campioni del mondo in carica, prima di battere Belgio, Canada, Spagna e Portogallo. Il caso non c’entra». E, come affermato ieri dallo stesso allenatore, guai ad accontentarsi. «Ora vogliamo vincere la Coppa del Mondo» il messaggio forte, fortissimo, lanciato a ridosso della semifinale con la Francia. «Abbiamo conquistato il diritto di sognare e credere in questo obiettivo» gli fa eco Chihab. Per poi porre l’accento sul dodicesimo uomo a disposizione di Walid Regragui: «Nel 2004 ho avuto la fortuna di vivere la finale della Coppa d’Africa. E, dunque, di comprendere cosa significa essere sostenuti da tutta la nazione. A questo giro, addirittura, vi sono un continente e l’intera comunità araba a spingere il Marocco. Non credo possa esistere motivazione maggiore. Perché, in fondo, chi va in campo lo fa anche per tutte queste persone».

Investimenti e competenze

Ad alimentare gli spiriti panarabi e africani potrebbe essere altresì un sentimento di rivalsa. Verso chi, per decenni, ha dominato la scena. Permettendosi persino di guardare con sufficienza a selezioni come il Marocco. «Non parlerei di vendetta» premette Chihab: «Di certo prevale l’orgoglio per aver in qualche modo sovvertito l’opinione comune. I Leoni dell’Atlante hanno dimostrato di essere all’altezza - e anzi migliori di tanti avversari - su più piani: tattico, tecnico e fisico». E un simile livello non si raggiunge all’improvviso. «Il re Mohammed VI e la Federazione reale stanno investendo da anni nel calcio» evidenzia il nostro interlocutore: «Una ristrutturazione su larga scala, dalle selezioni nazionali ai club, aiutati anche in termini finanziari. Alla base, ad ogni modo, vi sono gli ingenti interventi a favore delle infrastrutture. I principali stadi e terreni da gioco, oggi, rispettano le norme internazionali. Senza dimenticare la formazione, con l’Accademia Mohammed VI che ha partorito diversi dei protagonisti del Mondiale in corso».

Walid Regragui e i suoi collaboratori sono riusciti a risolvere la criticità forse maggiore. Un problema che in passato ha influenzato negativamente i risultati delle selezione. E parlo della convivenza tra i giocatori formati in Marocco e i profili cresciuti all’estero
Tariq Chihab

Lo stesso Chihab, da dirigente, ha affiancato alcuni dei giocatori finiti alla ribalta a Doha. «In particolare il terzino sinistro Attiat-Allah, che ha disputato da titolare i quarti con il Portogallo e che in parte ho lanciato sulla scena nazionale. Ricordo ancora di averne subito parlato allo staff tecnico, definendolo il Marcelo marocchino. Milita nel Wydad AC, insieme al centrocampista Jabrane, un altro profilo che conosco molto bene». Non solo: Chihab, da calciatore, condivise lo spogliatoio del Marocco proprio con l’attuale ct Walid Regragui. «A dirla tutta ho giocato con l’intero staff» precisa ridendo Tariq: «Walid e i suoi collaboratori sono riusciti a risolvere la criticità forse maggiore. Un problema che in passato ha influenzato negativamente i risultati delle selezione. E parlo della convivenza tra i giocatori formati in Marocco e i profili cresciuti all’estero. Si tratta di un aspetto tutto fuorché trascurabile, in termini tattici e pure mentali. Regragui, però, ha trovato la sintesi perfetta. E, non a caso, è il gruppo che sta facendo la differenza. Basta fare un paragone con le altre selezioni: nessuno si muove in blocco come il Marocco». E in pochi, aggiunge Chihab, «riescono a venire a capo di un sistema davvero complesso. Al proposito, non mi sorprende dunque che il ct abbia voluto togliersi qualche sassolino dalla scarpa, menzionando lo scetticismo che continua a regnare attorno agli allenatori africani. Quello che sta offrendo il Mondiale, all’opposto, dimostra quanto possano essere sviluppate le competenze pure al di fuori di Europa e Sudamerica».

Progresso e risvolti economici

Il Marocco sta raccogliendo i frutti di un lavoro in profondità. E a beneficiarne non è e non sarà solo la selezione nazionale. Sentite Chihab: «Le scuole, quando si è giocato in giornata, hanno liberato gli allievi per permettere loro di seguire i Leoni dell’Atlante. E lo stesso vale per molti datori di lavoro con i rispettivi operai. Oramai non si tratta più solo di sport. No, siamo ben oltre. È una questione d’immagine verso l’esterno e dunque di identità e fierezza. Di progresso, anche». Di futuro, insomma. «Già ora è possibile prospettare determinati risvolti economici» indica Chihab: «Penso ad esempio al turismo. Certo, il Marocco è un Paese profilato da questo punto di vista. Ma la visibilità data da Qatar 2022 è enorme. A mio avviso l’exploit di questo Mondiale potrà essere sfruttato anche per attirare sponsor e investimenti. Da diversi anni il Paese si è orientato all’Africa del sud e lo slancio per imporsi ulteriormente sarà verosimilmente dato». Per un direttore sportivo di un club locale come Tariq Chihab, i contatti con i procuratori e gli omologhi di mezzo mondo rischiano invece di schizzare alle stelle.

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